MONDO
La ricorrenza
25 anni di Germania unita
Il 3 ottobre 1990 la formale unificazione del Paese nel cuore dell'Europa

Di rado un cambiamento tanto epocale nella storia del Vecchio Continente ha avuto luogo con così poco clamore. Se il crollo del Muro di Berlino, una manciata di mesi prima, aveva squassato con il suo rumore i timpani delle cancellerie di tutto il mondo, l'unificazione della Germania, il 3 ottobre 1990, avvenne quasi in sordina: 5 Länder ridotti a province dal comunismo (Sassonia, Brandeburgo, Sassonia- Anhalt, Turingia, Meclemburgo-Pomerania Anteriore, che accorpavano i vecchi distretti della Ddr) ripresero l'antica dignità di Stati federali e, ognuno per sé ma contemporaneamente, chiesero ed ottennero di entrare nell'abbraccio della Repubblica Federale di Germania, adottandone la Costituzione.
Si ricreava così il sogno dei patrioti tedeschi che in Turingia a metà Ottocento avevano cantato per la prima volta "Deutschland über alles" e che pareva irrimediabilmente infranto dopo il 1945. Soprattutto la Germania, pur priva di una larga fetta di territori ormai passati alla Polonia, tornava a riacquistare insieme all'unità fisica il ruolo di Mittel, centro, che aveva svolto dopo il 1870. Data storica, quindi, quella di 25 anni fa. La differenza tra la Germania che rinasceva e quella rimasta sepolta sotto le macerie della Seconda Guerra Mondiale però erano sostanziali: un "Impero inquieto" la seconda (secondo la fortunata definizione dello storico Michael Stürmer), una "forza tranquilla" quella del 1990, impersonificata dalla corporatura imponente e robusta del più importante cancelliere tedesco dai tempi di Bismarck, il democristiano Helmut Kohl.
Fu Kohl ad immaginare il percorso di quella che, dopo il Muro di Berlino, appariva una problematica operazione di ricomposizione di un Paese spezzato. La sua prima intuizione fu rassicurare gli alleati: gli Stati Uniti prima, poi quelli europei a partire dalla Francia. Per sua fortuna all'Eliseo sedeva all'epoca un altro politico dalla tempra dello statista e dalla prontezza di riflessi degna di un principe rinascimentale come François Mitterrand (che, per le sue caratteristiche, veniva non a caso chiamato "Il Fiorentino"). I due si videro immediatamente dopo il 9 novembre 1989 e concordarono un percorso riassumibile in un accordo per cui la Francia e l'Europa dicevano sì all'unificazione in cambio di un ancoraggio definitivo della nuova Germania alla causa dell'integrazione europea. Un progetto che ebbe facilmente il beneplacito americano.
Quanto all'altra potenza vincitrice della Seconda Guerra Mondiale, l'Unione Sovietica, era difficilmente in grado di dettare condizioni, presa com'era dalla sua stessa agonia che l'avrebbe portata, nel 1992, alla piena liquidazione. Ciononostante, si ebbe cura di far apparire l'ineluttabile come il frutto di una conferenza internazionale, quella del "Tre più due": le due Germania più le potenze vincitrici. In realtà fu più la ratifica di un processo scritto dalla storia che non il risultato di una seduta negoziale. Chi tentò piuttosto di opporsi fu semmai la Bundesbank, spaventata dalle terribili condizioni economiche della defunta Ddr e dalla promessa da parte di Kohl di cambiare alla pari, in modo del tutto fittizio, il marco dell'ovest con quello dell'est.
Kohl, che da buon professore di storia sapeva che nei momenti importanti non si può ragionare con il pallottoliere, si impose alla Buba ed ottenne il sì all'unificazione. Le cui conseguenze sono ancora adesso ben tangibili. Da essa scaturisce l'Ue (fino ad allora una semplice Comunità) forgiata dagli accordi di Maastricht, fatta di quasi 30 paesi ma con Berlino, tornata capitale, al suo centro politico. Lo stesso euro nasce grazie alla caduta del Muro e all'unificazione. Impensabile poi, senza quella giornata, una Nato estesa come invece è ora fin dentro quelli che 25 anni fa erano i sacri confini dell'Urss.
Dei protagonisti europei di quella stagione, Mitterrand, Thatcher e Andreotti sono morti, Helmut Kohl da anni vive da privato cittadino, e Mikhail Gorbaciov, che ebbe il merito dal Cremlino di abbandonare velleità da superpotenza per fare i conti con la realtà, è divenuto una sorta di coscienza critica nazionale (non ascoltata) nell'epoca del neoimperialismo putiniano.
Dei giorni della divisione, poi, in Germania, resta pochissimo. Persino l'Alexanderplatz di Berlino, sulla base di un piano regolatore in questo caso discutibile, è stata smantellata e rifatta. E il ricordo, oltre che alla malinconica statua di Marx ed Engels lasciata vicino al Rote Rathaus, è affidato a tre perle del cinema contemporaneo: "Il cielo sopra Berlino" di Wim Wenders (premio per la migliore regia al Festival di Cannes nel 1987), "Good Bye, Lenin!" di Wolfgang Becker (premio Efa 2003) e "Le vite degli altri" di Florian Henckel von Donnersmarck (premio Oscar 2007).
Si ricreava così il sogno dei patrioti tedeschi che in Turingia a metà Ottocento avevano cantato per la prima volta "Deutschland über alles" e che pareva irrimediabilmente infranto dopo il 1945. Soprattutto la Germania, pur priva di una larga fetta di territori ormai passati alla Polonia, tornava a riacquistare insieme all'unità fisica il ruolo di Mittel, centro, che aveva svolto dopo il 1870. Data storica, quindi, quella di 25 anni fa. La differenza tra la Germania che rinasceva e quella rimasta sepolta sotto le macerie della Seconda Guerra Mondiale però erano sostanziali: un "Impero inquieto" la seconda (secondo la fortunata definizione dello storico Michael Stürmer), una "forza tranquilla" quella del 1990, impersonificata dalla corporatura imponente e robusta del più importante cancelliere tedesco dai tempi di Bismarck, il democristiano Helmut Kohl.
Fu Kohl ad immaginare il percorso di quella che, dopo il Muro di Berlino, appariva una problematica operazione di ricomposizione di un Paese spezzato. La sua prima intuizione fu rassicurare gli alleati: gli Stati Uniti prima, poi quelli europei a partire dalla Francia. Per sua fortuna all'Eliseo sedeva all'epoca un altro politico dalla tempra dello statista e dalla prontezza di riflessi degna di un principe rinascimentale come François Mitterrand (che, per le sue caratteristiche, veniva non a caso chiamato "Il Fiorentino"). I due si videro immediatamente dopo il 9 novembre 1989 e concordarono un percorso riassumibile in un accordo per cui la Francia e l'Europa dicevano sì all'unificazione in cambio di un ancoraggio definitivo della nuova Germania alla causa dell'integrazione europea. Un progetto che ebbe facilmente il beneplacito americano.
Quanto all'altra potenza vincitrice della Seconda Guerra Mondiale, l'Unione Sovietica, era difficilmente in grado di dettare condizioni, presa com'era dalla sua stessa agonia che l'avrebbe portata, nel 1992, alla piena liquidazione. Ciononostante, si ebbe cura di far apparire l'ineluttabile come il frutto di una conferenza internazionale, quella del "Tre più due": le due Germania più le potenze vincitrici. In realtà fu più la ratifica di un processo scritto dalla storia che non il risultato di una seduta negoziale. Chi tentò piuttosto di opporsi fu semmai la Bundesbank, spaventata dalle terribili condizioni economiche della defunta Ddr e dalla promessa da parte di Kohl di cambiare alla pari, in modo del tutto fittizio, il marco dell'ovest con quello dell'est.
Kohl, che da buon professore di storia sapeva che nei momenti importanti non si può ragionare con il pallottoliere, si impose alla Buba ed ottenne il sì all'unificazione. Le cui conseguenze sono ancora adesso ben tangibili. Da essa scaturisce l'Ue (fino ad allora una semplice Comunità) forgiata dagli accordi di Maastricht, fatta di quasi 30 paesi ma con Berlino, tornata capitale, al suo centro politico. Lo stesso euro nasce grazie alla caduta del Muro e all'unificazione. Impensabile poi, senza quella giornata, una Nato estesa come invece è ora fin dentro quelli che 25 anni fa erano i sacri confini dell'Urss.
Dei protagonisti europei di quella stagione, Mitterrand, Thatcher e Andreotti sono morti, Helmut Kohl da anni vive da privato cittadino, e Mikhail Gorbaciov, che ebbe il merito dal Cremlino di abbandonare velleità da superpotenza per fare i conti con la realtà, è divenuto una sorta di coscienza critica nazionale (non ascoltata) nell'epoca del neoimperialismo putiniano.
Dei giorni della divisione, poi, in Germania, resta pochissimo. Persino l'Alexanderplatz di Berlino, sulla base di un piano regolatore in questo caso discutibile, è stata smantellata e rifatta. E il ricordo, oltre che alla malinconica statua di Marx ed Engels lasciata vicino al Rote Rathaus, è affidato a tre perle del cinema contemporaneo: "Il cielo sopra Berlino" di Wim Wenders (premio per la migliore regia al Festival di Cannes nel 1987), "Good Bye, Lenin!" di Wolfgang Becker (premio Efa 2003) e "Le vite degli altri" di Florian Henckel von Donnersmarck (premio Oscar 2007).