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ECONOMIA

Transazioni commerciali

Cgia Mestre: P.A. principale cliente delle aziende italiane con 140 mld di euro

Sono circa un milione le imprese che lavorano per gli enti statali anche se i pagamenti avvengono con difficoltà. Rischio concreto di una supermulta da 2 mld di euro

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di Tiziana Di Giovannandrea
Con i suoi 140 miliardi di euro di commesse all'anno, pari a circa l'8 per cento del Pil nazionale, la Pubblica Amministrazione italiana continua ad essere la principale cliente di una parte importante delle aziende nostrane. Sebbene la puntualità dei pagamenti rimanga ancora una questione irrisolta. 

In termini assoluti le imprese che lavorano per  gli enti statali sono all'incirca un milione. La questione è stata messa in evidenza dal coordinatore dell'Ufficio Studi della Cgia Paolo Zabeo.

L'Associazione degli artigiani di Mestre sollevano inoltre anche un grosso interrogativo: "Dopo la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea nel gennaio scorso - dichiara il segretario della Cgia Renato Mason - corriamo il pericolo di pagare una maximulta da 2 miliardi di euro ?".
 
Il dubbio è emerso in quanto alcuni autorevoli esperti hanno sostenuto che i sistematici ritardi nei pagamenti compiuti dalla nostra PA potrebbero far scattare una sanzione europea come quella ricevuta per le quote latte che, fino ad  ora, ci è costata circa 2 miliardi di euro.

Nella sentenza pronunciata il 28 gennaio 2020, la Corte di Giustizia Europea, riunita in Grande Sezione, ha constatato una violazione da parte dell’Italia della direttiva 2011/7/UE, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, in quanto il nostro Paese non ha assicurato che le sue pubbliche amministrazioni, quando sono debitrici nel contesto di simili transazioni, rispettino effettivamente termini di pagamento non superiori a 30 o 60 giorni di calendario, stabiliti dalla direttiva.

"Sebbene i dati Eurostat dicano che i debiti commerciali di sola parte corrente siano negli ultimi 4 anni in costante aumento, sfiorando nel 2019 i 50 miliardi di euro - puntualizza Zabeo - i ritardi nei pagamenti della nostra PA continuano ad essere un malcostume molto diffuso nel nostro Paese. E alla luce del fatto che quasi la metà di questi mancati pagamenti sono riconducibili alla sanità, perché non ricorrere alla nuova versione del MES 2 , anche per liquidare i fornitori delle nostre aziende ospedaliere?".

"La cosa più inammissibile di tutta questa vicenda - prosegue la Cgia - è che nessuno è in grado di affermare a quanto assomma esattamente il debito commerciale della nostra PA. Sebbene da qualche anno le imprese che lavorano per la PA abbiano l'obbligo di emettere la fattura elettronica. Ricordiamo, inoltre, che l'avvento dell'e-fattura avrebbe dovuto eliminare un altro grosso problema che assilla i fornitori degli enti pubblici: vale a dire lo split payment.

"La nostra PA - conclude Renato Mason - non solo paga con ritardi spesso ingiustificabili, ma quando lo fa non versa più l'Iva al proprio fornitore. Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, scontano anche il mancato incasso dell'imposta che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti correnti. Altresì, con l'introduzione dello split payment, i fornitori si trovano a credito  di Iva, in quanto l'imposta sul valore aggiunto che pagano quando effettuano gli acquisti di beni e servizi non è più compensata da quella incassata sulle fatture attive. Paradossalmente, con una dimensione di crediti Iva importanti, molte aziende finanziano indirettamente lo Stato".