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ITALIA

Crac finanziario

Banca Etruria, archiviazione per 5 ex dirigenti tra cui il padre della ex ministro Boschi

Per il gip la bancarotta non è legata alla mancata fusione con la Popolare di Vicenza:  erano due istituti in crisi, non avrebbe evitato il fallimento 

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Archiviazione per cinque ex vertici della Banca Etruria accusati di bancarotta fraudolenta per la mancata fusione con la Popolare di Vicenza, allora presieduta da Gianni Zonin. 

Sono stati prosciolti dal gip del tribunale di Arezzo, Fabio Lombardo, l'ultimo presidente della Bpel prima del commissariamento Lorenzo Rosi, l'ex vice presidenti Pier Luigi Boschi (padre dell'ex ministro Maria Elena), l'ex vice presidente Alfredo Berni, l'ex presidente Giuseppe Fornasari e l'ex direttore generale Luca Bronchi.

Per tutti il gip Fabio Lombardo ha firmato, come rende noto oggi la cronaca aretina de "La Nazione", il 12 settembre scorso il decreto di archiviazione che era stato chiesto dal pool di pm della procura di Arezzo, diretta dal procuratore capo Roberto Rossi, che indaga sui vari filoni della bancarotta di Banca Etruria. Almeno sul mancato accordo con l'istituto veneto, non si andrà, quindi, a processo. 

Il padre della Boschi, nella sua qualità prima di consigliere e poi di ultimo vicepresidente di Bpel, è stato raggiunto nei mesi scorsi dall'avviso di chiusura indagini per bancarotta semplice per le consulenze d'oro e dalla decisione di un altro gip, Piergiorgio Ponticelli, di prendersi una pausa di riflessione prima di archiviare, come suggerito dalla procura, la vicenda questione della liquidazione dell'ex dg Bronchi. 

Il liquidatore di Banca Etruria, Giuseppe Santoni, accusa gli ex 5 vertici di aver fatto fallire l'intesa e chiede loro 212 milioni di danni nell'azione civile di responsabilità davanti al tribunale di Roma, l'equivalente di quanto Vicenza avrebbe pagato se l'Opa su Etruria fosse andata in porto. 

Rosi, Berni e Boschi hanno sempre sostenuto (più defilati sul punto Fornasari e Bronchi) che non furono loro a far saltare la trattativa e che in ogni caso a Bpel non sarebbe venuto alcun vantaggio, viste le drammatiche condizioni finanziarie (ma all'epoca ancora non si conoscevano) della Popolare veneta, poi messa in liquidazione coatta.

Il gip Lombardo scrive che dagli atti che "sono stati trasmessi, infatti, risulta che il mancato accordo commerciale - per inciso l'unica che nel periodo contestato si era detta disponibile a una fusione con Bpel - in ragione dello stato di crisi in cui entrambi gli istituti di credito versavano, non è idoneo di per sé a ritenere integrati i reati ipotizzati".