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MONDO

Dalla Cambogia al Ruanda

La memoria di storie brutali, un abito alla volta

Julia Brennan- esperta statunitense nella conservazione di capi di abbigliamento per musei e collezionisti- raccoglie, aggiusta e conserva i vestiti indossati dalle vittime di atrocità di massa per ricostruire la loro storia e non dimenticare

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Julia Brennan (Ap)
Dalla Cambogia al Ruanda raccogliere, aggiustare e conservare i vestiti indossati dalle vittime di atrocità di massa per ricostruire la loro storia e non dimenticare: è questo il lavoro insolito, una vera e propria missione, di Julia Brennan, esperta statunitense nella conservazione di capi di abbigliamento per musei e collezionisti. Un impegno senza fine che richiede una grande disciplina e costanza, tutte qualità che fanno di Brennan una delle massime esperte al mondo, consapevole che non solo i vestiti delle celebrità hanno un valore importante per la storia dell'umanità.

A raccontare l'attività della collezionista di 62 anni è il New York Times, con un reportage nel suo ufficio a Washington dove da cinque anni riceve regolarmente grandi casse stracolme di capi ammucchiati, sporchi, mal conservati a cui dà una seconda vita. C'erano pochi precedenti e nessun protocollo standard per questo lavoro, finanziato in parte dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

Tra i 'referti' che sta restaurando e riordinando ci sono migliaia di indumenti provenienti da una famigerata prigione dei Khmer rossi, al potere dal 1975 al 1979 in Cambogia, responsabili della morte di 1,6 milioni di cittadini, quasi un quarto dell'intera popolazione. Altri capi che Brennan sta trattando con la massima cura ci sono anche quelli macchiati di sangue raccolti dalle vittime del genocidio ruandese del 1994.

"I tessuti sono così spesso dimenticati, ma anche una semplice maglietta può conferire specificità umana a un atto di violenza impensabile" ha riferito Brennan al quotidiano newyorkese. Dallo studio dei vestiti consegnati, l'esperta identifica chi ha indossato un capo, in quali circostanze, quale tipo di violenza ha subito. Oltre l'aspetto memoriale, per la studiosa rappresentano anche importanti prove forensi. "Non sappiamo cosa vorranno fare i governi, i conservatori, le parti interessate e gli storici in futuro, quali informazioni estrarranno da queste raccolte di capi" ha sottolineato Brennan.

In un ex carcere cambogiano, poi diventato il museo del genocidio Tuol Sleng di Phnom Penh, ha aiutato i locali a recuperare un mix di uniformi militari e abiti civili rinvenuti in un deposito nel 2014, 35 anni dopo la fuga dei Khmer rossi, che erano accatastati in sacchi della spazzatura quindi gravemente danneggiati dall'umidità e dagli insetti.

Un'altra sfida è stato risistemare vestiti indossati da migliaia di ruandesi massacrati nel 1994 nella chiesa in cui si erano rifugiati, credendosi al sicuro. I sopravvissuti hanno commemorato le vittime ammucchiando i loro vestiti sui banchi e nel 1997 la chiesa crivellata di proiettili è diventata il Memoriale del genocidio di Nyamata.

La conservazione di queste collezioni era difficile per molte ragioni: le loro dimensioni e le cattive condizioni, la responsabilità di salvaguardare questa storia come un outsider, ma principalmente perché lavare i vestiti era fuori discussione. "Se avessimo pulito tutto, avremmo rimosso molte informazioni, tra cui tracce di Dna" ha spiegato Brennan che ha studiato nuove tecniche e utilizzato varie sostanze, molte naturali, per pulire i capi dal sangue o rimuovere la muffa. Con un essiccante dell'industria agricola ha trovato un rimedio a basso costo per togliere l'umidità dai vestiti mentre in una specie di gabbia utilizzata per le palline da bingo adattata alle sue esigenze ha potuto ammorbidire quelli che si erano come pietrificati.

Il progetto Nyamata - partnership tra la Commissione nazionale del Ruanda per la lotta contro il genocidio e PennPraxis, istituto di ricerca presso l'Università della Pennsylvania - ha restituito colore e forma ai vestiti delle vittime del genocidio. Sia in Ruanda sia in Cambogia l'esperta statunitense ha anche formato e accompagnato gli addetti locali nel recupero dei capi di chi ha subito violenze di massa.

L'esperta Usa è nata in Indonesia e da bambina ha vissuto in Nepal e Bangladesh, mentre il padre lavorava al dipartimento di Stato. Dopo aver studiato storia dell'arte al Barnard College, ha lavorato come apprendista presso un conservatore di tessuti a Filadelfia e dopo un decennio ha fondato il proprio studio a Washington.

"E' un lavoro contemplativo e disciplinato" ha spiegato l'esperta che, oltre la cura metodica di ogni capo che prende in mano rigorosamente con guanti di plastica, si immagina la persona che lo indossava, si interroga sulla sua vita analizzando alcuni dettagli come nomi ricamati e taschine nascoste. Un numero imprecisato di bambini, compresi alcuni neonati, furono imprigionati a Tuol Sleng, ma solo una manciata sopravvisse. Conservarne i vestiti è stato "un piccolo gesto necessario per ripristinare un ricordo di una persona e di un'epoca" ha concluso Brennan che non nasconde la sua commozione.