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MONDO

Da otto anni in carcere

Iran, torna libera Sakineh, condannata per adulterio è stata graziata

La donna inizialmente condannata alla lapidazione per aver contribuito all'uccisione del marito assieme al suo presunto amante, era stata al centro di campagna internazionale che ha portato alla commutazione della pena

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Roma
La sua vicenda commosse il mondo che si mobilitò per lei, salvandola dalla lapidazione e dall'impicaggione. Oggi l'iraniana Sakineh Mohammadi-Ashtiani, condannata per adulterio e per aver contribuito all'uccisione del marito assieme al suo presunto amante, è tornata in libertà, rilasciata dopo 8 anni di carcere grazie all'amnistia concessa per buona condotta. A dare la notizia è stato Mahamad Javad Larijiani, il responsabile dei diritti umani in Iran che ha però precisato che non è chiaro se la notizia sia o meno definitiva. Un altro segno della politica distensiva del presidente Rohani.

Il provvedimento di clemenza è stato adottato martedì in coincidenza con l'anno nuovo secondo il calendario iraniano (il nuovo anno è il 1393 dall'emigrazione di Maometto dalla Mecca alla Medina). Lo riferisce l'avvocato di Pordenone Bruno Malattia, che ha patrocinato il caso di Sakineh al Parlamento Europeo, dove è stato predisposto un dossier sulla innocenza, anche grazie alla collaborazione dall'avvocato Hutan Kia che in Iran l'aveva difesa.

Sakineh Mohammadi-Ashtiani, 47 anni, di Tabriz, nel nord-ovest dell'Iran, è stata condannata nel 2006, sotto la presidenza di Mahmud Ahmadinejad, alla lapidazione per adulterio, con sentenza poi sospesa nel 2010. Ma ha rischiato poi l'impiccagione in un processo per l'uccisione del marito.

Nel 2010 il Comitato internazionale contro la lapidazione, con sede in Germania e guidato dalla dissidente iraniana Mina Ahadi, aveva dato notizia della imminente impiccagione di Sakineh e poco più di un mese dopo del suo rilascio. Notizia smentita dalle autorità iraniane, che l'attribuì ad un'azione di propaganda della stampa occidentale. La tv di stato iraniana mostrò la donna che confessava l'adulterio e la complicità nell'omicidio del marito: una confessione secondo il figlio della donna estorta con la tortura.  

Nel 2011 fu dato l'annuncio della sospensione dell'impiccagione, anch'esso smentito dalla magistratura iraniana. Solo nel 2012 gli avvocati dissero che il regime islamico non pensava più alla sua impiccagione ed era propenso a tramutarle la pena in 10 anni di carcere.