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ITALIA

L’intervista

A Perugia tra Snowden e open web

575 ospiti da tutto il mondo, oltre 200 eventi e 50 workshop gratuiti: cinque giorni d’incontro tra le diverse culture dell’informazione. L’ideatrice, Arianna Ciccone, racconta il Festival Internazionale del Giornalismo

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Arianna Ciccone
di Roberta Rizzo
“La cosa più entusiasmante è l’atmosfera che si respira perché a Perugia, dal 30 aprile al 4 maggio, c’è davvero rappresentato il mondo del giornalismo: dall’Africa alla Russia, passando per la Siria, l’Ucraina, senza dimenticare l’America, l’Inghilterra e l’Europa”. Arianna Ciccone, fondatrice e da otto anni alla guida del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia insieme a Christopher Potter, racconta a Rainews.it il significato di un evento che indaga il rapido cambiamento del giornalismo e l'allenamento costante che serve per stargli dietro. Quest’anno lo slogan scelto è: "Stay fast, stay fit with #ijf14". “Saranno cinque giorni d’incontro tra tutte le culture dell’informazione. È una comunità che si ritrova, torna a confrontarsi e a discutere sul futuro. E quest’anno rischiavamo di non farcela perché non c’erano i soldi (hanno rinunciato al contributo pubblico di Regione e Comune, ndr). Poi, grazie al crowdfunding abbiamo raccolto una nuova sfida: metter su questa piattaforma in soli 10 giorni. Mi dicevo: ‘se arriviamo a 50mila euro è davvero un miracolo’. E invece abbiamo sfondato il tetto dei 115mila con oltre 750 donatori dagli Stati Uniti fino alla Russia".

Chi saranno i protagonisti dell’ottava edizione?

"Sono 575 gli ospiti di quest’edizione del Festival: un numero davvero gigantesco tra giornalisti, blogger, esperti del settore che arrivano da ogni angolo del pianeta. Ospite d’eccellenza sarà il direttore del Guardian, Alan Rusbridger, perché questo, è importante sottolinearlo, è stato l’anno dello scoop del quotidiano inglese e del Washington Post sull’NSA e Edward Snowden, il famoso caso “Datagate”. Tra gli altri interverranno Om Malik, il fondatore di GigaOm, il seguitissimo sito d’informazione su social media e nuove tecnologie. Margaret Sullivan, public editor del New York Times. E ancora Richard Gingras, a capo di Google News e Dan Gillmor considerato il guru della rivoluzione dei media digitali del giornalismo, fino al vicepresidente di Amazon, Diego Piacentini. Ci tengo a sottolineare, però, che quest’anno la presenza femminile è notevolmente aumentata tra gli speaker: siamo arrivati a sfiorare il 40% di donne contro uno 60% di rappresentanza maschile. Del resto ai posti di comando dei grandi giornali resta una forte componente di uomini e questo è un dato di fatto".

Quali sono i temi principali?

"L’effetto Snowden e tutto quello che ha comportato: il significato della sorveglianza di massa, l’importanza della sicurezza e dei diritti della libertà dei cittadini. Un altro tema fondamentale è la centralità del lettore sui processi giornalistici: la sua ascesa nell’era del digital web. Perugia quest’anno ospiterà 200 eventi e 50 workshop gratuiti. Saranno presentati case history, start-up e nuove realtà e tendenze editoriali come "Storyful" o il giornale online olandese "De Correspondent". Nei vari panel di discussione si parlerà anche di donne nei media e media indipendenti in Russia. Poi ci sarà la più importante scuola di data journalism: con 20 workshop aperti a tutti. Sabato 3 maggio, inoltre, il Festival coinciderà con la Giornata mondiale della libertà di stampa. Abbiamo chiamato molti testimoni di spicco a parlarne: dall’Ucraina al Messico fino alla Turchia e oltre. Senza dimenticare l'Europa occidentale, dove Lirio Abbate vive sotto protezione permanente della polizia armata a causa di suoi scritti sulla mafia. Ci sarà anche un giornalista di Al Jazeera che racconterà l’incubo del terrorismo. Tutti questi eventi sono gratis per dare la possibilità a tutti di accedervi: dall’addetto ai lavori al semplice cittadino interessato a certe tematiche".

Il Festival sarà anche l’occasione per fare il punto sullo stato di salute del giornalismo italiano…

"Certo. È purtroppo sotto gli occhi di tutto che i giornali e le aziende editoriali non se la passano molto bene: tantissimi i professionisti mandati a casa. Il caso del Corriere della Sera è esemplare ma potremmo farne molti altri. La spinta della crisi obbliga a fare certi conti. Ritengo che l’Italia abbia vissuto e stia vivendo una propria specifica crisi legata all’anomalia del giornalismo rispetto alla politica. Mi spiego: secondo me quella che viene definita antipolitica è in realtà una spinta speculare alla crisi del giornalismo. Sfiducia dei cittadini non è solo nei confronti del potere della politica in senso stretto, ma anche nei confronti di quello dell’informazione ad esso legato. È un rapporto, quello con il cittadino, tutto da recuperare. Più che mai come oggi, infatti, i social media sono entrati a far parte del sistema d’informazione perché i cittadini possono partecipare attivamente e informarsi direttamente. Un esempio? Non passa giorno senza che Renzi scriva qualcosa su Twitter, potremmo dire perfino che il premier domina la narrazione giornalistica. Un comune cittadino riceve direttamente il messaggio del presidente e può ritwittare immediatamente, dialogando con lui. A questo nuovo rapporto tra comunicazione e politica sarà dedicato un panel con Elisabetta Gualmini, presidente dell’istituto Cattaneo, dove interverranno il responsabile della comunicazione del Partito Democratico, Francesco Nicodemo e Nicola Biondo, capo ufficio stampa del Movimento Cinque Stelle. Tornando alla domanda di partenza, in Italia per uscire dalla crisi bisognerebbe avere il coraggio di sperimentare sempre. Come? Convincendo ad investire sull’informazione. Basti guardare all’esempio del Washington Post: da quando è stato acquistato da Jeff Bezos (Mr. Amazon) è tornato a sperimentare: ha alle spalle un editore in grado di scommettere e di investire per conquistare nuovo pubblico".

La rivoluzione del digitale comporterà la scomparsa definitiva del giornalismo come fino ad ora lo abbiamo conosciuto?

"Per me il digitale non è il web, ma è una cultura. È una cultura radicale. Spesso nei giornali si fa l’errore di “traghettare” semplicemente un articolo dal cartaceo all’online. Ma si tratta di un ambiente completamente differente dal primo. C’è un altro modo di confezionare le notizie e anche il linguaggio è diverso. Ci sono altre tecniche. Perché la notizia che si trova online è di natura “sociale” e la gente vuole partecipare e commentarla. Chi scrive un articolo e poi lo pubblica sul web non ha affatto concluso il suo lavoro: quello è solo l’inizio di un percorso. Una volta entrata in rete la notizia verrà commentata, criticata o condivisa, il più delle volte arricchita di nuove informazioni dagli utenti. Il giornalista non può abbandonarla alla Rete ma deve continuare a seguirla, a verificarla e aggiornarla magari proprio grazie all’aiuto delle nuove fonti che arrivano dai social. Insomma, l’online richiede un impegno decisamente diverso dal tradizionale giornalismo. Per molti equivale alla fine di quest’ultimo. In realtà è un bene. La direttrice del Guardian Australia, Katharine Viner, parla di “ascesa del lettore” nell’era dell’open web: sono loro spesso i più informati su certi specifici argomenti perché direttamente coinvolti, magari, e possono aiutarci a costruire l’informazione più completa e dettagliata possibile. È una volta online che la notizia comincia realmente a vivere".