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ITALIA

Oristano

Battisti, l'interrogatorio in carcere: "Non sono un killer feroce, agito per movente ideologico"

Le dichiarazioni rese ai pm lo scorso 23 marzo

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"Io non sono un killer ma sono stato una  persona ha creduto in quell'epoca nelle cose che abbiamo fatto e quindi la mia determinazione era data da un movente ideologico e non da un temperamento feroce, quando in una cosa sei deciso e   determinato. A ripensarci oggi provo una sensazione di disagio, ma all'epoca era così". E' parte del verbale dall'interrogatorio che Cesare Battisti, detenuto a Oristano, ha reso davanti ai magistrati di  Milano lo scorso 23 marzo. Così l'ex terrorista dei Pac, che per la prima volta ha ammesso le sue responsabilità rispetto a quattro omicidi per i quali sta scontando l'ergastolo, replica al pm che lo ha accusato di 'freddezza' nel compiere le sue azioni.

"Rapporti con servizi segreti? Pura fantasia"
"Escludo di avere mai avuto rapporti logistici o finanziari da soggetti italiani per favorire la mia latitanza - si legge nel verbale-, quando ero in Brasile mi fu anche contestato da un giudice che io avrei avuto rapporti con i servizi segreti francesi che mi avrebbero favorito, si tratta di pura fantasia".

"Evasi dal carcere di Frosinone grazie a gruppi armati"
Nel suo interrogatorio nel carcere di Oristano, Cesare Battisti afferma di essere evaso dal carcere di Frosinone nel 1981 "grazie all'aiuto di appartenenti a gruppi armati di differente collocazione nel mondo della lotta armata in quanto ritenevano che io avrei potuto incontrare alcuni elementi e portare un messaggio che poi sarebbe stato finalizzato a cessare l'attacco armato nei confronti dello Stato, ma a mantenere la disponibilità delle armi per scopi difensivi e ad aiutare compagni ad evadere". "In realta' - spiega nel verbale- io già dentro di me covavo l'idea della dissociazione e non a caso, pochi mesi dopo, circa due, decisi di abbandonare tutto e tutti e di rifugiarmi in Francia".

"Ordine omicidio Santoro da compagni Veneto"
"Il mio primo omicidio è stato quello del maresciallo Santoro, capo delle guardie carcerarie di Udine - racconta Battisti al pm Alberto Nobili - l'indicazione di commettere l'azione venne dai compagni del Veneto per le 'torture' commesse nel carcere a carico dei detenuti politici. Partecipai all'azione esplodendo soltanto i colpi di arma da fuoco che causarono la morte del Santoro. Non so indicare per quale motivo esatto fu deciso di ucciderlo, a differenza di quanto fu fatto per l'agente di custodia Nigro, in quanto ero appena giunto nel gruppo armato e l'azione era già stata decisa. Per quello che posso dire - prosegue l'ex terrorista - ho appreso che il Santoro si era comportato in modo più violento di Nigro".

"Per quanto riguarda l'omicidio di Andrea Campagna - continua Battisti - cui ho partecipato sparando, l'indicazione è stata data dal collettivo di zona Sud, in quanto era ritenuto uno dei principali responsabili di una retata di compagni del collettivo Barona che erano poi stati torturati in caserma. Lui conosceva bene i soggetti del collettivo Barona in quanto il 'suocero' abitava in quella zona. Per lui fu decisa la morte nel corso di una riunione dei Pac e mi sono reso disponibile all'azione". L'ex leader dei Pac precisa di non essere in grado "di riferire i nomi di coloro dei collettivi del territorio che nei vari casi chiesero il nostro intervento, non per una volontà omertosa, bensì perché essendo io in quel periodo clandestino non era opportuno che avessi contatti che vivevano pubblicamente il territorio. Non voglio coprire nessuno, voglio solo dire come erano le cose".

"Mai avuto a che fare con malavita italiana o straniera"
"Non ho mai avuto a che fare in alcun modo con esponenti della malavita organizzata sia italiana sia straniera, avrei in modo irreparabile compromesso la mia immagine di rifugiato politico ed era contrario a qualsiasi mia concezione; non posso certamente escludere che fra tante frequentazioni che ho avuto   occasione di intrattenere nei 37 anni di latitanza possa essermi imbattuto in persone appartenenti al mondo del crimine comune, ma se questo fosse accaduto sicuramente lo è stato a mia insaputa".

"Latitanza sostenuta da editoria e politica"
"Sono stato sostenuto nella mia latitanza da partiti, gruppi di intellettuali, soprattutto nel mondo editoriale, come sostegno ideologico e logistico. Tra gli italiani nessuno mi ha mai aiutato o ha favorito la mia latitanza; io sono stato sostenuto per ragioni ideologiche di solidarietà e posso anche dire che non so se queste persone si siano mai chieste se io fossi effettivamente responsabile dei reati per cui sono stato condannato" dice Battisti a proposito della sua rete di aiuti. "Io ho sempre professato la mia innocenza, ciascuno è stato libero di   interpretare questa mia proclamazione come meglio ha creduto, ma posso dire che per molti di questi il problema non si poneva, andava semplicemente sostenuta la mia ideologia all'epoca dei fatti. Io sono stato appoggiato per una pluralità di ragioni che vanno sia dal fatto che mi proclamavo innocente, sia dal fatto che in molti paesi non è concepibile una condanna in contumacia e sia perché io cercavo di dare di me l'idea di un combattente della libertà, come io mi sentivo per i  fatti degli anni '70", aggiunge. "Posso dire che gli appoggi di cui ho goduto sono stati il più delle volte di carattere politico, rafforzati dal fatto che io ero ritenuto un intellettuale, scrivevo libri, ero insomma una persona ideologicamente motivata, per cui nessuno sentiva il bisogno di agire contro di me. Questo mio ruolo da intellettuale era anche una precisa garanzia che, a prescindere dal mio passato, ero ormai una persona non più da ritenersi pericolosa e quindi, anche per questo motivo, nessuno mi ha dato la caccia".

"Ebbi documenti falsi da rifugiati dell'epoca di Franco"
Al pm Alberto Nobili, l'ex terrorista ha raccontato di avere usufruito, nel corso della latitanza durata 37 anni, solo per due volte di documenti falsi. "Quando sono andato via dall'Italia - precisa - ho avuto i documenti da un amico di famiglia, quando sono andato via dalla Francia avevo i documenti falsi francesi, credo che provenissero dai rifugiati spagnoli della guerra civile dei tempi di Franco; dall'Italia non ho mai ricevuto alcun documento falso tranne quello di cui ho parlato prima. In tutte le altre occasioni ho utilizzato i miei vari documenti".

"Torregiani e Sabbadin dovevano essere solo feriti"
"Sicuramente non cambia nulla per quanto riguarda la mia posizione, ma tengo per la verità storica che mi riguarda a dire che che nei confronti di Torregiani e di Sabbadin la maggior parte del gruppo dei Pac, me compreso, aveva deciso di   procedere, per ragioni politiche, al solo ferimento" rivela  durante l'interrogatorio. I due commercianti andavano 'puniti' perché si erano mostrati amici dello Stato uccidendo dei rapinatori. "Tuttavia accadde che il Torregiani reagì sparando e pertanto il volume di fuoco nei suoi confronti fu tale da determinarne la morte", racconta l'ex terrorista al pm del pool antiterrorismo della procura di Milano. Al delitto avvenuto a Mestre, invece, Battisti ammette di aver avuto un ruolo "di copertura", e che la persona incaricata dell'azione "lo uccise". Precisazioni rispetto al fatto che in questi anni "sono stato 'massacrato' dalla stampa e dall'opinione pubblica quale principale responsabile della morte" dei due commercianti. A verbale l'ex terrorista confessa che "la prima azione contro persone fisiche cui ho partecipato fu commessa a Milano nei confronti di Fava", il medico 'colpevole' di non concedere troppo certificati medici agli operai dell'Alfa Romeo.