ECONOMIA
No Delocalizzazioni Day
I telefoni non squilleranno per un giorno, è lo sciopero dei call center: "Basta delocalizzare"
Il 4 giugno è previsto uno sciopero nazionale e una manifestazione a Roma per rivendicare i diritti degli 80mila addetti del settore

"Stop ai call center che dall'Italia delocalizzano in Albania, Romania, Tunisia per pagare di meno i dipendenti": con questo grido mercoledì 4 giugno i lavoratori con tutte le sigle confederali del settore (SLC Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil) scendono in piazza a Roma. Il corteo parte alle 9.30 da piazza della Repubblica e raggiunge piazza Santi Apostoli per le 12.30. I manifestanti percorreranno via delle Terme di Diocleziano, via Giovanni Amendola, via Cavour, Largo Corrado Ricci, via dei Fori Imperiali, piazza Venezia, via Cesare Battisti.
Una giornata di mobilitazione
Una giornata di mobilitazione generale di tutti i call center in outsourcing per dire "basta all'assenza di regole, alla delocalizzazione selvaggia e a una legislazione sugli appalti che non tutela i lavoratori".
"Problemi cronici nel settore"
Il segretario generale Fistel Cisl, Giorgio Serao è deciso: "I problemi nel settore dei call center sono diventati cronici: chiediamo lo stop alle delocalizzazioni, lo stop delle gare al massimo ribasso che generano un continuo passaggio di commesse da un'azienda all'altra mettendo a rischio il posto di lavoro del singolo che, pur essendo stato assunto grazie alla circolare Damiano con un contratto a tempo indeterminato, se non c'è più la commessa rimane disoccupato: chiediamo quindi l'estensione dell'articolo 2112 del Codice civile per il cambio di appalto in modo che il dipendente mantenga stessa paga e diritti. E chiediamo anche una riduzione dell'Irap che è una tassa sul lavoro: queste sono aziende labour intensive cioè dove il lavoro influisce sul fatturato".
"A rischio 10mila posti nei prossimi mesi"
"Sono a rischio 10 mila posti nei prossimi mesi", prosegue Serao. Intanto il Primo maggio sono finiti a casa i 200 dipendenti di Voice Care, che gestiva per Seat il Pronto pagine gialle 89.24.24, senza cassa integrazione perché la società è fallita. "Abbiamo aperto un tavolo con il ministero dello Sviluppo economico: chiediamo il rispetto dell'articolo 24 bis del decreto Sviluppo del 2012 che obbliga la società ad avvisare 120 giorni prima il ministero del Lavoro e il Garante della privacy del trasferimento dell’attività in un Paese straniero e prevede per i clienti il diritto di scegliere se essere assistiti da un operatore all'estero o in Italia".
Chi lavora nei call center
Sono 80mila in Italia i lavoratori dei call center: età media 35 anni, perlopiù donne. La maggior parte delle imprese si trova al Sud, Palermo, Catania, Taranto, Reggio Calabria, con un giro di affari di 1,3 miliardi di euro. Le 10 aziende più grandi (Almaviva, Comdata, Call&Call, Transcom, Visiant, Teleperformance, Ecare, 3G, Infocontact, Gruppo Abramo) fanno il 66 per cento del fatturato. In questi ultimi anni, il settore sta lentamente collassando, così sempre più operatori hanno iniziato a spostare i servizi di call center fuori dai confini nazionali. E adesso i lavoratori non hanno certezze: tagli ai salari, cassa integrazione e licenziamenti.
La normativa europea
Delocalizzare, poi, significa anche abbassare la qualità del servizio, fanno notare dalla sigla del settore Slc Cgil. Senza contare che in questi casi c'è anche il rischio privacy: il sindacato ricorda che c'è una normativa dell'Unione europea che impone ai call center di affidare i servizi solo a Paesi dell'Ue in modo che i dati dei clienti non viaggino troppo al di fuori dei suoi confini.
La mobilitazione in rete
Sono tante le iniziative sui social network per sostenere la manifestazione in rete, anche un video su Youtube che cerca di spiegare con ironia che cosa sta succedendo nel mondo dei call center.
Una giornata di mobilitazione
Una giornata di mobilitazione generale di tutti i call center in outsourcing per dire "basta all'assenza di regole, alla delocalizzazione selvaggia e a una legislazione sugli appalti che non tutela i lavoratori".
"Problemi cronici nel settore"
Il segretario generale Fistel Cisl, Giorgio Serao è deciso: "I problemi nel settore dei call center sono diventati cronici: chiediamo lo stop alle delocalizzazioni, lo stop delle gare al massimo ribasso che generano un continuo passaggio di commesse da un'azienda all'altra mettendo a rischio il posto di lavoro del singolo che, pur essendo stato assunto grazie alla circolare Damiano con un contratto a tempo indeterminato, se non c'è più la commessa rimane disoccupato: chiediamo quindi l'estensione dell'articolo 2112 del Codice civile per il cambio di appalto in modo che il dipendente mantenga stessa paga e diritti. E chiediamo anche una riduzione dell'Irap che è una tassa sul lavoro: queste sono aziende labour intensive cioè dove il lavoro influisce sul fatturato".
"A rischio 10mila posti nei prossimi mesi"
"Sono a rischio 10 mila posti nei prossimi mesi", prosegue Serao. Intanto il Primo maggio sono finiti a casa i 200 dipendenti di Voice Care, che gestiva per Seat il Pronto pagine gialle 89.24.24, senza cassa integrazione perché la società è fallita. "Abbiamo aperto un tavolo con il ministero dello Sviluppo economico: chiediamo il rispetto dell'articolo 24 bis del decreto Sviluppo del 2012 che obbliga la società ad avvisare 120 giorni prima il ministero del Lavoro e il Garante della privacy del trasferimento dell’attività in un Paese straniero e prevede per i clienti il diritto di scegliere se essere assistiti da un operatore all'estero o in Italia".
Chi lavora nei call center
Sono 80mila in Italia i lavoratori dei call center: età media 35 anni, perlopiù donne. La maggior parte delle imprese si trova al Sud, Palermo, Catania, Taranto, Reggio Calabria, con un giro di affari di 1,3 miliardi di euro. Le 10 aziende più grandi (Almaviva, Comdata, Call&Call, Transcom, Visiant, Teleperformance, Ecare, 3G, Infocontact, Gruppo Abramo) fanno il 66 per cento del fatturato. In questi ultimi anni, il settore sta lentamente collassando, così sempre più operatori hanno iniziato a spostare i servizi di call center fuori dai confini nazionali. E adesso i lavoratori non hanno certezze: tagli ai salari, cassa integrazione e licenziamenti.
La normativa europea
Delocalizzare, poi, significa anche abbassare la qualità del servizio, fanno notare dalla sigla del settore Slc Cgil. Senza contare che in questi casi c'è anche il rischio privacy: il sindacato ricorda che c'è una normativa dell'Unione europea che impone ai call center di affidare i servizi solo a Paesi dell'Ue in modo che i dati dei clienti non viaggino troppo al di fuori dei suoi confini.
La mobilitazione in rete
Sono tante le iniziative sui social network per sostenere la manifestazione in rete, anche un video su Youtube che cerca di spiegare con ironia che cosa sta succedendo nel mondo dei call center.