Il divorzio dall'Ue
Brexit. Deputati Tory chiedono il voto di sfiducia, May tira diritto: "La mia linea è giusta"
E' stato il giorno più lungo e difficile per la premier britannica. Il governo perde pezzi, con tre ministri che hanno rassegnato le dimissioni. E martedì prossimo il parlamento potrebbe decidere la sua caduta. Ma May non molla: "L'intesa raggiunta onora il mandato referendario". E in capo a 24 ore nomina un nuovo ministro per la Brexit. Un sondaggio, intanto, rivela che la maggioranza dei britannici ora si dice contraria alla Brexit e sostiene un secondo referendum

La Premier britannica Theresa May ha nominato l'euroscettico sottosegretario alla Sanità Stephen Barclay ministro per la Brexit al posto di Dominic Raab, dimessosi ieri perché in disaccordo con il piano di uscita dall'Ue del capo del governo. Lo ha annunciato Downing Street.
Sconosciuto al grande pubblico, ex avvocato delle assicurazioni, Barclay è la terza persona a occupare la carica dopo le dimissioni dei suoi due predecessori, oltre a Raab, David Davis.
La nomina di Barclay è commentata come una sorpresa dagli osservatori, tenuto conto del suo profilo politico relativamente modesto finora, malgrado gli incarichi da sottosegretario prima al Tesoro e poi alla Sanità. Downing Street precisa peraltro che il suo ruolo sarà "diverso" rispetto a quello dell'uscente Dominic Raab. Di fatto non avrà il compito di negoziare in prima fila con Bruxelles -compito ormai affidato a Ollie Robins, un alto funzionario spostato nei mesi scorsi dal dicastero per la Brexit all'ufficio del primo ministro - bensì di preparare "il fronte interno" all'entrata in vigore della Brexit, di occuparsi dei piani operativi in vista sia d'una possibile approvazione parlamentare dell'intesa sul divorzio dall'Ue raggiunta con Bruxelles sia d'un ipotetico "no deal" e di seguire i passaggi a Westminster della nuova legislazione nazionale che il Regno si avvia a introdurre nei vari settori prima dell'uscita dal club europeo.May tira dritto
"Credo con ogni fibra" del mio essere che l'intesa sulla Brexit raggiunta con Bruxelles sia "quella giusta". Così Theresa May parlando ai media da Downing Street al termine di una giornata difficilissima. La premier Tory rivendica di aver negoziato "nell'interesse nazionale, non in un interesse di parte e sicuramente non nell'interesse delle mie ambizioni politiche", dice di capire le ragioni di chi si è dimesso, ma afferma di voler tirare dritto. L'accordo, assicura, onora il mandato referendario pro Brexit.
"Senza questo accordo non sappiamo cosa accadrà"
"Questo accordo è nell'interesse della nazione, possiamo garantirlo solo se restiamo uniti. Se non andiamo avanti con questa intesa, nessuno sa cosa accadrà, si aprirà un percorso profondamente incerto" ha aggiunto la premier britannica, difendendo in conferenza stampa l'accordo raggiunto con Bruxelles pesantemente criticato.
"Fin dall'inizio ho voluto rispettare la decisione del referendum per il pieno controllo dei confini, mettendo fine al libero movimento delle persone, per il pieno controllo dei nostri soldi", "delle nostre leggi", "questa è la Brexit: questa è la Brexit che risponde alle priorità dei cittadini britannici" ha continuato May.
"Sono anche convinta che dobbiamo proteggere le cose che per noi sono importanti, come i posti di lavoro nel settore manifatturiero", ha proseguito. "Questo accordo li protegge, così come" protegge la "sicurezza e l'accordo di pace dell'Irlanda del Nord, lasciando il Regno Unito integro e senza un confine fisico".
"Mozione di sfiducia? L'affronterò"
May si è detta pronta a raccogliere la sfida alla sua leadership nel Partito Conservatore, se una mozione di sfiducia verrà formalizzata. "Sono pronta ad affrontarla", ha tagliato corto, aggiungendo più avanti di confidare che i deputati Tory possano valutare con attenzione il suo operato e la bozza d'intesa sulla Brexit da lei portata sul tavolo.
No all'ipotesi di un nuovo referendum: "Il popolo ha già votato. Via dall'Ue il 29 marzo"
Il popolo ha votato "in massa" al referendum del 2016 e ha votato per la Brexit e il Regno Unito "uscirà dall'Ue il 29 marzo 2019" ha quindi ribadito la premier britannica, confermando di "non essere d'accordo" con chi chiede un referendum bis. "Il popolo ha votato e il nostro dovere è rispettarne la volontà, non convocare un secondo referendum", ha rimarcato più avanti, insistendo di voler continuare a fare il suo "lavoro".
L'appello del sindaco di Londra ai deputati: "Dite 'no' all'intesa"
Il sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan, intanto, implora in un messaggio i deputati britannici di "respingere, per favore", l'intesa sulla Brexit presentata oggi. "I miei funzionari - scrive Khan, da sempre sostenitore di Remain e da qualche tempo schierato in prima fila nella battaglia per cercare di ottenere una rivincita referendaria -sono ora venuti a capo di tutte le 585 pagine dell'Accordo di Ritiro" dall'Ue definito con Bruxelles. E la conclusione è che si tratta "con tutta chiarezza di un cattivo accordo per Londrae per il Regno Unito, destinato a ridurre le opportunitàdisponibili alla prossima generazione". Di qui l'accorato appello del sindaco per un referendum bis, malgrado il secco 'no' di May. "L'intesa va ancora approvata dal Parlamento e ratificata dall'Ue - conclude Khan -, quindi non è troppo tardi per indicare una strada migliore": cioè "dare l'ultima parola al popolo britannico" per scegliere fra "un cattivo accordo, un catastrofico no deal o l'opzione di restare nell'Ue".
Sondaggio: la maggioranza dei britannici vuole un altro referendum
Oltre la metà dei britannici ora si dice contraria alla Brexit e sostiene un secondo referendum sull'uscita o meno dall'Ue. E' il risultato di un sondaggio di Sky Data rilanciato da Sky News. Solo uno su sette ritiene che l'accordo raggiunto dalla premier May con Bruxelles sia migliore di un no-deal o di restare nell'Ue. Il 54% preferirebbe restare nell'Ue, il 32% opterebbe per il no-deal, mentre solo il 14% sostiene i termini negoziati dal governo. Il 55% sosterebbe un referendum tra le tre opzioni - accordo negoziato, no-deal o restare nell'Ue - con un 44% molto convinto nel sostenere un nuovo appuntamente referendario, un'opzione invece respinta dal 35%.
Il giorno più lungo e difficile
E' il giorno più lungo e difficile per la premier Theresa May, sotto accusa per i termini dell'accordo raggiunto con l'Ue per la Brexit. Il suo governo perde pezzi, con tre ministri che danno le dimissioni; due deputati Tory presentano richiesta di tenere un voto di sfiducia nei suoi confronti della premier. E la votazione, se entro stasera arriveranno almeno 48 richieste, potrebbe tenersi già martedì.
Il primo a prendere l'iniziativa è stato il deputato conservatore Jacob Rees-Mogg, uno dei fautori più inflessibili della Brexit nel partito della premier. Il deputato ha criticato l'intesa presentata dalla May, sostenendo che contraddice le promesse elettorali fatte dai Tory e rischia di compromettere l'unità del Regno Unito a causa del backstop tra le due Irlande. Di seguito, anche il collega Henry Smith ha inviato una missiva a Graham Brady, presidente del gruppo parlamentare dei conservatori alla Camera dei Comuni, facendo la stessa richiesta di un voto di sfiducia.
A nulla è valso l'appassionato intervento della May sulla scelta fatta "nell'interesse nazionale". Rivolgendosi ai parlamentari, la premier ha spiegato che il Parlamento britannico dovrebbe decidere se vuole che il Regno Unito lasci l'Unione europea senza alcun accordo, o se sostenere l'attuale accordo raggiunto tra Londra e Bruxelles. Ma senza accordo avremo "più incertezza e divisione" ha ammonito.
Ieri sera, al termine di una riunione di cinque ore, il governo britannico ha dato il suo via libera alla bozza di accordo con la Ue sul divorzio di Londra da Bruxelles, un via libera non senza contraccolpi dato che stamani ha portato alle dimissioni di tre ministri. Stamani alla Camera dei Comuni May ha difeso per ore la bontà dell'intesa sulla Brexit contro una pioggia di critiche da tutti gli schieramenti. Ieri May aveva disdetto la conferenza stampa inzialmente convocata dopo il consiglio dei ministri, limitandosi a tenere una dichiarazione ai media.