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ITALIA

Carcere possibile solo per istigazione all'odio

Corte Costituzionale: cruciale libertà di stampa, ma rischi dai social

Il bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione "non può (...) essere pensato come fisso e immutabile"

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La Corte costituzionale ha depositato oggi le motivazioni della ordinanza n. 132 (redattore Francesco Vigano') con cui ha rinviato all'udienza del 22 giugno 2021 la decisione sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari relative alla pena detentiva prevista in caso di diffamazione a mezzo stampa, in modo da consentire al Legislatore di approvare una nuova disciplina.

Un anno di tempo al Parlamento, per ripensare la legge che prevede fino alla pena del carcere per i giornalisti condannati per diffamazione, in modo da bilanciare in maniera più adeguata, nonché più in sintonia con quanto prevede la Corte Europea dei diritti dell'uomo, la libertà di espressione del pensiero e la libertà di stampa con il diritto alla tutela della propria reputazione.

 Il bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione "non può essere pensato come fisso e immutabile, essendo soggetto a necessari assestamenti, tanto più alla luce della rapida evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione verificatasi negli ultimi decenni", ha affermato la Corte costituzionale.

Il bilanciamento espresso dalla normativa vigente - sottolinea la Consulta - è divenuto ormai inadeguato, e richiede di essere rimeditato dal legislatore "anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (...), che al di fuori di ipotesi eccezionali considera sproporzionata l'applicazione di pene detentive (...) nei confronti di giornalisti che abbiano pur illegittimamente offeso la reputazione altrui", e ciò anche in funzione dell'esigenza di non dissuadere i media dall'esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull'operato dei pubblici poteri.

Il nuovo bilanciamento quindi dovrà "coniugare le esigenze di garanzia della libertà giornalistica (...) con le altrettanto pressanti ragioni di tutela effettiva della reputazione individuale delle vittime di eventuali abusi di quella libertà da parte dei giornalisti; vittime che sono oggi esposte, dal canto loro, a rischi ancora maggiori che nel passato. Basti pensare, in proposito, agli effetti di rapidissima e duratura amplificazione degli addebiti diffamatori determinata dai social networks e dai motori di ricerca in internet".

Un così delicato bilanciamento - ricorda la Consulta - spetta primariamente al legislatore, che è il soggetto più idoneo a "disegnare un equilibrato sistema di tutela dei diritti in gioco, che contempli non solo il ricorso - nei limiti della proporzionalità rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva dell'illecito - a sanzioni penali non detentive nonché a rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come in primis l'obbligo di rettifica), ma anche a efficaci misure di carattere disciplinare, rispondendo allo stesso interesse degli ordini giornalistici pretendere, da parte dei propri membri, il rigoroso rispetto degli standard etici che ne garantiscono l'autorevolezza e il prestigio, quali essenziali attori del sistema democratico".

"In questo quadro, il legislatore potrà eventualmente sanzionare con la pena detentiva le condotte che, tenuto conto del contesto nazionale, assumano connotati di eccezionale gravità dal punto di vista oggettivo e soggettivo, tra le quali si inscrivono segnatamente quelle in cui la diffamazione implichi una istigazione alla violenza ovvero convogli messaggi d'odio".