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ECONOMIA

Rapporto Scenari Industriali

Confindustria: da Covid impatto "immediato e violento". Occupazione tiene, crollo produzione

Il deficit di crescita "è ormai strutturale". E' questa la fotografia che scatta il Centro Studi di Confindustria presentando gli "scenari industriali" di novembre

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Nonostante la "drammatica caduta dell'output manifatturiero" a causa della crisi scatenata dall'epidemia di coronavirus, l'occupazione italiana ha sostanzialmente tenuto per effetto di una serie di 'cuscinetti' che ne hanno impedito il crollo, dalla sostanziosa riduzione degli orari di lavoro fino allo stop ai licenziamenti. A scattare a fotografia in bianco e nero della situazione del mercato del lavoro ai tempi del Coronovirus è il centro studi di Confindustria negli "scenari industriali" di novembre. 

"Dal punto di vista dell'occupazione la drammatica caduta dell'output manifatturiero è stata quasi interamente assorbita dalla riduzione del monte-ore lavorate (-23%), a fronte della sostanziale tenuta del numero degli occupati complessivi (-0,6%). Hanno fatto da cuscinetto un'ampia gamma di forme di riduzione dell'orario, lo smaltimento delle ferie e l'utilizzo di congedi, il ricorso rapido e massiccio a strumenti di integrazione al reddito da lavoro, in primis la Cig in deroga. Ma, naturalmente, ha contato fin qui anche il blocco dei licenziamenti, anche nel confronto internazionale", spiegano gli economisti di viale dell'Astronomia.

L'impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura italiana è stato "immediato e violento". Nei due mesi di lockdown, marzo e aprile, la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale: dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico.

Il recupero dei livelli produttivi da maggio "è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile. Ma le prospettive per i mesi autunnali sono tornate negative, in linea con l'aumento dei contagi a livello globale e con l'introduzione di nuove misure restrittive", ha spiegato il Csc.

Dal punto di vista dell'occupazione "la drammatica caduta dell'output manifatturiero è stata quasi interamente assorbita dalla riduzione del monte-ore lavorate (-23%), a fronte della sostanziale tenuta del numero degli occupati complessivi (-0,6%)". Hanno fatto da "cuscinetto un'ampia gamma di forme di riduzione dell'orario, lo smaltimento delle ferie e l'utilizzo di congedi, il ricorso rapido e massiccio a strumenti di integrazione al reddito da lavoro (in primis la Cig in deroga)". Ma, naturalmente, "ha contato fin qui anche il blocco dei licenziamenti, anche nel confronto internazionale.

Tuttavia, secondo gli economisti di Confindustria, "sta cambiando la struttura dell'occupazione: flette al Centro-Sud (mentre mostra qualche segno di recupero al Nord); risultano in calo le donne, i lavoratori al di sotto dei 35 anni e la componente autonoma dell'occupazione".

Bonomi: alto rischio che Italia non sfrutti opportunità Next Generation Eu
"Il rischio che l'Italia non riesca a sfruttare pienamente l'opportunità" rappresentata dal piano Next Generation Eu "è molto alto". Così Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, nel suo saluto in apertura della presentazione degli 'Scenari industriali' di novembre del Centro Studi dell'associazione.

"Stanti i cronici problemi che affliggono le pubbliche amministrazioni centrali e regionali nell'avviare e portare a termine i progetti finanziati dai fondi comunitari", ha continuato Bonomi, "per minimizzare" questo rischio "sarebbe auspicabile che il piano di ripresa e resilienza fosse perseguito individuando pochi, grandi progetti integrati su nodi strategici per lo sviluppo del paese, e con una governance e policy unitarie a livello nazionale".

"Il piano Next Generation Eu - ha ricordato il leader degli industriali - rappresenta un'opportunità senza precedenti per realizzare programma massiccio di investimenti pubblici e privati, che rilanci la competitività del sistema produttivo italiano nella fase di ripresa dell'economia post pandemia e che rafforzi le fondamenta della sua sostenibilità negli anni a venire, consentendogli di intercettare le traiettorie di sviluppo intorno alle quali si vanno definendo le nuove catene del valore europee e globali".

"Preoccupano i ritardi nel concepire una strategia di sviluppo sostenibile per l'Italia, fondata sul contributo delle imprese. Su questo terreno si gioca il ruolo delle politiche europee e nazionali. L'attenzione per i problemi congiunturali rischia di farci perdere di vista le trasformazioni che da tempo caratterizzano il panorama industriale globale. La globalizzazione cambia natura, come i legami continentali, che cambiano natura e tendono a rafforzarsi", ha detto il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, nell'intervento di apertura dell'incontro per la presentazione del rapporto sugli Scenari Industriali 2020 'Innovazione e resilienza: I percorsi dell'industria italiana nel mondo che cambia'.


Manifattura, l'Italia stabilmente al settimo posto
L'Italia si conferma settima potenza manifatturiera mondiale. All'alba dello scoppio della pandemia da Covid 19, nella classifica 2019 dei principali produttori manifatturieri, l'Italia, con una quota del 2,2%, si colloca davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8%) e dietro l'India (2,9%).

Sul podio resta la Cina (28,2%), seguita dagli Stati Uniti (17,2%). Tra gli esportatori mondiali l'Italia si aggiudica, poi, la performance migliore: secondo il trade performance index elaborato da Wto e Unctad occupa le prime tre posizioni al mondo in otto raggruppamenti settoriali su dodici, subito dietro la Germania.

Il rallentamento produttivo dell'Italia "non costituisce una anomalia nel confronto internazionale". Guardando alle altre grandi economie europee l'Italia mostra, anzi, "una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta, oltre che una maggiore reattività allo shock pandemico".

Secondo gli economisti di Confindustria, per l'economia italiana "il deficit di crescita è però ormai strutturale. Agisce su di esso - oltre a una incertezza divenuta ormai permanente - la graduale erosione della domanda interna, che limita la possibilità per i produttori nazionali di trovare spazio sul mercato domestico".

Spicca in questo ambito il crollo della componente pubblica degli investimenti (in costante flessione dal 2011), mentre la componente privata si è risollevata, anche grazie agli effetti positivi del Programma "Industria 4.0. A partire dal 2014 si è avuta una fase di ripresa dei flussi di investimento (che ha riguardato i soli investimenti privati), arrivata fino al 2018 (tra 2014 e 2018 si registra una variazione positiva di quasi il 13%; ma il livello raggiunto è inferiore di quasi 20 punti percentuali rispetto al picco del 2007).

 L'uscita dalla pandemia, nella visione del Csc, coinciderà con cambiamenti importanti negli stessi driver dello sviluppo, nell'ambito dei quali un ruolo importante sarà svolto dalla transizione green. L'industria italiana "affronta la sfida della sostenibilità ambientale competitiva potendo contare su un vantaggio strategico da first mover rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo già da tempo fatto i conti con un approccio responsabile alla produzione e al consumo di risorse".

Presenta, infatti, un ridotto impatto in termini di rifiuti solidi prodotti, grazie ad un approccio circolare all'uso delle risorse (grazie alle attività di riciclo e recupero è stato infatti possibile re-immettere nel sistema economico l'83% circa dei rifiuti speciali prodotti in Italia, contro l'81% registrato in Germania, il 71% in Francia, il 60% del Regno Unito e una media Ue del 53%) e un ridotto impatto in termini di emissioni di gas serra prodotti dalle attività di trasformazione.

Secondo le stime del Centro Studi Confindustria, la manifattura italiana colloca al quarto posto tra le principali economie globali, al terzo nella Ue, per minor intensità di Co2 (Co2 in rapporto al valore aggiunto), su livelli equivalenti a quelli registrati dalla manifattura tedesca. Rispetto alla media Ue, l'intensità delle emissioni di Co2 della manifattura italiana è inferiore del 31%.

La bassa impronta di carbonio della manifattura italiana nel confronto internazionale è spiegata, soprattutto, da livelli di efficienza ambientale dei processi industriali tra i più elevati al mondo.