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MONDO

Biden riconosce il genocidio degli armeni. Ira di Erdogan

Sabato la dichiarazione, uno schiaffo a Erdogan. Cinque mesi fa Trump bloccò una risoluzione bipartisan del Congresso Usa. Come sono cambiate le priorità della politica estera americana

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Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan avrà presto un nuovo motivo di infuriarsi con l'amministrazione Biden. Il presidente americano ha deciso di riconoscere come genocidio l'uccisione di 1,5 milioni di armeni durante il periodo della prima guerra mondiale da parte dell'impero ottomano. Lo scrive il New York Times, precisando che l'annuncio è atteso per sabato, 106/mo anniversario dell'eccidio di massa. Biden sarà il primo presidente a farlo, dopo che almeno una trentina di paesi lo ha già fatto. 

Appena pochi mesi fa, a fine Ottobre, il Congresso americano controllato dai democratici, approvò a larghissima maggioranza una mozione che riconobbe il primo genocidio del ventesimo secolo. Poche settimane dopo, a metà Novembre fu il turno del Senato americano, che era ancora a maggioranza repubblicana, a votare all’unanimità il riconoscimento del genocidio armeno. Una scelta bipartisan che è stata anche il frutto di anni di sforzi politici della diaspora armena. 

A conferma del largo consenso che gode la questione armena negli Stati Uniti, un articolo scritto da Samantha Powell, diplomatica che ha servito nella seconda amministrazione Obama e membro del Partito Democratico, celebra il riconoscimento come un atto dovuto e la fine del ricatto della Turchia, la cui “pressione autocratica” aveva spinto gli USA al silenzio “per troppo tempo”. 

Pochi giorni e il governo turco, che nega il genocidio perpetrato dagli ottomani nel 1915 e sostiene che le vittime furono il normale risultato degli scontri della Prima guerra mondiale, convocò l’ambasciatore degli Stati Uniti sventolando la minaccia di chiudere la base militare di Incirlik, dove sono ospitate testate nucleari americane.
 
La mozione votata dal Congresso non era vincolante, l’Amministrazione Trump poté bloccare il processo di riconoscimento. Il presidente, a pochi giorni dal perdere le elezioni, non voleva infastidire la Turchia in un momento in cui bisognava tenersi buono Erdogan in Siria, in Libia e nella Nato. Soprattutto dopo che gli accordi di Abramo avevano riportato il baricentro dell'interesse americano sul rapporto tra Israele - Arabia Saudita, paesi avversari della Turchia.

In cinque mesi molto è cambiato nella politica estera statunitense: riaprendo il dossier iraniano Biden non solo tenta di correggere gli accordi di Abramo, ma di fatto manda un chiaro segnale a Teheran di voler contenere l'influenza di Ankara proprio in Siria e contemporaneamente anche il Libia. Definire Erdogan come "dittatore" l'espressione usata dal nostro Presidente del Consiglio Mario Draghi risulta ancora più comprensibile oggi di quanto non lo fosse stata solo due settimane fa.