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POLITICA

La resa dei conti nel Pd

Orlando: nessun accordo con M5S, all'opposizione si possono fare molte cose

"Le battaglie che possono diventare maggioritarie in Parlamento, non penso ad una opposizione che si limita ad una sorta di Aventino ma che abbia un carattere costruttivo", spiega il ministro della giustizia. Prodi: il Pd non è finito, per Rosato "Renzi non parteciperà alle prossime primarie del partito"

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"Io non vedo le condizioni politiche e programmatiche per questa intesa, io anzi la credo impossibile". Così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, uno dei leader della minoranza Pd, ripete il no all'alleanza con M5s. "Credo - aggiunge Orlando su 'Radio Capital' - avremmo difficoltà a spiegare l'accordo con una forza che mantiene ancora dei tratti forcaioli, con una politica economica francamente incomprensibile. I cambiamenti non si fanno con un tweet, necessitano di discussione, anche di andare dalla propria base e dire guardate abbiamo bisogno di andare in un'altra direzione. Dall'opposizione si possono fare molte cose, battaglie che possono diventare maggioritarie in Parlamento, non penso ad una opposizione che si limita ad una sorta di Aventino ma che abbia un carattere costruttivo".  

"La prima questione è che assetto diamo alla presidenza della Camera e del Senato. Evitiamo assi privilegiati con i Cinquestelle ma anche con il centrodestra. Qua si tratta di costruire, come in qualsiasi sistema proporzionale, una intesa quanto più ampia possibile che coinvolga tutte le forze politiche e che dia a Camera e Senato dei presidenti che siano in grado di garantire tutte le parti politiche - prosegue Orlando - Quindi distinguiamo la questione istituzionale da quella della definizione degli assetti di governo". 

"Si tratta di costruire un metodo - aggiunge - mediante il quale si determini un confronto, qual è la soluzione che riesce ad avere il consenso più ampio. Nel maggioritario si era affermata una prassi secondo la quale sostanzialmente chi vinceva si prendeva tutti i due rami del Parlamento. Penso che non dobbiamo in alcun modo tagliar fuori nessuno, è probabile che avremo più opposizioni che non necessariamente si salderanno, proviamo a vedere quali sono le soluzioni che raccolgono il consenso più ampio, tornando allo spirito che porta all'elezione, che impone all'inizio la ricerca di maggioranze ampie".

Orlando poi torna sulle tanto contestate dimissioni di Renzi dopo la debacle elettorale e attacca: "Le dimissioni o le dai o non le dai, non è che poi partecipi alle consultazioni. Una volta appurato questo vediamo quale è la direzione da prendere. Non è che Renzi, che ha preso il 70%, scompare dalla vita politica, dopodichè questo ruolo non puo' essere quello di segretario se si è dimesso". E prosegue: "Qui non c'è solo da fare una frettolosa corsa a scegliere la nuova leadership qui c'è da aprire una fase costituente del partito, la sua fisionomia. Per esempio: basta chiamare la gente ai gazebo o bisogna anche poi discuterci con la militanza sui singoli temi. Serve allora forse ridiscutere le nostre regole di funzionamento interno. Non è che basta cambiare leadership dopo la botta che abbiamo preso - ha concluso - serve costruire una linea politica di dialogo con la società". 

Orlando infine su Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo nelle vesti di premier replica: "Se si vuol candidare alle primarie  è un suo diritto farlo, trovo sia una personalità che può dare un contributo importante al Pd, ha idee diverse dalle mie ma il partito deve essere plurale, è un carattere che dobbiamo recuperare: un partito non può essere il luogo della dittatura della maggioranza, dove chi non è d'accordo non ha alcuna possibilità di incidere, altrimenti il rischio è di essere più poveri. Calenda può rendere più articolato il quadro portando una cultura, diversa dalla mia, ma che deve starci". 

Calenda - dal profilo twitter - intanto rilancia, dopo l'annuncio della sua iscrizione al Pd: "Al momento non c'è nulla da vincere. E per quanto si possa considerare la  cosa un tantino 'volgare' e in contrasto con piu' elegante distacco 'British' resiste idea di fare qualcosa per passione e non  per calcolo. Mi auguro che molta gente vada a iscriversi per ripartire, punto". 

E se il neo iscritto Calenda si prepara, forse, a tentare la scalata al partito, chi sembra aver abbandonato queste velleità è Matteo Renzi: l'ex premier infatti ​"non parteciperà alle prossime primarie del partito", almeno secondo l'attuale capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato.
 



Prodi: il Pd non è finito
 Il Pd è finito? "No, non c'è nulla di irrimediabile in politica, c'è sempre un futuro. Non tutto è irrimediabilmente compromesso". Così l'ex presidente del Consiglio Romano Prodi in un colloquio con Repubblica. "Io alla vigilia ero il più pessimista, ne avevo parlato con tutti. Purtroppo i dati hanno dimostrato che sono stato comunque infinitamente più ottimista del dovuto", aggiunge Prodi. Al popolo di centrosinistra "dico che ci sono, nel senso che seguo con tanta attenzione e partecipazione questo momento così difficile". "I miei sentimenti sono chiari, è un momento difficile, difficile", conclude il Professore.

Sala: per ripartire il Pd guardi a modello Milano
"I 5stelle hanno stravinto al Sud, con le loro nuove promesse. Ma noi possiamo  vivere con l'ennesima profezia di rinascita del Mezzogiorno? Magari accadesse, ma per il presente, a chiunque governi, io suggerisco di guardare a Milano. Il biglietto da visita dell'Italia non può essere che Milano. Nessuno se ne dimentichi". Lo afferma il sindaco di Milano Giuseppe Sala in una intervista a Repubblica. E aggiunge: "Da questo passaggio elettorale mi sono rafforzato nella convinzione che il mio ruolo sia far funzionare ancor di più questa città fantastica. E' la cosa migliore che posso fare per la sinistra e per il mio Paese" e la sinistra  milanese indica al Pd temi come "la condivisione. La lealtà. Le differenze dentro il centrosinistra vanno valorizzate, ma da sette anni a Milano chi vuole bene alla sinistra ha trovato il collante e sa parlarsi chiaro. In questa tornata elettorale abbiamo mantenuto saldamente la vittoria elettorale in centro e se nelle periferie andiamo peggio è perché per trent'anni non le ha guardate nessuno".

E spiega così la ricetta con cui il Pd a Milano comunque vince: "Uno, questa città riconosce i meriti. Due, se si fa l'analisi del voto regionale, viene fuori che Attilio Fontana ha sommato i voti di Roberto Maroni e dell'ex sindaco Gabriele Albertini. Viceversa il Pd, nonostante l'ottimo Giorgio Gori, ne ha persi mezzo milione. Posso esserci tante cause, ma tu Matteo Renzi, se dici che fai il treno elettorale, ci devi stare da mattina a sera, se no, perdi, com'è successo, il controllo dei territori".