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SALUTE

Chirurgia prenatale: è possibile intervenire chirurgicamente su un feto

Sempre più patologie vengono affrontate, anche chirurgicamente, durante la gestazione: si chiama chirurgia prenatale, in Italia si fa in soli 3 centri, funziona sulla spina bifida, problemi cardiaci del feto, la "competizione" tra gemelli ed altre gravi malattie. L'esperienza del Gaslini di Genova, nell'intervista al prof. Dario Paladini, responsabile di Medicina e Chirurgia Fetale

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Professore, la grande svolta di questi anni sugli interventi precoci nell'infanzia ci ha portato ad operare direttamente in utero, con la chirurgia prenatale. Dobbiamo ancora parlare di "tecnica sperimentale"?
Per chirurgia fetale si intendono una serie di interventi che vengono eseguiti durante la vita in utero, sul feto o sulla placenta. Per ora, le patologie che possono giovarsi di tali interventi sono limitate, ma sono destinate a crescere sempre di più. Ed, ovviamente, non si può parlare di tecniche sperimentali, in quanto non sarebbe etico “sperimentare” sul feto umano. Si tratta di interventi ben validati dal punto di vista scientifico e clinico, che permettono – per determinate patologie – di migliorare in modo importante l’aspettativa e la qualità di vita rispetto al trattamento sul neonato. 

Quali sono le patologie per le quali si effettuano interventi di chirurgia fetale?
La condizione più importante, sia dal punto storico che di risultati, è  la Trasfusione Feto-Fetale. Questa è una complicazione della gravidanza gemellare con due gemelli identici, ma separati da una membrana, la cosiddetta gravidanza monocoriale biamniotica. In questa grave patologia, che riguarda circa il 20% di questo tipo di gravidanze, in pratica un feto è come se rubasse il sangue al gemello. Questo comporta conseguenze purtroppo devastanti nella maggior parte dei casi, in quanto chi “dona” il sangue, cosiddetto gemello donatore, alla fine non riesce a crescere e può non farcela proprio per l'insufficiente apporto di nutrienti ed ossigeno. Ma anche il feto che ruba o “riceve” il sangue in eccesso, definito gemello ricevente, alla fine soffre, in quanto il cuore fetale non sopporta il sovraccarico rappresentato dall’eccesso di sangue: spesso va incontro a scompenso cardiaco ed anche questo gemello può non farcela. 
Se non trattata con la chirurgia intra-uterina, questa condizione può arrivare al 90% di perdite fetali, con seri rischi di danni cerebrali per i sopravvissuti. La chirurgia fetale, in questo caso, consiste nell’entrare nell’utero materno, in anestesia locale, con un’ottica, e di interrompere, coagulandole con un raggio laser, le comunicazioni vascolari presenti sulla placenta, che sono responsabili della sindrome. I risultati con tale approccio sono sicuramente importanti, anche se non ancora ideali.: nel 35-50% dei casi si ha sopravvivenza di entrambi i gemelli, nel 30-35% di un gemello solo, (quale dipende dalla singola gravidanza, non è ovviamente il chirurgo a scegliere), nel 30-35% purtroppo comunque l’intervento non riesce e si perdono comunque entrambi i gemelli.
La vostra unità di Chirurgia Fetale all’Istituto Gaslini di Genova funziona da un anno, quali i risultati
Abbiamo realizzato 21 interventi di chirurgia fetale, in senso lato, di approccio intrauterino a patologie importanti, che minacciavano la sopravvivenza fetale. Ovviamente, anche nel caso del nostro programma di Chirurgia Fetale, la parte del leone l’ha fatta la terapia della sindrome da Trasfusione Feto-Fetale. Ne abbiamo a oggi eseguito 9 interventi, con risultati sovrapponibili a quelli sopra menzionati. Abbiamo anche effettuato con successo una dilatazione di una valvola aortica molto piccola (valvoloplastica) in utero. Pare sia il primo caso tecnicamente riuscito in Italia. Ed altro ancora. 

In Italia ci sono solo 3 centri di chirurgia fetale, il vostro è all'interno di un ospedale pediatrico. Ci sono dei vantaggi?
Assolutamente sì. Dato che la Chirurgia Fetale comprende una serie di interventi “di frontiera” - seppur clinicamente già studiati e validati – da applicare in una serie di patologie fetali (e quindi, successivamente, neonatali) e dato che, come per ogni approccio in utero, vi è uno scotto da pagare in termini di parti pretermine, per rottura delle membrane o altre complicanze, l’avere nella stessa struttura tutte le competenze per il management ottimale sia del parto che della componente chirurgica e neonatologica è un vantaggio eccezionale. Penso che la Chirurgia Fetale rappresenti sicuramente una punta di diamante, una metodica di frontiera, che però ha senso e si giustifica solo se coadiuvata dalle alte competenze presenti nel Gaslini: rianimazione, patologia neonatale, neurochirurgia, cardiochirurgia, chirurgia addominale, solo per citarne alcune.

Quali sono gli sviluppi attesi a breve e medio termine per questa disciplina?
In linea con gli sviluppi internazionali, i nostri prossimi passi riguarderanno l’ernia diaframmatica nel secondo semestre del 2015 e la spina bifida nel 2016. In particolare, è già in stato avanzato il training ed il confronto del personale dell’Unità di Medicina e Chirurgia Fetale con i centri europei di riferimento per il trattamento intra-uterino dell’ernia diaframmatica. Pensiamo che al massimo per la fine del 2015, potrà essere effettuato il primo intervento per questa patologia presso il nostro Istituto, in collaborazione, appunto, con i centri di Barcellona e Leuven dove è stato sviluppato e messo a punto. Ed il Gaslini sarebbe il primo centro italiano annoverato nel consorzio europeo per il trattamento in utero della ernia diaframmatica. 
Nel 2016, se ovviamente le risorse economiche e strutturali lo permetteranno, il programma prevederebbe anche la messa a punto del trattamento in utero della spina bifida. Speriamo, perchè con questa metodica intrauterina si può dimezzare l’incidenza di danni motori gravi alle gambe, e di ridurre drasticamente la necessità di interventire a livello cerebrale per le complicanze che questa grave patologia comporta, se non operata in utero. 

La chirurgia fetale è sempre risolutiva di un grave problema del nascituro?
No, non sempre, ed io ci tengo a sottolineare che il percorso non termina ma inizia con l’atto chirurgico: finisce solo dopo diverse settimane o mesi di ansie ed entusiasmi e nuove preoccupazione e nuovi entusiasmi che costellano il percorso irto di ostacoli ma che, nella maggior parte dei casi, è comunque a lieto fine. In questo percorso, si crea un’alleanza emotiva e psicologica, oltre che medica, tra il Curante e la coppia, che alla fine premia entrambi. Tuttavia, va anche messa in conto la frustrazione e la tristezza che si condivide quando, purtroppo, i risultati non sono quelli attesi e sperati da tutti. Ed è anche nella gestione di queste complicanze, che possono essere di natura medica o chirurgica che l’avere alle spalle una robusta struttura multidisciplinare dedicata proprio alla gestione di queste situazioni che fa la differenza tra il nostro Centro e gli altri.