ECONOMIA
Minoranza del partito in pressing
I sindacati aspettano l'invito del premier. Ma intanto vengono bocciati dagli elettori Pd
Verso una settimana "calda" sul fronte lavoro. Un sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera sottolinea che le parti sociali sono giudicate negativamente da chi vota il Partito democratico

Due elettori su tre del Partito democratico bocciano i sindacati. A sostenerlo è un sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera secondo cui l'accusa principale che si fa alle parti sociali è di aver preferito la politica al lavoro. La maggioranza degli intervistati, insomma, ritiene che i sindacati non rappresentino più giovani e precari. Intanto, aspettando la settimana decisiva per la riforma del lavoro, ribattezzata all'americana Jobs Act, la "perfetta letizia" è molto difficile da praticare sia sul fronte sindacale sia su quello politico senza dimenticare i tavoli infuocati sulle crisi aziendali che assediano il Paese. Lo riconosce il premier Renzi da Assisi e non potrebbe non farlo viste le dichiarazioni poco concilianti che gli arrivano dai diversi fronti.
Incertezza sull'incontro governo-sindacati
Martedì prossimo la legge delega sul lavoro andrà in discussione in aula al Senato e il governo ha l'obiettivo di ottenere il via libera per il giorno dopo, giusto in tempo per il vertice europeo sul lavoro di Milano previsto proprio mercoledì. Sempre martedì i sindacati, secondo quanto annunciato da Renzi, saranno convocati a palazzo Chigi. Dopo mesi di confronto a mezzo stampa, inizieranno un confronto faccia a faccia con il governo. Al momento però i sindacati non hanno ricevuto alcuna convocazione né formale né informale, e non è ancora certo quale sarà l'oggetto del confronto. Dopo tanti attacchi il sindacato è diventato scettico sulla volontà di dialogo del premier. E il segretario della Fiom Maurizio Landini teme "una convocazione di facciata" tanto per dire "ho sentito pure i sindacati". Al momento sembra certo che governo e sindacati non parleranno di articolo 18.
La sfida del premier
I punti sui quali Renzi è disposto a "sfidare" i sindacati sono quelli annunciati durante la direzione del Pd: "Una legge sulla rappresentazione sindacale; la contrattazione di secondo livello e il salario minimo". In mancanza di una lettera di convocazione dove di solito vengono precisati i punti di discussione Maurizio Sacconi, capogruppo Ncd al Senato e relatore di maggioranza del Jobs Act, precisa che "il confronto del governo con i sindacati dovrà concentrarsi sui temi che loro competono come rappresentatività e contrattazione". Ergo: nessun confronto sulle modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Piaccia o meno, mentre dalla trincea delle crisi aziendali continuano ad arrivare notizie di aperture di procedure di mobilità, la discussione sulle possibili varianti giuridiche all'articolo 18 continua a tenere occupato il mondo economico politico.
Le resistenze interne al Pd
A pochi giorni dalla discussione al Senato non si sa ancora se quanto deciso dall'ultima direzione del Pd sarà tradotto in un emendamento del governo o in un ordine del giorno o in un nulla di fatto. In quest'ultimo caso la minoranza Pd potrebbe decidere di votare i propri emendamenti comunque. "Io non pretendo di dare la linea, la linea la dà la maggioranza ma nessuno può impedirmi di votare gli emendamenti, o addirittura quelli che presenterò io", ha detto l'ex ministro del lavoro Cesare Damiano. Mentre per Stefano Fassina la delega così com'è è "una delega in bianco" e se resta così "non è votabile". L'ipotesi che il governo ponga la fiducia rende nervosi gli animi. "Se il governo scegliesse la via della fiducia sarebbe un errore", attacca Gianni Cuperlo mentre il ministro del lavoro Giuliano Poletti, al quale tocca il ruolo del mediatore, parla di "composizione delle diverse posizioni" per evitare l'atto di forza.
Ma il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini fa notare che "il Paese deve correre e la tempistica ha una sua importanza"
Incertezza sull'incontro governo-sindacati
Martedì prossimo la legge delega sul lavoro andrà in discussione in aula al Senato e il governo ha l'obiettivo di ottenere il via libera per il giorno dopo, giusto in tempo per il vertice europeo sul lavoro di Milano previsto proprio mercoledì. Sempre martedì i sindacati, secondo quanto annunciato da Renzi, saranno convocati a palazzo Chigi. Dopo mesi di confronto a mezzo stampa, inizieranno un confronto faccia a faccia con il governo. Al momento però i sindacati non hanno ricevuto alcuna convocazione né formale né informale, e non è ancora certo quale sarà l'oggetto del confronto. Dopo tanti attacchi il sindacato è diventato scettico sulla volontà di dialogo del premier. E il segretario della Fiom Maurizio Landini teme "una convocazione di facciata" tanto per dire "ho sentito pure i sindacati". Al momento sembra certo che governo e sindacati non parleranno di articolo 18.
La sfida del premier
I punti sui quali Renzi è disposto a "sfidare" i sindacati sono quelli annunciati durante la direzione del Pd: "Una legge sulla rappresentazione sindacale; la contrattazione di secondo livello e il salario minimo". In mancanza di una lettera di convocazione dove di solito vengono precisati i punti di discussione Maurizio Sacconi, capogruppo Ncd al Senato e relatore di maggioranza del Jobs Act, precisa che "il confronto del governo con i sindacati dovrà concentrarsi sui temi che loro competono come rappresentatività e contrattazione". Ergo: nessun confronto sulle modifiche all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Piaccia o meno, mentre dalla trincea delle crisi aziendali continuano ad arrivare notizie di aperture di procedure di mobilità, la discussione sulle possibili varianti giuridiche all'articolo 18 continua a tenere occupato il mondo economico politico.
Le resistenze interne al Pd
A pochi giorni dalla discussione al Senato non si sa ancora se quanto deciso dall'ultima direzione del Pd sarà tradotto in un emendamento del governo o in un ordine del giorno o in un nulla di fatto. In quest'ultimo caso la minoranza Pd potrebbe decidere di votare i propri emendamenti comunque. "Io non pretendo di dare la linea, la linea la dà la maggioranza ma nessuno può impedirmi di votare gli emendamenti, o addirittura quelli che presenterò io", ha detto l'ex ministro del lavoro Cesare Damiano. Mentre per Stefano Fassina la delega così com'è è "una delega in bianco" e se resta così "non è votabile". L'ipotesi che il governo ponga la fiducia rende nervosi gli animi. "Se il governo scegliesse la via della fiducia sarebbe un errore", attacca Gianni Cuperlo mentre il ministro del lavoro Giuliano Poletti, al quale tocca il ruolo del mediatore, parla di "composizione delle diverse posizioni" per evitare l'atto di forza.
Ma il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini fa notare che "il Paese deve correre e la tempistica ha una sua importanza"