MONDO
Il modello adottato è quello dei cluster
Italia-Etiopia, insieme per lo sviluppo
I rapporti tra Italia ed Etiopia vivono un momento di intensa collaborazione. Grazie al “Programma Paese” del Ministero degli Esteri

Da un parte c’è la materia prima. Con oltre 52 milioni di capi di bestiame, l’Etiopia ha la più numerosa popolazione bovina dell’Africa e l’ottava al mondo. Dall’altra ci sono tradizione manifatturiera, le competenze tecniche e il gusto del made in Italy.
I rapporti tra Italia ed Etiopia vivono un momento di intensa collaborazione. Grazie al “Programma Paese” del Ministero degli Esteri – 98,9 milioni di euro per il triennio 2013/15 – la Cooperazione Italiana sta creando un ambiente favorevole agli investimenti privati in questo paese dove il Pil cresce del 9% ma il reddito medio pro capite è di appena 1,300 dollari all’anno.
L'Italia e il progetto di Unido
Ad Addis Abeba, la capitale etiopica in pieno boom edilizio, la Cooperazione Italiana finanzia un progetto di Unido, l'Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale, per rilanciare il settore del pellame. Il modello di sviluppo seguito è quello dei cluster. Un cluster è un incubatore di imprese, dove tanti piccoli artigiani si mettono insieme per dividere le spese e aumentare la produzione. La pelle, lavorata nelle grandi concerie pubbliche che sorgono intorno alla capitale, viene acquistata dagli artigiani. Senza il supporto tecnico delle organizzazioni internazionali queste persone, tra cui donne e giovani, non avrebbero il know how necessario per realizzare prodotti di qualità. Soprattutto scarpe.
Come funzionano i cluster
Invece di farsi competizione a vicenda, gli artigiani lavorano insieme e così aumentano la produzione e si aprono ai mercati internazionali. “Cerchiamo di introdurre in Etiopia i modelli già presenti nei paesi industrializzati. Il progetto dei cluster di Addis Abeba – dice Aurelia Calabrò, capo Unità Sviluppo Imprenditoria Rurale di Unido – è ispirato ai distretti industriali italiani. Per gli artigiani etiopici che lavorano nel pellame, infatti, l'Italia è sinonimo di qualità e successo”.
I rapporti tra Italia ed Etiopia vivono un momento di intensa collaborazione. Grazie al “Programma Paese” del Ministero degli Esteri – 98,9 milioni di euro per il triennio 2013/15 – la Cooperazione Italiana sta creando un ambiente favorevole agli investimenti privati in questo paese dove il Pil cresce del 9% ma il reddito medio pro capite è di appena 1,300 dollari all’anno.
L'Italia e il progetto di Unido
Ad Addis Abeba, la capitale etiopica in pieno boom edilizio, la Cooperazione Italiana finanzia un progetto di Unido, l'Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale, per rilanciare il settore del pellame. Il modello di sviluppo seguito è quello dei cluster. Un cluster è un incubatore di imprese, dove tanti piccoli artigiani si mettono insieme per dividere le spese e aumentare la produzione. La pelle, lavorata nelle grandi concerie pubbliche che sorgono intorno alla capitale, viene acquistata dagli artigiani. Senza il supporto tecnico delle organizzazioni internazionali queste persone, tra cui donne e giovani, non avrebbero il know how necessario per realizzare prodotti di qualità. Soprattutto scarpe.
Come funzionano i cluster
Invece di farsi competizione a vicenda, gli artigiani lavorano insieme e così aumentano la produzione e si aprono ai mercati internazionali. “Cerchiamo di introdurre in Etiopia i modelli già presenti nei paesi industrializzati. Il progetto dei cluster di Addis Abeba – dice Aurelia Calabrò, capo Unità Sviluppo Imprenditoria Rurale di Unido – è ispirato ai distretti industriali italiani. Per gli artigiani etiopici che lavorano nel pellame, infatti, l'Italia è sinonimo di qualità e successo”.