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ITALIA

L'ex pm di 'Mani pulite'

Trattativa, Di Pietro a Palermo: "Falcone mi disse di controllare gli appalti in Sicilia"

"Borsellino fu ucciso perché indagava sulle commistioni tra la mafia e la gestione degli appalti. L'indagine mafia-appalti fu fermata. Come accadde con Mani pulite". Lo ha detto Antonio Di Pietro al processo d'appello sulla trattativa Stato-mafia davanti alla corte d'assise d'appello

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Antonio Di Pietro (Ansa)
Antonio Di Pietro oggi presente nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, per il processo di appello Stato-mafia. L'ex pm di "Mani pulite" depone davanti alla Corte d'assise d'appello presieduta da Angelo Pellino (giudice a latere, Vittorio Anania) come teste dalla difesa degli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno.

"Conoscevo sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino, avevamo rapporti professionali, non posso certo dire di essere stato loro amico perché li ho frequentati solo per motivi di lavoro", così inizia la deposizione di Antonio Di Pietro. 

"Mi sono occupato di indagini che collegavano Milano a Palermo sia con Borsellino che con Falcone - dice - Il dottor Falcone all'epoca in cui iniziai l'indagine Mani pulite, o meglio quando feci la prima attività esterna con l'arresto di Mario Chiesa, il 7 febbraio 1992, era il direttore generale degli Affari penali a Roma. Io ebbi modo di confrontarmi con anche per ragioni diverse dalle indagini, come l'avvio della informatizzazione degli uffici giudiziari".

"Io all'epoca ero consulente del ministero di giustizia ed ebbi modo di confrontarmi con lui sia nella sua nuova veste di direttore generale agli affari penali sia per la sicurezza delle aule bunker e le carceri di massima sicurezza", dice. E aggiunge: "Falcone mi fece un po' da insegnante, se così si può dire, con le autorità giudiziarie internazionali".

"Falcone mi disse: 'controlla appalti'"
Prima della strage di Capaci, nella primavera del 1992, in pieno periodo di tangentopoli, "Falcone mi disse: 'Guarda negli appalti in Sicilia'. Era un riferimento a coordinare le indagini sul territorio nazionale". Così Antonio Di Pietro proseguendo la sua deposizione al processo d'appello sulla trattativa tra Stato e mafia. "Falcone fu il mio maestro nel campo delle rogatorie - prosegue Di Pietro - mi disse di controllare gli appalti in Sicilia. L'indicazione era quella capire se alcune imprese del Nord si fossero costituite in associazioni temporanee di imprese con imprenditori siciliani per l'aggiudicazione di lavori nell'isola".

"Falcone mi disse che in Sicilia bisognava fare i conti con un terzo soggetto. Accanto ai politici e agli imprenditori, i mafiosi. Ne parlai con Borsellino, che però non mi disse quello che stava facendo, non mi disse che stava lavorando sul rapporto mafia e appalti, e che stava ascoltando il pentito Mutolo. Mi disse però che dovevamo tornare a incontrarci, era convinto
che in Italia ci fosse un sistema di spartizione nazionale attorno agli appalti"  ha detto Antonio Di Pietro.

Il rapporto dei Ros 'Mafia-appalti del 1991'
"Borsellino non mi parlò del rapporto del Ros mafia e appalti del 1991. Ma - ha proseguito Di Pietro - il giorno del funerale di Giovanni Falcone con Borsellino parlammo degli stessi argomenti affrontati con Falcone e rimanemmo che ne avremmo dovuto riparlare. Mi disse 'Bisogna fare presto', in riferimento alla necessità di un coordinamento delle indagini sul territorio nazionale. Come sapete questo non fu possibile. E dopo la sua morte compresi meglio la diffusione del sistema, continuai a indagare e arrivò una segnalazione del Ros su un possibile attentato contro di me". 

"Con il dottor Borsellino non avevamo una indagine comune ma un obiettivo. In quella occasione della camera ardente siamo rimasti che ci saremmo rivisti da lì a breve", ha poi aggiunto Di Pietro. "Ogni giorno si scopriva qualcosa - aggiunge Di Pietro - ma la Sicilia restava silente. Borsellino mi disse: 'Dobbiamo coordinare l'indagine' e di quello ci stavamo occupando". Borsellino alludeva alla necessità di coordinare le indagini sugli appalti in corso a Palermo e Milano, ha ricordato Antonio Di Pietro.

"Capii allora - ha aggiunto - che Borsellino si stava occupando di questo. Cosa di cui ebbi conferma dopo tempo, quando su input del Ros andai a sentire Giuseppe Li Pera, geometra della De Eccher che mi spiegò il sistema degli appalti in Sicilia e mi fece i nomi di Siino e Salamone". Ma Borsellino, il 19 luglio del 1992, venne assassinato e i due magistrati non ebbero il tempo di fare il punto sulla tranche di mani pulite che portava alla Sicilia. "Anni dopo, quando Caselli arrivò a Palermo - ha spiegato - il coordinamento si fece e dopo uno scontro con Ingroia, entrambi volevamo fare le indagini, si stabilirono in una cena a casa di Borrelli le regole per poter indagare contemporaneamente in modo efficace sugli appalti".

"Parte tangente Enimont a Salvo Lima"
L'ex pm di Mani Pulite Antonio di Pietro ha inoltre affermato: "Scoprimmo che parte della tangente Enimont attraverso Paolo Cirino Pomicino era arrivata a Salvo Lima. Parte dei soldi di Gardini - ha spiegato Di Pietro - sono finiti a Salvo Lima in Cct (buoni del tesoro ndr)".

"Il Ros mi informò 2 giorni prima: stanno ammazzando Borsellino"
Dopo la strage di Capaci e pochi giorni prima della strage di via D'Amelio, nell'estate del 1992, l'ex pm Antonio Di Pietro, fu informato "che doveva essere ucciso". Lo dice lo stesso ex magistrato di Mani pulite deponendo al processo sulla trattativa tra Stato e mafia a Palermo. "Due giorni prima dell'omicidio di Borsellino - racconta in aula - il Ros mi informò: "guardate che stanno ammazzando Borsellino" e anche io dovevo essere ammazzato".

"Borsellino ucciso per indagini su appalti"
"Sono convinto - ha concluso Di Pietro - che Paolo Borsellino fu ucciso perché indagava sulle commistioni tra la mafia e la gestione degli appalti. L'indagine mafia-appalti fu fermata. E dopo fu fermata 'mani pulite' attraverso una campagna di delegittimazione e di dossieraggio ai miei danni ordita su input di politici specifici che poi mi spinse a dimettermi dalla magistratura".