ITALIA
il rapporto Isfol
Nei call center soprattutto donne, istruite e scontente
Con un fatturato pari a 1 miliardo e 300 milioni, i call center impiegano circa 80.000 persone

Mentre è in corso a Roma lo sciopero degli operatori dei call center un rapporto redatto dall’ Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (Isfol) e presentato nel corso di un audizione alla Camera dei deputati, disegna il profilo degli 80 mila addetti del settore.
Donne e istruite
Il 70% degli operatori sono donne e il 58% ha meno di 35 anni. Quasi tutte hanno un alto livello di istruzione: il 51,6% è diplomato, il 25,1% laureato e il 17,7% si sta per laureare. Il resto degli occupati hanno tra i 35 e i 50 anni (34%) mentre solo il 7,5% ha più di 50 anni. Indipendentemente dalla fascia di età, quasi 1 operatore su 2 non è soddisfatto del proprio lavoro e ammette di averlo scelto per mancanza di alternative.
Contratti di lavoro
Dal punto di vista contrattuale il lavoro nei call center si caratterizza per un elevato turnover e per la tendenza a utilizzare contratti flessibili. Questo elemento, unito all’alto grado di istruzione della maggior parte degli addetti, ha creato fenomeni di sottoinquadramento (i giovani sono sottopagati rispetto al loro livello di preparazione). "La lunga crisi occupazionale, che ha colpito in misura maggiore la componente più giovane della popolazione, ha prodotto – scrive Isfol - un eccesso di offerta di lavoro anche nei segmenti più istruiti della popolazione. Sono aspetti che hanno favorito l’idea che i call center vadano ad ampliare l’area dei lavori instabili, mal pagati e dequalificati, privi di effetti moltiplicativi sul lungo periodo".
Il business dei call center
Nel 2014 i call center prevedono di raggiungere un fatturato pari a 1 miliardo e 300 milioni, in aumento rispetto all’anno precedente del +5.6%. Positivo anche il trend degli addetti. Secondo le stime dei sindacati sono circa 80.000 gli occupati totali.
I problemi del settore
La competizione tra call center viene giocata tutta sul costo del personale che è la voce che pesa di più sul totale dei costi. In assenza di specifiche regole la compressione dei costi avveniva in passato tramite l’utilizzo di forme di lavoro atipico e flessibile. Ora invece, scrive Isfol, "sembra perseguita prevalentemente tramite delocalizzazioni. La lunga fase recessiva ha posto in evidenza proprio questa tendenza a delocalizzare alcune attività di call center, in specie in Albania, Romania e Tunisia". Secondo alcune stime il fenomeno riguarderebbe circa 10.000 addetti.
Donne e istruite
Il 70% degli operatori sono donne e il 58% ha meno di 35 anni. Quasi tutte hanno un alto livello di istruzione: il 51,6% è diplomato, il 25,1% laureato e il 17,7% si sta per laureare. Il resto degli occupati hanno tra i 35 e i 50 anni (34%) mentre solo il 7,5% ha più di 50 anni. Indipendentemente dalla fascia di età, quasi 1 operatore su 2 non è soddisfatto del proprio lavoro e ammette di averlo scelto per mancanza di alternative.
Contratti di lavoro
Dal punto di vista contrattuale il lavoro nei call center si caratterizza per un elevato turnover e per la tendenza a utilizzare contratti flessibili. Questo elemento, unito all’alto grado di istruzione della maggior parte degli addetti, ha creato fenomeni di sottoinquadramento (i giovani sono sottopagati rispetto al loro livello di preparazione). "La lunga crisi occupazionale, che ha colpito in misura maggiore la componente più giovane della popolazione, ha prodotto – scrive Isfol - un eccesso di offerta di lavoro anche nei segmenti più istruiti della popolazione. Sono aspetti che hanno favorito l’idea che i call center vadano ad ampliare l’area dei lavori instabili, mal pagati e dequalificati, privi di effetti moltiplicativi sul lungo periodo".
Il business dei call center
Nel 2014 i call center prevedono di raggiungere un fatturato pari a 1 miliardo e 300 milioni, in aumento rispetto all’anno precedente del +5.6%. Positivo anche il trend degli addetti. Secondo le stime dei sindacati sono circa 80.000 gli occupati totali.
I problemi del settore
La competizione tra call center viene giocata tutta sul costo del personale che è la voce che pesa di più sul totale dei costi. In assenza di specifiche regole la compressione dei costi avveniva in passato tramite l’utilizzo di forme di lavoro atipico e flessibile. Ora invece, scrive Isfol, "sembra perseguita prevalentemente tramite delocalizzazioni. La lunga fase recessiva ha posto in evidenza proprio questa tendenza a delocalizzare alcune attività di call center, in specie in Albania, Romania e Tunisia". Secondo alcune stime il fenomeno riguarderebbe circa 10.000 addetti.