ITALIA
Verona
Farah, costretta ad abortire dal padre. "Mi hanno legata al letto e hanno ucciso il mio bambino"
La diciannovenne di Verona aveva già denunciato il padre per maltrattamenti e seguiva un percorso psicologico in un centro anti-violenza. E spuntano i messaggi Whatsapp al fidanzato e alle amiche

"Mi hanno sedata, legata al letto e poi hanno ucciso il mio bambino". Così Farah, la diciannovenne veronese che sarebbe stata costretta ad abortire dal padre nel suo paese d'origine, il Pakistan, aveva chiesto disperatamente aiuto alle amiche e al fidanzato. Il padre, quel figlio concepito con un ragazzo italiano, non voleva accettarlo. Ma la coppia aveva deciso di tenerlo.
La vicenda, pubblicata oggi dal quotidiano L'Arena, ha inizio proprio da quelle richieste di aiuto: i messaggi che la ragazza avrebbe inviato al fidanzato e alle compagne di scuola dal Pakistan. Le stesse che poi avrebbero informato la dirigenza scolastica. Messaggi che descrivono con agghiacciante crudezza quello che sarebbe stata obbligata a fare.
L'istituto nei mesi scorsi aveva deciso di aiutare Farah anticipandole la prova di maturità, per permetterle di portare a termine la gravidanza. Ma in gennaio la famiglia aveva deciso di partire per il Pakistan per una delle visite periodiche ai parenti, forse per un matrimonio. E si era portata con sé la ragazza.
Farah aveva già denunciato maltrattamenti dal padre
Il Comune di Verona ha fatto sapere di conoscere già bene la situazione della ventenne, che dal settembre 2017 aveva aderito al "Progetto Petra", una struttura che si occupa delle violenze sulle donne e che prevede l'accoglienza presso appartamenti segreti e protetti e incontri con psicologi e assistenti. Proprio qui la ragazza era stata ospitata fino al 9 gennaio di quest'anno. Poi, dopo aver assicurato di essersi riconciliata con la famiglia, era uscita, continuando però a seguire il percorso psicologico.
Secondo l'assessore ai servizi sociali del Comune, Stefano Bertacco, il padre e il fratello di Farah sarebbero ora tornati a Verona, ma non permetterebbero alla ragazza, rimasta in Pakistan, di uscire. "Non c'è nessuna volontà da parte della famiglia di lasciare libera la ragazza" - ha detto Bertacco - alla quale, a quanto ci è stato riferito, sono stati sottratti i documenti ed è costantemente sorvegliata dalla madre e dalla sorella".
La vicenda, pubblicata oggi dal quotidiano L'Arena, ha inizio proprio da quelle richieste di aiuto: i messaggi che la ragazza avrebbe inviato al fidanzato e alle compagne di scuola dal Pakistan. Le stesse che poi avrebbero informato la dirigenza scolastica. Messaggi che descrivono con agghiacciante crudezza quello che sarebbe stata obbligata a fare.
L'istituto nei mesi scorsi aveva deciso di aiutare Farah anticipandole la prova di maturità, per permetterle di portare a termine la gravidanza. Ma in gennaio la famiglia aveva deciso di partire per il Pakistan per una delle visite periodiche ai parenti, forse per un matrimonio. E si era portata con sé la ragazza.
Farah aveva già denunciato maltrattamenti dal padre
Il Comune di Verona ha fatto sapere di conoscere già bene la situazione della ventenne, che dal settembre 2017 aveva aderito al "Progetto Petra", una struttura che si occupa delle violenze sulle donne e che prevede l'accoglienza presso appartamenti segreti e protetti e incontri con psicologi e assistenti. Proprio qui la ragazza era stata ospitata fino al 9 gennaio di quest'anno. Poi, dopo aver assicurato di essersi riconciliata con la famiglia, era uscita, continuando però a seguire il percorso psicologico.
Secondo l'assessore ai servizi sociali del Comune, Stefano Bertacco, il padre e il fratello di Farah sarebbero ora tornati a Verona, ma non permetterebbero alla ragazza, rimasta in Pakistan, di uscire. "Non c'è nessuna volontà da parte della famiglia di lasciare libera la ragazza" - ha detto Bertacco - alla quale, a quanto ci è stato riferito, sono stati sottratti i documenti ed è costantemente sorvegliata dalla madre e dalla sorella".