MONDO
Dai barconi agli investimenti esteri
Tirana, la capitale di uno stato passato dall'800 alla modernità in 20 anni
Nel '91 le prime elezioni libere, poi i barconi diretti in Puglia e la fuga di un popolo tenuto prigioniero nel proprio paese dal secondo dopoguerra. Oggi l'Albania è un Paese molto diverso, e la sua capitale una città non diversa da molte altre del nostro continente
Era il 1991 quando Ramiz Alia, successore di Enver Hoxa, l’uomo che aveva governato il paese dal secondo dopoguerra e morto nel 1985, concesse le prime libere elezioni della storia d’Albania. Una decisione figlia della grave crisi economica in cui versava il paese, ma anche della storia che in quegli anni aveva visto la caduta del muro di Berlino, la fine dell’Unione Sovietica e il dissolversi del cosiddetto blocco dell’Est.
Non meno traumatico fu però il passaggio dell’Albania dalla condizione di totale isolamento in cui era vissuta per 50 anni, divenendo l’unico paese ufficialmente stalinista del pianeta, alla modernità.
All’affacciarsi degli anni ’90, mentre sull’altra sponda dell’Adriatico andavano in scena i mondiali di calcio, il Paese delle Aquile era un paese, di fatto, fermo all’800 o giù di lì. Le macchine erano una rarità assoluta, e tanto per dare una misura di questo, non esisteva allora nemmeno il pubblico registro automobilistico. I turisti non esistevano e i contatti con il mondo esterno erano sostanzialmente impossibili: gli albanesi non potevano uscire e gli stranieri non potevano entrare. L’unico, flebile spiraglio, era la possibilità di captare il segnale della tv italiana, unica finestra su un mondo diverso.
L’isolamento
Ma l’Albania di Hoxa non era solo un paese chiuso rispetto all’Occidente, come in diversa misura erano vari paesi comunisti, ma era chiuso anche nei confronti dei paesi del patto di Varsavia, dell’Urss, della Cina e di tutti gli altri. Un isolamento cresciuto e accentuatosi negli anni. Alla fine della II guerra mondiale, per un breve periodo, l’Albania intrattenne infatti intense relazioni con la Jugoslavia ma, preoccupato da supposte mire espansionistiche di Tito, fu un ‘flirt’ breve. E non molto diversamente andò con l’Unione Sovietica con cui i rapporti saltarono all’indomani dei fatti di Praga e si chiusero definitivamente quando Nikita Chruščёv aprì alla critica dello stalinismo. Una scelta inaccettabile per l’Albania che rimase, sino al ’91, un paese leninista-stalinista. Seguì poi un periodo di avvicinamento alla Cina ma, anche qui, dopo poco Tirana preferì chiudersi in un isolamento pressoché assoluto.
La religione bandita
Tra le conseguenze pratiche dell’isolamento e della politica del regime, l’imposizione dell’ateismo come concetto fondante dello Stato e, in ossequio a questo principio, negli anni di Hoxa in Albania furono chiuse tutte le chiese di qualsiasi credo.Il primo prete cattolico che ebbe il permesso di entrare nel Paese, monsignor Vincenzo Paglia, quando fece il suo primo viaggio lo fece indossando abiti civili. Oggi la situazione albanese è molto diversa e, se da un lato esiste ancora una consistente fetta di popolazione che si dichiara atea, nel Paese convivono pacificamente tre grandi religioni con numeri di fedeli quasi equiparabili: l’Islam, il cattolicesimo ed il cristianesimo ortodosso.
La fuga
Quando nel ’91 il regime crollò, e ancor più negli anni che seguirono e in particolare nel ’97, l’anno del grande caos, furono migliaia gli albanesi che colsero l’occasione per tentare di fuggire in cerca di migliori condizioni di vita. Sembrano lontane nel tempo, ma le scene dell’assalto alle navi e l’arrivo sulle coste pugliesi dei mercantili zeppi di migranti, sono in realtà vecchie di meno di 20 anni. Come meno di 20 anni hanno le paure che allora percorrevano l’Italia e gli italiani che temevano la delinquenza degli albanesi. Oggi, come ha sottolineato il ministro Paolo Gentiloni a Tirana per l’incontro interreligioso della comunità di S.Egidio, l’Albania è invece l’esempio di come con la collaborazione e la politica si possano trovare nel lungo periodo soluzioni in grado di affrontare e risolvere i problemi legati alle migrazioni, specie quelle economiche.
Tirana
La capitale dell’Albania, Tirana, è una città da poco meno di un milione di abitanti e, come spesso accade, è in qualche modo lo specchio del Paese. Solcata da grandi contraddizioni, con un’evidente povertà che spesso ‘abita’ sullo stesso marciapiede dei locali o dei luoghi del potere, è oggi una città assolutamente moderna. Le macchine ci sono, così come il traffico, e soprattutto nel centro è normale vedere macchine straniere, e costose. Sono comparsi i grandi alberghi, mentre sulla costa comincia ora ad affacciarsi anche il turismo, e insieme alla chiese hanno aperto una moltitudine di locali dallo stile assolutamente occidentale, specie nel quartiere Block, quello che durante il regime era il fortino degli oligarchi e il luogo dove sorgevano le ambasciate, vietato ed inaccessibile agli albanesi comuni, e che oggi è il cuore di una vera e propria movida notturna. Complice il cambio favorevole (1 euro vale crica 150 lek) e un costo del lavoro particolarmente basso, sono non pochi gli imprenditori italiani che hanno deciso di attraversare l'Adriatico nel senso inverso per aprire locali o aziende nel Paese delle Aquile.
Immagini e montaggio dei servizi di Andrea Vaccarella
Non meno traumatico fu però il passaggio dell’Albania dalla condizione di totale isolamento in cui era vissuta per 50 anni, divenendo l’unico paese ufficialmente stalinista del pianeta, alla modernità.
All’affacciarsi degli anni ’90, mentre sull’altra sponda dell’Adriatico andavano in scena i mondiali di calcio, il Paese delle Aquile era un paese, di fatto, fermo all’800 o giù di lì. Le macchine erano una rarità assoluta, e tanto per dare una misura di questo, non esisteva allora nemmeno il pubblico registro automobilistico. I turisti non esistevano e i contatti con il mondo esterno erano sostanzialmente impossibili: gli albanesi non potevano uscire e gli stranieri non potevano entrare. L’unico, flebile spiraglio, era la possibilità di captare il segnale della tv italiana, unica finestra su un mondo diverso.
L’isolamento
Ma l’Albania di Hoxa non era solo un paese chiuso rispetto all’Occidente, come in diversa misura erano vari paesi comunisti, ma era chiuso anche nei confronti dei paesi del patto di Varsavia, dell’Urss, della Cina e di tutti gli altri. Un isolamento cresciuto e accentuatosi negli anni. Alla fine della II guerra mondiale, per un breve periodo, l’Albania intrattenne infatti intense relazioni con la Jugoslavia ma, preoccupato da supposte mire espansionistiche di Tito, fu un ‘flirt’ breve. E non molto diversamente andò con l’Unione Sovietica con cui i rapporti saltarono all’indomani dei fatti di Praga e si chiusero definitivamente quando Nikita Chruščёv aprì alla critica dello stalinismo. Una scelta inaccettabile per l’Albania che rimase, sino al ’91, un paese leninista-stalinista. Seguì poi un periodo di avvicinamento alla Cina ma, anche qui, dopo poco Tirana preferì chiudersi in un isolamento pressoché assoluto.
La religione bandita
Tra le conseguenze pratiche dell’isolamento e della politica del regime, l’imposizione dell’ateismo come concetto fondante dello Stato e, in ossequio a questo principio, negli anni di Hoxa in Albania furono chiuse tutte le chiese di qualsiasi credo.Il primo prete cattolico che ebbe il permesso di entrare nel Paese, monsignor Vincenzo Paglia, quando fece il suo primo viaggio lo fece indossando abiti civili. Oggi la situazione albanese è molto diversa e, se da un lato esiste ancora una consistente fetta di popolazione che si dichiara atea, nel Paese convivono pacificamente tre grandi religioni con numeri di fedeli quasi equiparabili: l’Islam, il cattolicesimo ed il cristianesimo ortodosso.
La fuga
Quando nel ’91 il regime crollò, e ancor più negli anni che seguirono e in particolare nel ’97, l’anno del grande caos, furono migliaia gli albanesi che colsero l’occasione per tentare di fuggire in cerca di migliori condizioni di vita. Sembrano lontane nel tempo, ma le scene dell’assalto alle navi e l’arrivo sulle coste pugliesi dei mercantili zeppi di migranti, sono in realtà vecchie di meno di 20 anni. Come meno di 20 anni hanno le paure che allora percorrevano l’Italia e gli italiani che temevano la delinquenza degli albanesi. Oggi, come ha sottolineato il ministro Paolo Gentiloni a Tirana per l’incontro interreligioso della comunità di S.Egidio, l’Albania è invece l’esempio di come con la collaborazione e la politica si possano trovare nel lungo periodo soluzioni in grado di affrontare e risolvere i problemi legati alle migrazioni, specie quelle economiche.
Tirana
La capitale dell’Albania, Tirana, è una città da poco meno di un milione di abitanti e, come spesso accade, è in qualche modo lo specchio del Paese. Solcata da grandi contraddizioni, con un’evidente povertà che spesso ‘abita’ sullo stesso marciapiede dei locali o dei luoghi del potere, è oggi una città assolutamente moderna. Le macchine ci sono, così come il traffico, e soprattutto nel centro è normale vedere macchine straniere, e costose. Sono comparsi i grandi alberghi, mentre sulla costa comincia ora ad affacciarsi anche il turismo, e insieme alla chiese hanno aperto una moltitudine di locali dallo stile assolutamente occidentale, specie nel quartiere Block, quello che durante il regime era il fortino degli oligarchi e il luogo dove sorgevano le ambasciate, vietato ed inaccessibile agli albanesi comuni, e che oggi è il cuore di una vera e propria movida notturna. Complice il cambio favorevole (1 euro vale crica 150 lek) e un costo del lavoro particolarmente basso, sono non pochi gli imprenditori italiani che hanno deciso di attraversare l'Adriatico nel senso inverso per aprire locali o aziende nel Paese delle Aquile.
Immagini e montaggio dei servizi di Andrea Vaccarella