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MONDO

Proteste anti Maduro

Italiano arrestato in Venezuela per sovversione

Da quasi tre settimane Giuseppe Di Fabio è in un carcere venezuelano. Per l'accusa avrebbe partecipato alle manifestazioni di protesta. Ma la famiglia smentisce: "Era altrove". E lancia l'appello alle forze politiche per la liberazione

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Giuseppe Di Fabio
di Emma FarnèCaracas (Venezuela)
"Da tre settimane non ho notizie di mio fratello. E' recluso in una cella di tre metri per tre con altre sei persone. Li svegliano alle quattro del mattino, devono cantare l’inno e poi lavorare per tutto il giorno col piccone, sotto il sole a 40 gradi. Lo accusano di aver partecipato a violenze in una manifestazione. Ma lui neanche c'era". A parlare è la sorella di Giuseppe Di Fabio, italo-venezuelano di 26 anni recluso in Venezuela dal 3 febbraio. Il giovane è consigliere a Maneiro, sull'isola di Margarita per Voluntad Popular. Lo stesso partito di Leopoldo Lopez, il leader dell'opposizione a Maduro accusato di istigazione alle violenze. 

L'accusa per Di Fabio
Secondo le autorità venezuelane, Di Fabio stava partecipando a una manifestazione all'albergo Venetur di Porlamar, sull'isola Margarita. Nella struttura alloggiava la squadra cubana di baseball per gareggiare alla "Serie del Caribe": un gruppo di manifestanti avrebbe aggredito la squadra perché rappresenta una nazione alleata con il governo di Maduro. Per il procuratore Erarthy Salazar Di Fabio era con loro. Da cui le accuse: associazione per delinquere, istigazione alla violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Con l'italo-venezuelano, sono stati arrestati anche altri sei ragazzi. Tutti sostenitori di Voluntad Popular.

La difesa 
La famiglia e i legali di Di Fabio però smentiscono la versione delle autorità venezuelane. "Quel giorno mio fratello non era neanche a Margarita. Era a Cantaura, a una fiera di caccia sul continente - racconta la sorella Rosalia Isabel che vive in Abruzzo - "Ne abbiamo le prove e sono in mano agli avvocati. Quando è tornato da Cantaura, è andato a parlare in un programma radiofonico. Finita la trasmissione, l'hanno aspettato all'uscita e l'hanno portato in carcere. Dopo un giorno, l'hanno trasferito dall'isola a Barcelona, nel penitenziario di Puente Ajala. Lo chiamano l'inferno". Dall'inizio di febbraio, la famiglia l'ha visto solo una volta. "Mia sorella va lì tutti i giorni, ma non la fanno entrare", racconta Rosalia. Intanto, su twitter è partita la mobilitazione per liberare il giovane, con l'hashtag #LiberenaGiusseppe

Le istituzioni italiane
Del caso si sono interessati alcuni deputati italiani. "Abbiamo scritto all'ambasciata e abbiamo avuto una risposta immediata. Abbiamo anche inviato un appello al ministero degli Esteri", spiega il deputato del Pd Marco Fedi. Con Fabio Porta, presidente del Comitato permanente italiani hanno contattato l'ambasciatore italiano a Caracas, Paolo Serpi. "L'ambasciatore", spiegano Porta e Fedi, "ci ha reso noto che il consolato generale di Caracas è in costante collegamento con i familiari e i legali di Di Fabio. E' già stata avanzata alle autorità locali la richiesta di visita consolare, nel corso della quale sarà possibile constatare lo stato di salute del connazionale". 

Gli italiani in Venezuela
Nello Stato vivono circa 130mila italiani e circa due milioni di persone discendenti da immigrati italiani. E' la seconda comunità più numerosa nel Paese, dopo quella spagnola. In questi giorni di proteste, sono molte "le segnalazioni di persone che vivono con grande preoccupazione quello che sta succedendo", spiega l'onorevole Porta. "Abbiamo segnalazioni per l’esasperazione del confronto politico. A Valencia, Maracaibo, Caracas. Dopo una certa ora la gente non esce per strada. C'era già prima la sensazione di insicurezza. Ma ora è aggravata dalle tensioni".