MONDO
Dopo la storica sentenza
Srebrenica, ergastolo per Mladic. Sarajevo guarda avanti ma non dimentica

“In carcere il macellaio”, scandisce il quotidiano Dnevni Avaz, a tutta pagina la notizia e il ghigno beffardo dell’ex-comandante dei serbi di Bosnia; “colpevole Mladic”, titola più sobriamente Oslobođenje, che fa dire al procuratore capo dell’Aja, Brammertz: “eroi furono i morti. E i sopravvissuti”.
Il giorno dopo Sarajevo si sveglia su una sentenza storica, scaldata da un sole insolito che invita a guardare avanti. Lo ha già fatto, la città martire. Quei 1425 giorni strangolata dalle milizie serbe oltre 20 anni fa, sono oggi un tour, giornaliero, dal titolo Sarajevo sotto assedio. Il centro storico, fatto pregiato nei secoli dalle diverse comunità, in testa quegli ebrei fuggiti dalla Spagna, i cui scritti antichi, la Sarajevo musulmana seppe sottrarre alle razzie dei nazisti; nel centro, ricostruito, le botteghe alternano cineserie e vecchio artigianato, lane e i graziosi olii di un artista del luogo, Mersad Kuldija, nei cui quadri si stringono, in bizzarro equilibrio, shtetl e minareti. Turisti asiatici fotografano tutto, ma più di tutto le donne, queste Barbie sguardi azzurri e hijab islamici. Se li alzassero un po’, i loro occhi allungati, riuscirebbero a scorgerli i tappeti bianchi dei cimiteri di guerra, srotolati su ogni collina.
Lontana è la Sarajevo under the siege, lavato dalle sue ferite il ponte di Romeo e Giulietta, dove lui serbo, lei musulmana, furono uccisi dalla cieca roulette dei cecchini. Poco oltre un altro ponte, quello dove l’irredentismo di Gavrilo Princip, uccise l’erede al trono austriaco, condannando l’Europa alla grande guerra. Troppa storia in questi piccoli Balcani, diceva già Churchill. Le storie di oggi, degli intellettuali di Sarajevo raccontano l’islamizzazione strisciante, le cittadelle dentro la città costruite dagli arabi del Golfo, ai locali inaccessibili. Guarda avanti, ma non dimentica, questa comunità antica e inclusiva, un tempo. E concorda: sono passati tanti, forse troppi anni, ma finalmente giustizia.
È tempo di ripartire, sfilando lungo il viale dei cecchini. Periferia anonima, dove ieri i morti venivano sepolti nelle cantine. Guai a spingere, i vivi, la testa fuori.
Per approfondire: La storia del "Boia di Srebrenica", chi è Ratko Mladic
Il giorno dopo Sarajevo si sveglia su una sentenza storica, scaldata da un sole insolito che invita a guardare avanti. Lo ha già fatto, la città martire. Quei 1425 giorni strangolata dalle milizie serbe oltre 20 anni fa, sono oggi un tour, giornaliero, dal titolo Sarajevo sotto assedio. Il centro storico, fatto pregiato nei secoli dalle diverse comunità, in testa quegli ebrei fuggiti dalla Spagna, i cui scritti antichi, la Sarajevo musulmana seppe sottrarre alle razzie dei nazisti; nel centro, ricostruito, le botteghe alternano cineserie e vecchio artigianato, lane e i graziosi olii di un artista del luogo, Mersad Kuldija, nei cui quadri si stringono, in bizzarro equilibrio, shtetl e minareti. Turisti asiatici fotografano tutto, ma più di tutto le donne, queste Barbie sguardi azzurri e hijab islamici. Se li alzassero un po’, i loro occhi allungati, riuscirebbero a scorgerli i tappeti bianchi dei cimiteri di guerra, srotolati su ogni collina.
Lontana è la Sarajevo under the siege, lavato dalle sue ferite il ponte di Romeo e Giulietta, dove lui serbo, lei musulmana, furono uccisi dalla cieca roulette dei cecchini. Poco oltre un altro ponte, quello dove l’irredentismo di Gavrilo Princip, uccise l’erede al trono austriaco, condannando l’Europa alla grande guerra. Troppa storia in questi piccoli Balcani, diceva già Churchill. Le storie di oggi, degli intellettuali di Sarajevo raccontano l’islamizzazione strisciante, le cittadelle dentro la città costruite dagli arabi del Golfo, ai locali inaccessibili. Guarda avanti, ma non dimentica, questa comunità antica e inclusiva, un tempo. E concorda: sono passati tanti, forse troppi anni, ma finalmente giustizia.
È tempo di ripartire, sfilando lungo il viale dei cecchini. Periferia anonima, dove ieri i morti venivano sepolti nelle cantine. Guai a spingere, i vivi, la testa fuori.
Per approfondire: La storia del "Boia di Srebrenica", chi è Ratko Mladic