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Italia e Germania a caccia di litio e Terre Rare

Italia e Germania a caccia di litio e Terre Rare ansa
"L’approvvigionamento sarà, nei prossimi anni, uno degli aspetti che condizioneranno gli equilibri internazionali". Intervista a Giuseppe Sabella

Tre settimane fa in Svezia, nell’area di Kiruna, veniva scoperto uno dei più grandi giacimenti al mondo di Terre Rare. In Europa si sta da tempo cercando una strada per sfidare il monopolio cinese nel mercato mondiale di questi minerali fondamentali per il digitale e le nuove tecnologie, onde evitare di creare una nuova dipendenza, come è stata fino a oggi quella dalla Russia per gli approvvigionamenti di gas metano. E poi c’è il litio, altro elemento preziosissimo per le batterie degli smartphone come dei motori ibridi ed elettrici. In quest’ottica va visto anche il viaggio del cancelliere tedesco Olaf Scholz in Sudamerica, proprio nel cosiddetto “Triangolo del litio” (Argentina, Bolivia, Cile: qui il 57% delle risorse mondiali del metallo). Di questo abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova e autore del saggio “La guerra delle materie prime” (Rubbettino Editore).

Sabella, in Europa si vuol fare la Transizione ecologica ma siamo pronti o rischiamo una forma di nuova e rischiosa dipendenza come si è rivelata quella dal gas russo?

L’approvvigionamento di Terre Rare sarà, nei prossimi anni, uno degli aspetti che condizioneranno gli equilibri internazionali. Al momento non c’è dubbio che l’Europa sia indietro rispetto a Cina e Stati Uniti, ma penso che sia un gap che andremo a ridurre. Intanto, noi parliamo di Transizione ecologica ma, anche qui, non è che Cina e Stati Uniti stiano a guardare: per quanto riguarda digitale ed energia rinnovabile – i due principali driver della produzione sostenibile – è lampante quanto siano più avanti di noi. Anche sulla mobilità elettrica, gli investimenti di Pechino sono molto potenti. E gli americani, con la Tesla, non è che non abbiano fatto nulla. In sintesi, da noi si parla tanto e ci sono molte imprese che ancora non hanno compreso che l’Europa, con i suoi provvedimenti, non vuole soltanto un’industria più sostenibile ma, essenzialmente, spinge per recuperare i ritardi che abbiamo con le due superpotenze.

Perché le Terre Rare sono così importanti per le nuove tecnologie?

Le Terre Rare, in particolare, sono elementi in grado di cambiare e di potenziare le proprietà delle leghe che li contengono. Hanno effetti importantissimi su microchip e semiconduttori. Essenzialmente, parliamo di un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica (scandio, ittrio e i lantanoidi) che sono il motore delle nuove tecnologie digitali. L’Europa le importa per il 98% dalla Cina che, per il momento, possiede il 40% delle riserve mondiali. Possiedono Terre Rare anche USA, Vietnam, Brasile, Russia, India, Australia, e Groenlandia. Questa era la ragione per cui Trump voleva comprare l’isola più grande del mondo dalla Danimarca. Si stima che anche il canale di Sicilia ne sia ricco. Le Terre Rare in questo momento più ambite sono quelle del gruppo dei “supermagneti”, ovvero il neodimio, il lantanio, il praseodimio, etc. Sono importantissimi per la produzione dei nuovi motori dell’auto elettrica, così come per smartphone e televisori, ma anche per tutta la filiera eolica, per la fibra ottica e per quella della diagnostica medica. Come si comprende, sono il cuore dell’innovazione tecnologica e digitale, motore a sua volta – insieme alle fonti energetiche rinnovabili – dello sviluppo sostenibile. In realtà, il problema vero delle Terre Rare non è la loro rarità – al di là del gioco di parole – ma la loro difficoltà di estrazione.

Il litio poi è un’altra questione importante. Anche in questo caso, siamo dipendenti dalle importazioni…

Si, naturalmente il litio è fondamentale per lo sviluppo dell’industria delle batterie, tra gli obiettivi più importanti del Green Deal europeo, che ha proprio nell’auto elettrica uno dei suoi simboli. Gli attuali leader nella produzione delle batterie sono Giappone, Corea del Sud, Cina e Australia. E al momento l’Europa importa il litio in particolare da Australia, Cile e Argentina. Se, tuttavia, i grandi costruttori dell’auto hanno così tanto investito per lo sviluppo della mobilità elettrica e addirittura dicono – in particolare Stellantis e Volkswagen – che arriveranno prima del 2035 a fermare la produzione di auto col motore endotermico, non possiamo pensare che questi si siano condannati alla loro resa nei confronti dell’industria cinese e americana: evidentemente sanno dove andare ad approvvigionarsi. Ed evidentemente sanno di poter fare i conti su litio e Terre Rare in quantità tali da non trovarsi in difficoltà con le loro produzioni.

Recentemente, tuttavia, proprio su queste pagine commentavamo gli studi del nostro CNR in base ai quali ci sarebbe il litio anche nel sottosuolo italiano. Cambierebbe qualcosa per il nostro Paese e per gli equilibri internazionali?

Beh, certamente. Se le esplorazioni confermassero questo importante studio, le implicazioni sarebbero rilevantissime. Il nostro Paese, peraltro, non è mai stato ricco di materie prime. Le ha sempre importate e deve la sua fortuna industriale alla sua capacità ingegneristica di trasformarle. Il litio italiano potrebbe dare inizio a una storia diversa, a un Paese più autonomo e a un Paese, anche, esportatore di materie prime. Teniamo conto, in questo senso, che il gas ora arriverà da sud e non più da est. La recente missione del premier Giorgia Meloni in Africa – in Libia e Algeria – va vista in ottica europea e non solo italiana. Come del resto anche l’operazione dei due rigassificatori che andranno a produrre metano dal gas liquido naturale: questi hanno caratteristiche tali per cui il nostro Paese si appresta a diventare hub energetico del Mediterraneo, come continuano a ripetere Meloni e Descalzi. In tutto il mondo, vi sono 12 rigassificatori con quelle potenti caratteristiche. Quindi, il flusso di gas che sarà prodotto sarà ingente e non soddisferà soltanto i fabbisogni italiani. Gas e litio, insieme alle Terre Rare, sono le materie prime del presente e del futuro prossimo.

Dopo Giorgia Meloni in Africa, il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato in Sudamerica per il litio. Crede vi sia relazione tra le due missioni?

Si. Con la riconfigurazione della globalizzazione, l’Europa è costretta a far crescere la sua integrazione. Naturalmente, si tratta di una buona notizia. Potevamo capirlo prima ma non importa. La cosa importante è che ora si cammini nel segno degli obiettivi della Transizione, vale a dire l’autonomia industriale ed energetica. Questo spiega la relazione tra le due missioni. Il cancelliere tedesco è stato in Sudamerica per assicurare investimenti nell’estrazione e produzione di litio, risorsa di cui il Cile – in particolare – ha le maggiori riserve al mondo. Certo, il cuore dell’industria europea – e in particolare di quella dell’auto – è la Germania: è chiaro che Scholz abbia più interesse di tutti a muoversi sul versante del litio. Come, parallelamente, l’Italia è il ponte del Mediterraneo verso l’Europa: chiaro che per il gas sia il nostro Paese a muoversi in prospettiva europea. È tuttavia, questa, un’operazione che nasce con Mario Draghi: a lui dobbiamo il recupero di autorevolezza in Europa e nel mondo.

È la riconfigurazione della globalizzazione a causare quella che lei chiama “guerra delle materie prime”?

Proprio così. Teniamo conto che il cambio di rotta della globalizzazione – il cosiddetto processo di decoupling – inizia almeno 10 anni fa, con il back reshoring delle produzioni (avviato da Obama, 2012). Poi nel 2015 abbiamo segni evidenti del rallentamento del commercio mondiale e nel triennio 2017-2019, prima della pandemia, la regionalizzazione dei mercati era già disegnata: i mercati si stavano riorganizzando attorno alle grandi piattaforme produttive (Usa, Cina, Europa) anche per effetto dei dazi di Trump (2016). È in questo quadro, accelerato poi da pandemia e guerra, che scatta la corsa all’approvvigionamento: se ben ricordiamo, la crisi di microchip, gas e materie prime è qualcosa che inizia nel primo anno di pandemia, dopo il lockdown mondiale e la conseguente forte ripartenza delle produzioni. Non a caso, l’inflazione inizia la sua ascesa – che oggi si stima aver raggiunto i suoi picchi – nell’ultimo trimestre del 2020. Tra i diversi Paesi del mondo, vi è disallineamento dei lockdown e, in particolare, dei paesi fornitori: il Vietnam è stato in lockdown fino a novembre 2021. La Cina, approfittando del calo dei prezzi, in quel periodo acquista ovunque materie prime strategiche, dai chip e minerali a cereali e cotone. Una vera e propria “corsa all’accumulo”, non soltanto per immagazzinare scorte, ma anche nella consapevolezza che l’Europa – concentrata sulla Transizione ecologica e sul consolidamento del proprio mercato, cosa che non può non avere ricadute sulla penetrazione nel MEC del prodotto made in China – sarebbe andata in difficoltà. Questa corsa all’approvvigionamento significa, anche, passare dalla produzione “just in time” alle scorte di magazzino che avevamo quasi dimenticato. La crisi delle materie prime e l’inflazione nascono da qui. La guerra delle materie prime, con la crisi ucraina, conosce poi il suo aspetto più cruento: i territori occupati dai russi sono proprio quelli più ricchi di materie prime, in particolare di gas, litio e Terre Rare.