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ECONOMIA

La storia della compagnia di bandiera

Alitalia, dall'Iri a Etihad. Un volo lungo 70 anni

Fondata il 16 settembre 1946, effettua il primo volo il 5 maggio 1947. Dopo gli anni d'oro, la compagnia italiana viaggia per almeno altri 40 anni sotto un cielo sereno. La prima grave crisi negli anni 90, poi le nozze mai celebrate con Air France e infine la gestione della Cai di Colaninno

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Una gloriosa ma dispendiosa compagnia di bandiera che ha vissuto una privatizzazione sofferta, con una lunga stagione segnata da difficili vertenze sindacali e aspre contese politiche. Cominciano con l'Iri e si chiudono con gli emiri di Etihad i 70 anni di Alitalia che scrive un pezzo non indifferente di storia dell'industria e dell'aviazione civile italiana. Eterna promessa sposa di Air France, senza mai arrivare alle nozze, è passata per una fusione con Air One e la gestione della Cai, guidata da Roberto Colaninno all'insegna della difesa dell'italianità. Oggi Alitalia riparte da Etihad, la compagnia di Abu Dhabi che entra con il 49% e promette un futuro diverso.    

Gli anni d'oro di Alitalia
Fondata il 16 settembre 1946 sotto l'ombrello dell'Iri, effettua il primo volo il 5 maggio 1947. E per almeno 40 anni, grazie alle risorse pubbliche, cresce nel mercato europeo, fino a diventare un vettore internazionale. Sono gli anni d'oro, in cui 'mamma Alitalia' diventa anche un enorme bacino di assunzioni e assistenza, soprattutto per il Centro Sud. Nel 1991, le divise di piloti e assistenti di volo sono griffate Giorgio Armani, per portare nel mondo l'eccellenza italiana.

Anni 90 la crisi: calano i passeggeri
La prima grave crisi arriva subito dopo, a metà anni Novanta. Quando le difficoltà della finanza pubblica non consentono più di iniettare nella compagnia di bandiera la massa di denaro necessaria a sostenere la concorrenza con le altre compagnie, in una fase per altro di grande espansione del settore aereo. Inizia un progressivo tracollo del numero dei passeggeri italiani trasportati. Con Alitalia, nel 2005, volano il 25% dei passeggeri italiani. Dieci anni prima, nel 1995, erano il doppio, il 50%.

Nel 2006 rischio fallimento
La crisi della compagnia, che passa attraverso una girandola di presidenti e amministratori delegati, si trascina fino al 2006, quando è vicina al fallimento e il nuovo governo Prodi decide la privatizzazione, vendendo le quote in mano al Tesoro per arrivare a un salvataggio 'di mercato'. Ma la gara pubblica va deserta. Non ci sono pretendenti disposti a correre i rischi che pesano su un'operazione particolarmente complicata. Un anno dopo, il governo riprova a vendere le quote, ma questa volta con una trattativa diretta. Una trattativa in esclusiva con Air France, che nel frattempo già si è fusa con Klm. Si arriva a un accordo di massima, che prevede un investimento franco-olandese di 1,7 mld e 2100 esuberi. A marzo 2008 il governo Prodi accetta le condizioni, ma è in una posizione di estrema debolezza: il premier è stato sfiduciato e si va verso le elezioni politiche.      

Salta la trattativa con Aifrance
La partita Alitalia finisce nel vortice di una infuocata campagna elettorale. Sono i giorni in cui il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi si batte per l'italianità di Alitalia, sbarrando la strada ai francesi. "Se Alitalia cadesse nelle mani di Air France tanti turisti finirebbero a visitare i castelli della Loira invece che le nostre città d'arte", ripete con insistenza il Cavaliere. I sindacati, preoccupati per le ricadute occupazionali e in contrapposizione tra di loro, si sfilano. Alla fine, la trattativa salta.

Alitalia 'deve' restare italiana: nasce Cai
Scendono in campo gli imprenditori italiani, guidati da Roberto Colaninno, che, con la regia dell'allora amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Corrado Passera, concretizzano il 'Piano Fenice', mantenendo italiana Alitalia. Il 13 gennaio del 2009 decolla il primo volo della Cai (Compagnia aerea italiana), che unisce Alitalia ad Airone, con Air France-Klm partner strategico con il 25%. Il presidente è Colaninno, mentre Rocco Sabelli è l'amministratore delegato.      

I conti tornano i rossi 
Seguono anni di relativa calma, ma i conti iniziano presto a non tornare. A Rocco Sabelli, che lascia anche perchè convinto che sia indispensabile procedere ad una fusione con Air France, succede un altro amministratore delegato, Andrea Ragnetti, che resta in sella solo un anno. Già nei primi sei mesi del 2013 il bilancio della società registra 294 milioni di perdite. A Ragnetti, dopo un breve interim al presidente Colaninno, succede Gabriele Del Torchio. I primi di ottobre dello scorso anno gli aerei della compagnia rischiano di rimanere a terra per mancanza di rifornimenti. Una boccata d'ossigeno arriva dall'aumento di capitale approvato dal cda. E in soccorso di Alitalia si muove per la prima volta Poste italiane. Ma con Air France che non partecipa alla ricapitalizzazione, diventa necessaria un'alleanza con un vettore internazionale.

Serve un'alleanza internazionale: arriva Etihad
La storia cede il passo alla cronaca di questi ultimi mesi. A fine 2013, ormai definitivamente archiviata l'opzione Air France, e concluso l'aumento di capitale, si affaccia l'ipotesi che possa essere Etihad, la giovane compagnia di Abu Dhabi, a entrare in gioco per stringere un'alleanza. Dopo i primi contatti, la compagnia guidata da Hogan fa un passo decisivo, ponendo formalmente le condizioni, piuttosto dure, per l'investimento. Inizia una lunga trattativa su più tavoli. Innanzitutto quello sindacale, per riuscire a ridurre gli esuberi stimati: all'inizio sono 2251 le uscite previste, alla fine l'accordo si chiude su 1653. Ma il fronte sindacale torna a spaccarsi, con la Cgil che non firma.

Le nozze tra Alitalia ed Etihad
Parallelamente si tratta sul nuovo contratto di settore e il taglio del costo del lavoro per 31 mln e, questa volta, a sfilarsi è la Uil. Salvo poi firmare in extremis, solo giovedì sera. Sul piano finanziario, gli ostacoli maggiori riguardano il ruolo delle Poste, che chiede e ottiene di investire prevalentemente nella 'nuova' Alitalia, e la rinegoziazione dei debiti della compagnia verso le banche. Alla fine la soluzione si trova con la costituzione di una società intermedia, definita 'Midco', in cui Poste investe 50 dei 75 mln complessivi, con 25 mln di prestito ponte. Intanto, l'aumento di capitale sale a 300 mln. E oggi arriva la firma dell'accordo, che dovrebbe segnare una svolta definitiva.