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ITALIA

I fatti del luglio 2001

G8 Genova, Corte europea dichiara inammissibili i ricorsi dei poliziotti del blitz alla scuola Diaz

"Alla luce di tutte le prove di cui dispone - si legge nella sentenza - la Corte ritiene che i fatti presentati non rivelino alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà enunciati nella Convenzione o nei suoi Protocolli". Ne consegue che le "accuse" mosse dai ricorrenti "sono manifestamente infondate" e il ricorso è "irricevibile"

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A 20 anni esatti dal G8 di Genova del luglio 2001, la Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha dichiarato  'inammissibili' i ricorsi presentati da alcuni poliziotti condannati per l'irruzione alla scuola Diaz. La Cedu, infatti, ha stabilito che  non è ammissibile il ricorso di Massimo Nucera, Agente scelto del  Nucleo speciale del Settimo Reparto Mobile di Roma (che dichiarò di aver ricevuto una coltellata durante l'irruzione nella scuola Diaz), e Maurizio Panzieri, all'epoca dei fatti Ispettore capo aggregato allo  stesso Nucleo speciale (che siglò il verbale su quello che i giudici  ritennero fosse un finto accoltellamento). Entrambi sono stati  condannati a tre anni e cinque mesi (di cui tre condonati).

Allo stesso modo, la Corte europea ha dichiarato 'inammissibile' il  ricorso di Angelo Cenni e altri due colleghi, capisquadra del VII  Nucleo 1° Reparto Mobile di Roma. La Cedu, si legge nel provvedimento  relativo a Nucera e Panzieri, "riunitasi il 24 giugno 2021 in veste di giudice unico ai sensi degli articoli 24.2 e 27 della Convenzione, ha  esaminato il ricorso summenzionato così come è stato presentato. La  Corte ritiene che, nella misura in cui il ricorrente denuncia la  valutazione delle prove e l'interpretazione del diritto da parte delle giurisdizioni interne e contesta l'esito della procedura, il ricorso  fa fronte ad una 'quarta istanza'. Il ricorrente ha potuto presentare  le sue ragioni in tribunale alle quali è stata data risposta con  decisioni che non sembrano essere arbitrarie o manifestamente  irragionevoli, e non ci sono prove che suggeriscano il fatto che il  procedimento è stato ingiusto. Ne consegue che queste accuse sono  manifestamente infondate ai sensi dell'articolo 35.3 a) della  Convenzione. La Corte dichiara il ricorso irricevibile".

Stessa sorte per il ricorso, dichiarato 'inammissibile' dalla Corte  europea, presentato da Angelo Cenni e dai colleghi. La Cedu, si legge  nella decisione, "riunitasi il 24 giugno 2021 in veste di giudice  unico ai sensi degli articoli 24.2 e 27 della Convenzione, ha  esaminato il ricorso summenzionato come è stato presentato. Il ricorso si basa sull'articolo 6.1 della Convenzione. Alla luce di tutte le  prove di cui dispone, la Corte ritiene che i fatti presentati non  rivelino alcuna apparenza di violazione dei diritti e delle libertà  enunciati nella Convenzione o nei suoi Protocolli. Ne consegue che  queste accuse sono manifestamente infondate ai sensi dell'articolo  35.3 a) della Convenzione. La Corte dichiara il ricorso irricevibile".

Nel ricorso presentato da Nucera a Panzieri attraverso  l'avvocato Silvio Romanelli, fra i molti aspetti è sottolineato che  "l'esame condotto dalla Corte di Cassazione non è stato effettivo ed  equo, poiché la stessa non ha realmente preso in considerazione,  confutandole, le ragioni di doglianza esposte dai ricorrenti (…). In  particolare la violazione delle disposizioni normative sopra  richiamate deve essere individuata, sia in relazione alla sentenza  della Corte di Appello che ha ribaltato il giudizio di assoluzione del Tribunale, che in relazione alla sentenza della Corte di Cassazione  che ha rigettato il ricorso degli odierni esponenti, nei seguenti  profili che di seguito di sintetizzano: nell'aver affermato la Corte  di Appello di avere integralmente riportato la relazione di servizio  dell'agente Nucera, quando invece la stessa è stata riportata solo in  parte, restando esclusa proprio quella parte in cui è scritto che vi  erano due incisioni sul corpetto protettivo (prova inconfutabile del  fatto che non esistono due versioni del fatto ma una sola) e che si  era accorto di essere stato accoltellato solo in un secondo momento". Inoltre, "nell'aver la Corte di Cassazione del tutto omesso di  valutare tale aspetto arrivando poi addirittura ad affermare che nella relazione di servizio è scritto che vi era un taglio sul giubbotto e  un'incisione sul corpetto sottostante, affermazione documentalmente  riconoscibile come falsa", e "nell'aver fatto riferimento la Corte di  Appello ad un atto (…) non acquisito e non acquisibile a dibattimento  quale ragione del supposto (in realtà inesistente) cambio di versione  dell'Agente Nucera".

Fra le doglianza, anche quella di aver "modificato la Corte di  Appello, fino a stravolgerle completamente, le dichiarazioni rese in  interrogatorio dall'Agente Nucera in merito alla dinamica del fatto  (malgrado la presenza del video che ne agevola e consente una perfetta comprensione), per poi giungere alla conclusione che tale dinamica -  così come falsamente ricostruita dalla Corte ed attribuita allo stesso imputato - non apparirebbe credibile", e "nel non aver minimamente  tenuto in conto le risultanze della perizia e dell'esame del Perito -  dal quale emerge che non solo vi è compatibilità tra la descrizione  della dinamica dell'aggressione effettuata da Nucera ed i segni  rinvenuti sul giubbotto e sul corpetto (circostanza della quale è dato atto), ma che da tali segni può evincersi con elevata probabilità  prossima alla certezza la prova positiva del fatto che tale  aggressione si sia effettivamente verificata nei termini esatti  descritti dall'Agente Nucera - sostituendo il proprio giudizio a  quello del perito senza neppure esporne le ragioni e senza confutare  in alcun punto le risultanze della perizia e delle dichiarazioni rese  dal Perito nel corso dell'esame".

Infine, "nell'aver affermato apoditticamente la Corte di Appello che la simulazione dell'aggressione ben poteva essere avvenuta ponendo giubbotto e corpetto su un tavolo, senza necessità che fossero indossati, quando la perizia esclude categoricamente tale evenienza,  dando atto che la stessa non è posta in discussione neppure dai  consulenti del pm e delle parti civili; affermazione effettuata dalla  Corte di Appello senza disporre una nuova perizia e senza neppure  contestare gli esiti di quella agli atti, semplicemente sostituendo il proprio immotivato ed arbitrario giudizio a quello opposto, espresso  in termini di certezza dal Perito". Venendo al ricorso presentato da  Cenni e dai due colleghi attraverso l'avvocato Eugenio Pini, poggia su quelle che vengono considerate evidenti lacune.

"L'intero processo - si legge nel ricorso - è basato su un materiale  probatorio carente e lacunoso, e tuttavia, ciò non ha portato ad una  sentenza assolutoria ma ad un accertamento della responsabilità penale a prescindere dalle risultanze processuali. Le fonti testimoniali  raccolte dal giudice della cognizione erano già valse a decretare  l'archiviazione del procedimento nei confronti dei presunti  aggressori. Nonostante la scelta della pubblica accusa di chiedere  l'archiviazione delle imputazioni nei confronti dei possibili  esecutori materiali delle violenze, evidentemente determinata dalle  difficoltà incontrate nella loro individuazione, gli imputati sono  stati dichiarati responsabili per i reati loro ascritti, dal Tribunale di Genova" e "venivano condannati a tre anni di reclusione  (interamente condonati) e alla pena accessoria dell'interdizione dai  pubblici uffici per la durata della pena".

"Si osserva fin d'ora - viene evidenziato - come tale processo, durato quasi otto anni, è stato caratterizzato da un interesse mediatico ed  una pressione sociale senza precedenti, che esorbitava anche dai  confini nazionali. Di tale aspetto è ben consapevole il giudice di  prime cure, il quale sente la necessità di scrivere, nella sentenza,  che 'non appare innanzitutto superfluo, attesa la rilevanza mediatica  del presente procedimento e le generali aspettative circa le sue  conclusioni, ricordare che il compito di questo Collegio è  esclusivamente quello di valutare, secondo le regole stabilite dalla  normativa vigente, gli elementi probatori acquisiti in giudizio, ed in base a tali elementi accertare quindi le eventuali responsabilità  personali dei singoli imputati in ordine ai reati loro specificamente  ascritti. Esula dunque da tale giudizio qualsiasi diversa valutazione  complessiva, di natura politica, sociale od anche di semplice  opportunità, circa i fatti in oggetto".

"Nonostante l'approssimazione e i ragionamenti  apodittici che hanno connotato il giudizio di primo grado - prosegue  il ricorso -, la sentenza del Tribunale di Genova è stata confermata  dalla Corte d'Appello di Genova con un inasprimento di pena.  Avverso tale decisione, è stato esperito ricorso per Cassazione,  conclusosi con la sentenza di non luogo a procedere per  prescrizione dei reati, con condanna alla refusione dei danni per le  parti civili costituite". Nel ricorso, dunque, viene evidenziato che  il processo "è stato condotto in modo iniquo, con modalità tali da  ledere i diritti di difesa e in violazione del principio di  imparzialità del Giudice e della presunzione di innocenza e si è  concluso con una condanna ingiusta e immotivata".  Ne consegue, per i ricorrenti, "la denuncia della violazione  dell'art.6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo per i  seguenti motivi: violazione del principio della responsabilità penale  personale. Non pare possa revocarsi in dubbio il fatto che il processo a carico di Cenni" e dei colleghi, "sia stato accompagnato fin dalle  sue prime battute da 'esigenze mediatiche', abbisognevoli di essere  calmierate, dopo che la stampa di tutto il mondo aveva ingiustamente  indicato le forze dell'ordine italiane, responsabili dei fatti  accaduti all'esito del G8 di Genova". "Chi scrive - annota il legale  nel ricorso - non ignora che le lesioni patite dalle vittime abbiano  potuto far insorgere il sospetto di una inaudita e premeditata  crudeltà, tuttavia non è accettabile che alla grave carenza  investigativa (che non ha consentito né di individuare gli autori dei  fatti, né di verificare se tutte le lesioni fossero davvero frutto di  un doloso eccesso dell'utilizzo delle armi, come ritenuto dall'accusa) possa fare da pendant la 'ricerca di un colpevole a tutti i costi',  come invece è avvenuto nella vicenda giudiziaria in esame". Per i ricorrenti, "la carenza argomentativa delle sentenze di condanna su punti fondamentali della vicenda fa ritenere che esigenze diverse  da quelle squisitamente processuali hanno soggiogato i giudici  italiani, tanto da ingenerare in loro la credenza che fosse preciso  dovere attribuire a qualcuno la penale responsabilità di quanto  accaduto. Seppure il Tribunale di primo grado ha indicato in premessa  la necessità di accertare soltanto le eventuali responsabilità degli  imputati in ordine ai reati loro ascritti, senza trascendere in una  valutazione complessiva di natura politica, sociale od anche di  semplice opportunità, non potrà sfuggire all'attenzione della Corte  adita che le deduzioni contenute nelle sentenze, sia di primo grado  che di secondo grado, sono giustificate solo 'emozionalmente',  rappresentando cedimenti alla umana tentazione di rendere una  decisione idonea a riaffermare la forza dell'autorità dello Stato, messa in discussione".

"La prova più evidente di quanto si va in questa sede  affermando - prosegue il ricorso -, è che nelle sentenze gli imputati  perdono la loro individualità, il loro preciso ruolo e mansione,  finanche la precisa posizione sul teatro degli accadimenti per  divenire un unico organismo, il VII nucleo, responsabile di tutte le  violenze commesse all'interno della scuola Diaz. Ciò che è certo è che i giudici hanno proposto in sentenza ipotesi antagoniste equiprobabili ed è certo che la presenza di ipotesi rivali ragionevoli ha fatto  scendere l'ipotesi accusatoria al di sotto del limite del 'ragionevole dubbio'. Insomma poiché il giudice ha accreditato più spiegazioni  alternative del medesimo fatto storico, allora ognuna di esso non può  dirsi provato oltre ogni ragionevole dubbio e, dunque, la sentenza di  condanna è stata emessa in assenza degli standard probatori richiesti  da ogni ordinamento processuale".

Per i ricorrenti, dunque, si è in presenza di un'"assoluta carenza  probatoria", in quanto "l'intero processo è basato su un materiale  probatorio carente e lacunoso, e tuttavia, ciò non ha portato ad una  sentenza assolutoria ma ad un accertamento della responsabilità penale a prescindere dalle risultanze processuali. Le fonti testimoniali  raccolte dal giudice della cognizione erano già valse a decretare  l'archiviazione del procedimento nei confronti dei presunti  aggressori". Conclusioni che la Cedu ha respinto, a 20 anni dai fatti  del G8 di Genova, dichiarandole 'inammissibili'.