Dopo il colpo di stato

Perché il Sudan è in fiamme

Da 9 giorni il Paese al centro del Corno d'Africa è caduto in una profonda crisi politica con lo scontro frontale tra i due generali e i loro due eserciti che si contendono il potere per non perdere il controllo economico e sociale

Perché il Sudan è in fiamme
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Sudan, da destra il generali Abdel Fattah Al Buran e il generale Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemedti

E' appena cominciata la seconda settimana dall'inizio di quella che si configura come una vera e propria guerra civile in Sudan. Dal 15 aprile il Paese africano nel cuore del Corno d'Africa fa i conti con due generali e i loro due eserciti che di fatto si stanno contendendo il potere a suon di colpi di artiglieria e perfino con combattimenti corpo a corpo.

Gli scontri sono cominciati nella capitale Khartoum quando le Forze paramilitari del Supporto Rapido (Rsf) guidate dal generale Mohamed Hamdan Dagalo - detto Hemedti - hanno attaccato il quartier generale dell'esercito regolare capitanato dal generale Abdel Fattah al Burhan, numero uno del paese dopo il colpo di Stato del 2021.

Sia Burhan sia Hemedti sono stati uomini di fiducia dell'ex-presidente Omar al-Bashir destituito durante la rivoluzione sudanese nel 2019 dopo trent'anni di governo. Il presidente fu accusato di genocidio in merito all'annosa guerra civile nella regione del Darfur (2003-2008), in cui l'esercito sudanese si rese protagonista di un massacro etnico contro le popolazioni non musulmane. I morti furono 300.000 mila.

Secondo molti analisti lo scontro ha rivelato l'incapacità del Sudan di intraprendere un percorso di transizione che - dopo il golpe militare - avrebbe dovuto portarlo verso un governo civile. Ora rischia una catastrofe umanitaria. La rivalità tra i due generali riguarda anche l'amicizia che entrambi vantano con Mosca e il contrasto tra Occidente e Russia per impedire a Mosca di insediare una base militare sul Mar Rosso.

Membri dell'esercito regolare sudanese con il Generale Thoi Chany Reat LaPresse
Membri dell'esercito regolare sudanese con il Generale Thoi Chany Reat

Chi sono i due generali 

Nel 2019 durante la cosidetta rivoluzione sudanese il generale Hemedti partecipò al rovesciamento del suo "padrino", il presidente Omar al-Bashir. Quella mobilitazione popolare finirà nel sangue di una brutale repressione per la quale Hemedti viene accusato del massacro di 120 manifestanti in un solo giorno durante un sit-in.

Fondò poi il gruppo l'Rsf nel 2013, esercito di circa 100mila uomini composto principalmente dalla milizia araba dei Janjaweed (ovvero "demoni a cavallo") che si macchiò le mani di sangue combattendo contro i ribelli del Darfur, bruciando villaggi, stuprando centinaia di donne e seppellendo gli uomini in fosse comuni.  

A furia di ordini e di crimini Dagalo è divenuto anche la persona più ricca del paese, prendendo con la forza il controllo della maggior parte delle miniere d'oro del Sudan, che rappresentano quasi la metà delle entrate del Paese, e anche facendo affari inviando i suoi combattenti a partecipare come mercenari in diversi conflitti recenti, come in Yemen e in Libia. 

Sudan, la gente di Khartoum in partenza dalla città Afp Forum
Sudan, la gente di Khartoum in partenza dalla città

Dopo il colpo di Stato del 2021 di cui i due generali furono il braccio e la mente, Abdelfatah al Burhan, 62 anni, è divenuto presidente del Consiglio sovrano di Transizione, l'organo esecutivo del Paese. 

Durante il primo di governo di Abdalla Hamdok poi dimissionario, nel periodo in cui Al-Burhan era a capo del Consiglio Sovrano, sono state apportate importanti riforme nel paese, come la messa al bando delle mutilazioni genitali femminili nel maggio del 2020, l'abolizione della pena di morte per omosessualità, apostasia, dell'obbligo del velo e della fustigazione pubblica nel luglio 2020.

Ma questo non è bastato, il Paese nel cuore del Corno d'Africa è poverissimo, dipende per 1/terzo dagli aiuti umanitari. La situazione è di nuovo precipitata nonostante la pressione e gli aiuti internazionali, il Sudan non è riuscito a liberarsi del potere militare e degli interessi ad esso legati che hanno portato agli scontri di queste ore.