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ITALIA

L'Authority non può spendere i soldi che ha in cassa

Anticorruzione, Cantone al governo: pochi fondi, non riusciamo a lavorare

"L'autorità ha poca possibilità di spendere i fondi- dice il presidente dell'Authority- "non vogliamo fare polemica con nessuno, tantomeno con il governo. Vogliamo segnalare questa situazione in un momento in cui aumentano le nostre competenze"

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Sull’Authority guidata da Raffaele Cantone sono rovinate, in questi mesi, tutte le magagne di un Paese, l’Italia, tristemente collocato ai primi posti in quanto a corruzione, secondo il rapporto di Transparency international. Dai guai dell’Expo a quelli del Mose, dal Giubileo al nuovo codice degli appalti fino agli arbitraggi per risarcire i correntisti truffati dalle banche. Tutto questo, senza poter spendere i soldi che ha in cassa, 50 milioni di euro. Una condizione che mette fortemente e rischio l’attività dell’Authority anticorruzione, soprattutto nella delicata gestione delle nuove procedure per gli appalti pubblici stabilite dalla riforma pronta al debutto. Solo il governo può risolvere l’impasse, mettendo mano agli ostacoli imposti al bilancio. Serve una norma, il più in fretta possibile.

L’allarme è palpabile tra le righe del comunicato del 28 gennaio intitolato “Nota di aggiornamento al piano di riordino dell’Autorità nazionale anticorruzione”. In conclusione, l’Authority scrive: “Non può non evidenziarsi che il bilancio dell’Autorità sconta una rigidità della spesa tale da non consentire per il futuro, a quadro normativo vigente, ulteriori norme di contenimento oltre quelle finora adottate se non a prezzo di una ridotta funzionalità dell’Anac che, nella circostanza, non sarebbe tra l’altro coerente con l’implementazione delle funzioni (…) la quale, anzi, indurrebbe ad una nuova riflessione nelle sedi opportune sul mantenimento degli obiettivi di contenimento della spesa”.

L’Autorità guidata da Raffaele Cantone ha dovuto sottostare , come tutte le altre, dal decreto del governo del giugno 2014. All’epoca, l’Anac aveva appena preso l’attuale configurazione. Soprattutto, non era stata ancora travolta dalle bufere nazionali. E di magagna in magagna, le maglie di quel decreto sono diventate sempre più strette, paradosso per un organismo che, al contrario, dovrebbe potersi muovere con agilità. Cosa assai difficile anche per la mancanza di personale: l’Autorità lamenta il fatto di avere a disposizione 302 dipendenti contro i 350 necessari. Ne mancano 48, non possono essere assunti perché i limiti di bilancio imposti dal decreto del 2014 lo impediscono. Un paradosso, considerato che quei 50 milioni presenti in cassa e non spendibili sono anche risultato dei risparmi fatti in questi anni attraverso tagli drastici: costi del personale, immobili, acquisto di beni e servizi, collegi, comitati e commissioni. Soldi non pubblici peraltro, perché l’Anac è finanziata dai soggetti vigilati. In sostanza, accade quel che lamentano i Comuni. I vincoli di stabilità generano un assurdo: le amministrazioni più virtuose non possono impiegare le risorse che risparmiano, mentre lo Stato copre i buchi di bilancio di quelle meno efficienti.

Ora, per comprendere la complessità della situazione non si può prescindere dal passato. L’Authority anticorruzione attuale è il risultato della fusione tra altri due organismi: la Civit, che doveva sovrintendere alla pubblica amministrazione, e l’autorità per la vigilanza dei contratti pubblici, dove sprechi e inefficienze erano di casa. Il tutto con costi abnormi: due sedi nel centro di Roma, sei direzioni, personale esterno strapagato, un addetto alle relazioni esterne da 238 mila euro l’anno. Nel piano di riordino dell’Anac si parla di un’organizzazione appiattita verso l’alto, un plotone di dirigenti rispetto al numero complessivo dei dipendenti: 58, cioè uno ogni 5 impiegati. Per alcuni servizi, anche un dirigente ogni tre impiegati. La conflittualità interna era fortissima, e ancora se ne vedono le tracce. Il concorso a otto dirigenti di seconda fascia di quasi otto anni fa è stato annullato dal consiglio di Stato con sentenza passata in giudicato, ma attualmente sospesa. Ci sono poi i procedimenti penali “anche con accuse gravi di corruzione”, ricorda Cantone, che coinvolgono due ex presidenti e due ex consiglieri e nei quali sono indagati “alcuni dirigenti e dipendenti attualmente in servizio presso l’Autorità per i quali, non essendo intervenuto nemmeno un decreto che dispone il giudizio, non è stato possibile adottare alcun provvedimento disciplinare”.