MONDO
Il missionario che incontrò Madiba nel 1996
"Quando incontrai Mandela pregai Dio che gli concedesse lunga vita"
Il ricordo sull'ex presidente sudafricano del padre stimmatino Gianni Piccolboni: "Ha aiutato i neri a liberarsi dell’odio verso i loro oppressori, i bianchi ad aver fiducia del diverso e del nero. Si definiva non un profeta, ma un servitore"

di Cristina Raschio
Padre Gianni Piccolboni appartiene all'ordine religioso degli Stimmatini e da una vita aiuta gli oppressi e gli ultimi nelle sue missioni umanitarie in giro per il mondo. Arriva in Sudafrica nel 1979, in pieno regime segregazionista. Qui conosce Nelson Mandela. Rainews lo ha raggiunto telefonicamente.
"Ci ha chiamati tutti per nome e ci ha ringraziati"
Padre, quando ha incontrato Nelson Mandela? "Nel 1996. Ero in missione a Oukasie, vicino Brits, cittadina vicino Pretoria. Ha camminato a piedi per un po’, quindi è entrato nei territori della missione: qui c'era una folla immensa che lo stava aspettando. Ha salutato tutti noi missionari - eravamo in tre - chiamandoci per nome. Per ringraziarlo della sua presenza gli abbiamo cantato degli inni patriottici e poi abbiamo pregato il Padre Nostro". Che vi siete detti? "Mandela si è intrattenuto con noi per un quarto d’ora, ci ha chiesto della nostra vita, delle nostre attività. Poi ha ringraziato tutti coloro che non si erano piegati all’oppressione. Ha apprezzato il lavoro della Chiesa cattolica nel Paese, 'un lavoro - ha detto - fatto non solo di parole, ma di azioni'".
"Aveva un sorriso meraviglioso e limpido"
Che ricordo ha di Nelson Mandela? "Aveva un carisma e un'umanità superiori alla media, un sorriso meraviglioso e limpido. Era un uomo di spessore, dal fascino irresistibile, magico. Un uomo che si è battuto fino in fondo con un genuino senso di umanità per i diritti di ogni uomo. Che ha insegnato a tutti, bianchi e neri, a liberarsi dalla diabolica convinzione che una razza sia superiore a un'altra, a rispettarsi a vicenda. Aveva grandi ideali di libertà, una profonda convinzione che ogni uomo, ogni vita umana doveva essere accolta, amata rispettata, non odiata, oppressa o sfruttata. Ha aiutato i neri a liberarsi dall’odio verso i loro oppressori, ha aiutato i bianchi ad aver fiducia nel diverso e nel nero. Ha cercato in tutti i modi occasioni di incontro e di riconciliazione". Profetica la sua intuizione di costituire la commissione per la verità e la riconciliazione TRC (Truth & reconciliation committee).
"Ho pregato Dio che gli concedesse lunga vita"
Che cosa pensa di Mandela? "La sua presenza era rassicurante per tutti. Ho pregato spesso che Dio gli concedesse lunga vita. Lui era una sicurezza per tutti. Sapevi che lui c’era. Pochi statisti africani e mondiali avrebbero lasciato il potere volontariamente. Lui l’ha fatto. Uscito di prigione ha detto: 'Io non sono un profeta, ma un umile servitore'. E quando ha ricevuto il premio Nobel per la pace ha voluto dedicarlo ai suoi compagni di lotta, a coloro che hanno creduto come lui nel sogno e nell’ideale della libertà".
"Prime elezioni esperienza bellissima: bambini bianchi e neri insieme"
Lei ha operato in Sudafrica durante l'apartheid. Che aria si respirava nel Paese dopo la scarcerazione di Mandela e durante le elezioni? "Quella delle prime elezioni democratiche è stata una esperienza bellissima. Chiunque avesse un documento di identificazione poteva votare, e dove voleva. La cosa più bella era vedere queste file interminabili di bianchi e neri, l'uno dietro l’altro, che con pazienza aspettavano di votare. I loro bambini giocavano insieme con gli stessi giochi. Una cosa mai vista prima". Non ci furono incidenti? "No, già dalle prime votazioni libere si iniziò a respirare un’aria nuova, si poteva intravedere qualcosa di bello all’orizzonte".
"Il nuovo Sudafrica sta crescendo, la forza è nelle nuove generazioni"
Padre Piccolboni, che ne pensa del nuovo Sudafrica di Mandela? "E' un Paese che sta crescendo con pazienza e determinazione. Sono passati diversi anni, ma non troppi dalle prime elezioni libere e democratiche. C’è ancora del cammino da fare. La forza risiede nelle nuove generazioni che non hanno sperimentato l’orrore dell'apartheid. E su quei prati dove andavano a giocare i bimbi bianchi, ora ci giocano anche quelli neri.
"Durante l'apartheid c'era una quiete di paura"
Ci racconta la sua esperienza dell'apartheid? "Sono giunto in Sudafrica nel gennaio del 1979. Tre anni prima, il 16 giugno del 1976, c’era stata la grande rivolta di Soweto. Gli scontri coinvolsero studenti neri che protestavano contro la politica segregazionista del National Party, il partito degli afrikaner nazionalisti che a quell'epoca era al governo del paese. La polizia soffocò nel sangue la protesta, ci furono 200 vittime. Tra queste, anche un ragazzino di 12 anni". L'evento scosse l'opinione pubblica mondiale. Ci racconti che cosa trovò nel 1979. "Al mio arrivo dominava la quiete, una quiete di paura. Era una pace apparente, c’era la discriminazione razziale: bianchi, asiatici, e neri, tre gruppi che dovevano rimanere separati. Separati fisicamente e nei diritti. Un giorno entrai in un negozio accompagnato da un seminarista di colore. Siamo entrati dalla stessa porta, facendo finta di nulla. Un commesso bianco (noi europei dovevamo essere serviti solo da bianchi sudafricani) gli si è avvicinato e lo ha preso per il colletto della camicia spingendolo verso la porta. Io uscii senza acquistare nulla. Questo era ciò che accadeva durante l'apartheid. Mandela fu un uomo straordinario: quando fu scarcerato non era solo un uomo libero dalle catene, ma libero nel cuore, con la voglia di aiutare gli altri ad essere liberi veramente".
Padre Gianni Piccolboni appartiene all'ordine religioso degli Stimmatini e da una vita aiuta gli oppressi e gli ultimi nelle sue missioni umanitarie in giro per il mondo. Arriva in Sudafrica nel 1979, in pieno regime segregazionista. Qui conosce Nelson Mandela. Rainews lo ha raggiunto telefonicamente.
"Ci ha chiamati tutti per nome e ci ha ringraziati"
Padre, quando ha incontrato Nelson Mandela? "Nel 1996. Ero in missione a Oukasie, vicino Brits, cittadina vicino Pretoria. Ha camminato a piedi per un po’, quindi è entrato nei territori della missione: qui c'era una folla immensa che lo stava aspettando. Ha salutato tutti noi missionari - eravamo in tre - chiamandoci per nome. Per ringraziarlo della sua presenza gli abbiamo cantato degli inni patriottici e poi abbiamo pregato il Padre Nostro". Che vi siete detti? "Mandela si è intrattenuto con noi per un quarto d’ora, ci ha chiesto della nostra vita, delle nostre attività. Poi ha ringraziato tutti coloro che non si erano piegati all’oppressione. Ha apprezzato il lavoro della Chiesa cattolica nel Paese, 'un lavoro - ha detto - fatto non solo di parole, ma di azioni'".
"Aveva un sorriso meraviglioso e limpido"
Che ricordo ha di Nelson Mandela? "Aveva un carisma e un'umanità superiori alla media, un sorriso meraviglioso e limpido. Era un uomo di spessore, dal fascino irresistibile, magico. Un uomo che si è battuto fino in fondo con un genuino senso di umanità per i diritti di ogni uomo. Che ha insegnato a tutti, bianchi e neri, a liberarsi dalla diabolica convinzione che una razza sia superiore a un'altra, a rispettarsi a vicenda. Aveva grandi ideali di libertà, una profonda convinzione che ogni uomo, ogni vita umana doveva essere accolta, amata rispettata, non odiata, oppressa o sfruttata. Ha aiutato i neri a liberarsi dall’odio verso i loro oppressori, ha aiutato i bianchi ad aver fiducia nel diverso e nel nero. Ha cercato in tutti i modi occasioni di incontro e di riconciliazione". Profetica la sua intuizione di costituire la commissione per la verità e la riconciliazione TRC (Truth & reconciliation committee).
"Ho pregato Dio che gli concedesse lunga vita"
Che cosa pensa di Mandela? "La sua presenza era rassicurante per tutti. Ho pregato spesso che Dio gli concedesse lunga vita. Lui era una sicurezza per tutti. Sapevi che lui c’era. Pochi statisti africani e mondiali avrebbero lasciato il potere volontariamente. Lui l’ha fatto. Uscito di prigione ha detto: 'Io non sono un profeta, ma un umile servitore'. E quando ha ricevuto il premio Nobel per la pace ha voluto dedicarlo ai suoi compagni di lotta, a coloro che hanno creduto come lui nel sogno e nell’ideale della libertà".
"Prime elezioni esperienza bellissima: bambini bianchi e neri insieme"
Lei ha operato in Sudafrica durante l'apartheid. Che aria si respirava nel Paese dopo la scarcerazione di Mandela e durante le elezioni? "Quella delle prime elezioni democratiche è stata una esperienza bellissima. Chiunque avesse un documento di identificazione poteva votare, e dove voleva. La cosa più bella era vedere queste file interminabili di bianchi e neri, l'uno dietro l’altro, che con pazienza aspettavano di votare. I loro bambini giocavano insieme con gli stessi giochi. Una cosa mai vista prima". Non ci furono incidenti? "No, già dalle prime votazioni libere si iniziò a respirare un’aria nuova, si poteva intravedere qualcosa di bello all’orizzonte".
"Il nuovo Sudafrica sta crescendo, la forza è nelle nuove generazioni"
Padre Piccolboni, che ne pensa del nuovo Sudafrica di Mandela? "E' un Paese che sta crescendo con pazienza e determinazione. Sono passati diversi anni, ma non troppi dalle prime elezioni libere e democratiche. C’è ancora del cammino da fare. La forza risiede nelle nuove generazioni che non hanno sperimentato l’orrore dell'apartheid. E su quei prati dove andavano a giocare i bimbi bianchi, ora ci giocano anche quelli neri.
"Durante l'apartheid c'era una quiete di paura"
Ci racconta la sua esperienza dell'apartheid? "Sono giunto in Sudafrica nel gennaio del 1979. Tre anni prima, il 16 giugno del 1976, c’era stata la grande rivolta di Soweto. Gli scontri coinvolsero studenti neri che protestavano contro la politica segregazionista del National Party, il partito degli afrikaner nazionalisti che a quell'epoca era al governo del paese. La polizia soffocò nel sangue la protesta, ci furono 200 vittime. Tra queste, anche un ragazzino di 12 anni". L'evento scosse l'opinione pubblica mondiale. Ci racconti che cosa trovò nel 1979. "Al mio arrivo dominava la quiete, una quiete di paura. Era una pace apparente, c’era la discriminazione razziale: bianchi, asiatici, e neri, tre gruppi che dovevano rimanere separati. Separati fisicamente e nei diritti. Un giorno entrai in un negozio accompagnato da un seminarista di colore. Siamo entrati dalla stessa porta, facendo finta di nulla. Un commesso bianco (noi europei dovevamo essere serviti solo da bianchi sudafricani) gli si è avvicinato e lo ha preso per il colletto della camicia spingendolo verso la porta. Io uscii senza acquistare nulla. Questo era ciò che accadeva durante l'apartheid. Mandela fu un uomo straordinario: quando fu scarcerato non era solo un uomo libero dalle catene, ma libero nel cuore, con la voglia di aiutare gli altri ad essere liberi veramente".