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Arthur Ashe, il nero che conquistò Wimbledon: 40 anni fa lo storico trionfo
Lo statunitense nel 1975 fu il primo tennista di colore a vincere il torneo londinese. Il successo in finale contro Jimmy Connors divenne un simbolo con valore politico e sociale. Un anniversario che l'All England Club non commemora, come da tradizione

Wimbledon crea le leggende, ma per tradizione non le celebra. Così, a 40 anni dalla storica vittoria del primo giocatore nero sul Centre Court, non sono in programma commemorazioni per Artur Ashe. Il vincitore dell’edizione 1975 rimane però nella storia del tennis mondiale.
Un successo di valore politico e sociale
L'attivismo filantropico, l'impegno civile, la lotta contro l'Aids, l'amicizia con Nelson Mandela, ma soprattutto la vittoria dei Championships: quella di Ashe fu una vita piena di sfaccettature da ricordare. Il suo trionfo tennistico a Wimbledon, capace di oltrepassare i confini dello sport per assumere un valore politico-sociale, ancora oggi viene ricordato. "La sua eredità vive ancora oggi – dice la numero 1 al mondo Serena Williams – Quella vittoria è stata importante per tutta la comunità afro-americana, ha rotto le barriere". "Senza di lui non so se oggi sarei qui", le fa eco la britannica Heather Watson.
Un nero in uno sport da bianchi
Ashe nacque il 10 luglio 1943 a Richmond, Virginia, profondo sud degli States. Perse la mamma Mattie Cordell quando aveva solo sette anni e insieme al fratello più giovane fu cresciuto dal padre Arthur Sr., un funzionario delle forze dell'ordine che gli inculcò il senso del dovere e il rispetto della disciplina. Un maestro locale, Ron Charity, ne intravide il talento e decise di allenarlo gratuitamente. Fu l'inizio della vertiginosa scalata di un colore ad uno sport da bianchi. Ottenne una borsa di studio alla UCLA, si arruolò nell'esercito. Nel '63 fu il primo nero convocato nella squadra Usa di Coppa Davis, tre anni più tardi era già tra i migliori al mondo. Nel '68 vinse il suo primo Slam (US Open), due anni più tardi conquistò gli Australian Open.
Il trionfo contro il grande rivale
Fu il 5 luglio 1975 a Wimbledon che Ashe riscrisse la storia. In finale trovò Jimmy Connors, il campione uscente, grandissimo favorito: Ashe non lo aveva mai battuto nei due precedenti, il n.1 al mondo non aveva ancora perso un solo set in quel torneo. Arthur era riflessivo, pacato, vorace lettore, un gentleman della racchetta. Jimbo era impetuoso, emotivo, irruento, un rude che si vantava di non aver mai aperto un libro in vita sua. Il primo sognava di incontrare Mandela, il secondo aveva come idolo Dean Martin. Inevitabile che si detestassero. Pochi mesi prima Ashe aveva accusato Connors di scarso patriottismo per via dei continui forfait agli impegni di Davis. Jimbo aveva replicato facendogli recapitare una denuncia per diffamazione, con richiesta di risarcimento per tre milioni di dollari.
L'impegno civile
Più che un match di tennis, fu un duello rusticano, con un epilogo che stupì il mondo. Il neo-campione Ashe diventò un simbolo della battaglia contro l'apartheid, un'icona dei diritti civili, presidente del neonato sindacato dei tennisti. Si sposò con una fotografa, Jaenne Moutoussamy, e adottò una bambina, Camera. Nel 1980 si ritirò, cinque anni più tardi venne ammesso per acclamazione nella Hall of Fame del tennis. Restò nel mondo del tennis, prima come capitano di Davis e poi da commentatore. Scrisse per Time e Washington Post. Ma i suoi orizzonti spaziavano e a capo di una delegazione di famosi afro-americani visitò il Sudafrica e altri paesi per promuovere l'integrazione razziale. In due occasioni venne arrestato durante manifestazioni di protesta.
L'Aids e la morte
Nel '88 scoprì di aver contratto l'Hiv tramite una trasfusione di sangue avvenuta nel corso di un intervento cardiaco. Riuscì a tenere la notizia nascosta fino al '92, quando, per evitare lo scoop di USA Today venuto a conoscenza della malattia, fu costretto a convocare una conferenza stampa. Morì l'anno successivo. Oggi avrebbe 72 anni. Anche se Wimbledon non lo commemora, nessuno lo ha dimenticato.
Un successo di valore politico e sociale
L'attivismo filantropico, l'impegno civile, la lotta contro l'Aids, l'amicizia con Nelson Mandela, ma soprattutto la vittoria dei Championships: quella di Ashe fu una vita piena di sfaccettature da ricordare. Il suo trionfo tennistico a Wimbledon, capace di oltrepassare i confini dello sport per assumere un valore politico-sociale, ancora oggi viene ricordato. "La sua eredità vive ancora oggi – dice la numero 1 al mondo Serena Williams – Quella vittoria è stata importante per tutta la comunità afro-americana, ha rotto le barriere". "Senza di lui non so se oggi sarei qui", le fa eco la britannica Heather Watson.
Un nero in uno sport da bianchi
Ashe nacque il 10 luglio 1943 a Richmond, Virginia, profondo sud degli States. Perse la mamma Mattie Cordell quando aveva solo sette anni e insieme al fratello più giovane fu cresciuto dal padre Arthur Sr., un funzionario delle forze dell'ordine che gli inculcò il senso del dovere e il rispetto della disciplina. Un maestro locale, Ron Charity, ne intravide il talento e decise di allenarlo gratuitamente. Fu l'inizio della vertiginosa scalata di un colore ad uno sport da bianchi. Ottenne una borsa di studio alla UCLA, si arruolò nell'esercito. Nel '63 fu il primo nero convocato nella squadra Usa di Coppa Davis, tre anni più tardi era già tra i migliori al mondo. Nel '68 vinse il suo primo Slam (US Open), due anni più tardi conquistò gli Australian Open.
Il trionfo contro il grande rivale
Fu il 5 luglio 1975 a Wimbledon che Ashe riscrisse la storia. In finale trovò Jimmy Connors, il campione uscente, grandissimo favorito: Ashe non lo aveva mai battuto nei due precedenti, il n.1 al mondo non aveva ancora perso un solo set in quel torneo. Arthur era riflessivo, pacato, vorace lettore, un gentleman della racchetta. Jimbo era impetuoso, emotivo, irruento, un rude che si vantava di non aver mai aperto un libro in vita sua. Il primo sognava di incontrare Mandela, il secondo aveva come idolo Dean Martin. Inevitabile che si detestassero. Pochi mesi prima Ashe aveva accusato Connors di scarso patriottismo per via dei continui forfait agli impegni di Davis. Jimbo aveva replicato facendogli recapitare una denuncia per diffamazione, con richiesta di risarcimento per tre milioni di dollari.
L'impegno civile
Più che un match di tennis, fu un duello rusticano, con un epilogo che stupì il mondo. Il neo-campione Ashe diventò un simbolo della battaglia contro l'apartheid, un'icona dei diritti civili, presidente del neonato sindacato dei tennisti. Si sposò con una fotografa, Jaenne Moutoussamy, e adottò una bambina, Camera. Nel 1980 si ritirò, cinque anni più tardi venne ammesso per acclamazione nella Hall of Fame del tennis. Restò nel mondo del tennis, prima come capitano di Davis e poi da commentatore. Scrisse per Time e Washington Post. Ma i suoi orizzonti spaziavano e a capo di una delegazione di famosi afro-americani visitò il Sudafrica e altri paesi per promuovere l'integrazione razziale. In due occasioni venne arrestato durante manifestazioni di protesta.
L'Aids e la morte
Nel '88 scoprì di aver contratto l'Hiv tramite una trasfusione di sangue avvenuta nel corso di un intervento cardiaco. Riuscì a tenere la notizia nascosta fino al '92, quando, per evitare lo scoop di USA Today venuto a conoscenza della malattia, fu costretto a convocare una conferenza stampa. Morì l'anno successivo. Oggi avrebbe 72 anni. Anche se Wimbledon non lo commemora, nessuno lo ha dimenticato.