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MONDO

La lotta al terrorismo l'elemento centrale

Da Bush a Obama: l'11 settembre nei discorsi dei presidenti americani

Prima la lotta al terrorismo di Bush, poi il ricordo delle vittime e la ricerca del dialogo di Obama. Ma per gli americani la guerra non è finita, e sono molti i nodi da risolvere in politica estera. E dopo la nascita dell'Isis in Siria e Iraq, Obama annuncia una nuova strategia globale

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L'attentato dell'11 settembre 2001
"L'America sarà sempre l'America. Nessun atto di terrore potrà distruggerci. L'America esiste nella tenacia dei suoi sopravvissuti. Dobbiamo imparare a camminare di nuovo". Così il presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, nel giorno del tredicesimo anno dell'attentato alle Torri gemelle e al Pentagono. Un discorso sobrio, che si sofferma sul ricordo di una ferita ancora aperta, ma che fa riferimento anche alle nuove minacce di oggi:  "Tredici anni dopo menti piccole e piene di odio stanno cospirando per distruggerci, l'America le affronta a testa alta e con orgoglio". "Andiamo avanti, come americani non possiamo abbandonarci alla paura", dice il Presidente.

I discorsi presidenziali di commemorazione degli attentati del 2001 possono essere un elemento interessante per cercare di capire com’è cambiata l’America dall’11 settembre a oggi. Da Bush a Obama, la lotta al terrorismo è rimasta un elemento centrale nel discorso del presidente, ma il cerimoniale si è molto evoluto.

I discorsi di G. W. Bush
L’esigenza di costruire l’immagine di un nemico  da combattere e di plasmare una visione positiva di sé da contrapporre al male assoluto. Una visione che fa presa sull’opinione pubblica americana, ancora sotto shock. Al Qaeda e il fondamentalismo islamico diventano il nemico per eccellenza. Gli Stati Uniti si ergono a baluardo dei valori occidentali come libertà e democrazia, da preservare ad ogni costo. E, se necessario, da esportare con le armi. Così Bush all’indomani dell’attentato: "Oggi la nostra nazione ha visto il male, il peggio della natura umana. E noi abbiamo risposto con il meglio dell'America, con il coraggio dei nostri soccorritori, con le premure di estranei e vicini di casa che si sono prestati a donare il sangue e ad aiutare in ogni modo possibile". Stati - canaglia, asse del male e guerra preventiva, le nuove parole che fanno da sfondo all’operazione “Enduring Freedom”. Poche settimane dopo gli attentati comincia la guerra in Afganistan, che porta al rovesciamento del regime talebano.  Due anni più tardi l'amministrazione Bush inizia la guerra in Iraq. Gli Stati Uniti abbattono il regime di Saddam Hussein. I discorsi di Bush continuano ad essere infarciti di retorica bellicista. Così nel 2006: " Dall'orrore dell'11 settembre abbiamo imparato a conoscere il nemico. Dobbiamo fronteggiare un nemico che vuole portare morte e sofferenza nelle nostre case. La guerra non sarà finita finchè noi, o gli estremisti, non ne usciranno vittoriosi". La presidenza Bush si conclude nel 2008 mentre gli Stati Uniti sono ancora impantanati nel conflitto.

Barak Obama ridefinisce la politica estera americana
L’apertura nei confronti dell’Islam lascia spazio ad un linguaggio più sobrio. Già nel primo discorso da presidente, nel 2009, si avverte un cambiamento nel cerimoniale che ricorda l’11 settembre. L’attenzione si sposta dal nemico alle vittime, pur ribadendo la priorità rappresentata dalla lotta al terrorismo: "Ogni anno in questo giorno siamo tutti newyorkesi. L'essenza di questa tragedia deriva da una fondamentale assenza di empatia da parte degli aggressori: una incapacità di immaginare o connettersi con l'umanità e la sofferenza di altri. Per la difesa della nostra nazione non avremo esitazioni nel perseguire Al-Qaeda e i suoi alleati estremisti". Un fatto ribadito chiaramente l’anno successivo. Il presidente dedica infatti il suo discorso interamente alle vittime. Per Obama il loro ricordo si celebra mediante l’impegno civile ed il rispetto dei valori occidentali: "Per ricordare  le persone che abbiamo perso, l'arma più forte è fare ciò che  nostri nemici temono. Ricordare e rinnovare il senso di essere americani". Il discorso del 2013, al Pentagono, è un ulteriore passo in avanti in questo senso: " La forza è necessaria, ma la forza da sola non basta per costruire il mondo che vogliamo". Chiosa finale: "Più che i memorial, sono le vostre vite il maggior tributo a coloro che abbiamo perso".

Obama sfida l'Isis
Il rimescolamento di carte provocato dalle "primavere arabe" in Medio Oriente, il conflitto latente tra Russia e Ucraina, e soprattutto l’espansione dell’Isis, il califfato nato tra Siria e Iraq sotto il comando di Abu Bakr Al-Baghdadi,modificano l'atteggiamento di Obama. Ritornano i venti di guerra. Il discorso commemorativo nel tredicesimo anno dell'attentato registra un netto cambiamento di toni. L'obiettivo numero uno è quello di fronteggiare la minaccia terroristica rappresentata dall'islamismo radicale e dall'Isis: "L'America si metterà alla guida di una vasta coalizione internazionale contro la minaccia terrorista dell'Isis, ovunque si trovi, per respingerla e infine distruggerla", sottolinea Obama. Il presidente esclude un revival afghano o iracheno, con l'invio di truppe di terra, ma per la prima volta parla direttamente di raid aerei in Siria: "Nella lotta all'Isis non ci possiamo fidare del regime siriano di Assad". 

L'ultima parte del discorso è un breve affresco del passato: "Sono passati 13 anni da quando il nostro Paese è stato attaccato, e sei dalla più grave crisi economica dal 1929. Ma l'America adesso può guardare al futuro con ottimismo", ribadisce Obama.