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Profughi ucraini, c'è già chi rientra in patria

Profughi ucraini, c'è già chi rientra in patria RAI
Piccoli numeri per ora, ma sono poche anche le domande di aiuti economici. A pesare sono stati la barriera linguistica e gli scarsi contributi arrivati
Anna Yarmak a Kiev lavorava come dipendente pubblico. Scoppiata la guerra, si è presa un'aspettativa non retribuita ed è venuta a Udine. Ha vissuto grazie ai soldi che le inviava il marito. Il figlio Timofy, 4 anni, si diverte a dare una mano al centro raccolta generi di prima necessità dell'associazione Ucraina Friuli. 
Perché adesso ha deciso di ritornare? "Lì c'è mio marito, ho un posto di lavoro fisso, qui non ho dove abitare e sto pensando di rientrare".

In una prima fase c'era la paura della guerra. Ora c'è quella della sopravvivenza, dicono dall'associazione. Aiuti pubblici insufficienti, tanto che molti ucraini non si possono permettere il biglietto del bus e sono costretti a farsela a piedi da un paese all'altro. 

Serhiy Khomenchuk, volontario dell'Associazione Ucraina Friuli: "Di quelli che sono andati via, si sono stufati di aspettare questi soldi, all'inizio non c'era nessun aiuto, loro cercavano tra privati, alloggi, la cosa si è allungata nel tempo, qui con barriera linguistica non riuscivano né a inserirsi né trovare lavoro, né andare avanti". 

Tornano in pochi, ma impossibile sapere con certezza quanti. 116mila ucraini arrivati finora in Italia, più della metà dai confini del Friuli Venezia Giulia. In Regione hanno scelto di restare in 5.700, l'85% ospitato da privati. 

Ma sono state appena 1.500 le richieste del contributo di sostentamento da 300 euro mensili (più 150 euro per ogni figlio). 
Erogabile per tre mesi, potrà essere ritirato in posta a partire da giugno. 

La Regione inoltre è agli ultimi posti a livello nazionale per manifestazioni d’interesse per l'accoglienza diffusa avanzate alla protezione civile: lo 0.32% del totale. 

Ci sono state lodevoli iniziative private, indica Gianfranco Schiavone, del Consorzio Italiano di Solidarietà, "ma è essenziale recuperare una cultura dell'ospitalità, che si è molto contratta negli ultimi anni a seguito di una costante visione negativa della accoglienza in sé."