“Quando mancavano 50 chilometri iniziava la corsa. I primi per il primo posto. E noi per l'ultimo”.
“Si nascose ovunque - racconta Serena Malabrocca, nipote di quel Luigi Malabrocca passato alla storia come la Maglia Nera per eccellenza del Giro d'Italia -: a casa delle persone, sotto i ponti, si infilò in tutti i bar, si mise a parlare con chiunque e simulò 8 forature in una tappa… E ancora aiutava chiunque fosse in difficoltà, anche gli antagonisti. Era diventato veramente un genio del bluff, un genio dell’ultimo posto”.
“A Sestri mi son nascosto sotto un ponte - raccontava il corridore nato a Tortona nel 1920 in una vecchia intervista -. Ho visto passare Carollo (il suo avversario più agguerrito per l'ultimo posto, ndr) e sono andato all'arrivo. E' che proprio lì vicino al traguardo c'era lui fermo che aspettava lo scadere. A ogni modo ho fatto in tempo a far passare lui. E io sono arrivato ultimo in quella tappa”.
Poca storia in quell'Italia del secondo dopoguerra. Coppi, Bartali e Magni facevano il vuoto. Maglia rosa inarrivabile, a far gola diventa la maglia nera dell'ultimo. Ai tempi valeva qualche premio. E si finiva pure sui giornali. Luigi Malabrocca da Tortona proprio con il Campionissimo condivideva una lunga amicizia e i natali nell'Alessandrino. L'Italia si innamorò un po' anche di lui e ancora lo ricorda ancora oggi tra spettacoli teatrali e pure un fumetto:
“In un’Italia che è quella del ‘46 e nel Giro quello della rinascita, diventò il simbolo degli ultimi, suscitò grande simpatia e grande solidarietà. Cominciarono a fioccare vere e proprie buste di soldi, veniva fermato per la strada e a sua insaputa gli venivano infilati i soldi in tasca… era diventato il simbolo dell’Italia povera, massacrata dalla guerra ma che aveva tanta voglia di rinascere e risorgere e vincere. Lui vinse arrivando ultimo”, il ricordo della nipote.