FIFA 2014
L'altro volto del Mondiale
La Coppa di Piombo
In Brasile prosegue la protesta dei movimenti di contestazione. Nelle favelas, pacificate dall’invio dei militari per l’arrivo di milioni di turisti nelle città, il malcontento rischia di esplodere. Amnesty International: “In quei luoghi servirebbero meno armi e più programmi di educazione”

Non è un caso che l’onda di proteste che hanno paralizzato il Paese durante la Confederation Cup del 2013 sia esplosa proprio dopo l’aumento delle tariffe dei trasporti. Ora con la Coppa del Mondo la vetrina è ancora più suggestiva per i movimenti di contestazione. Dilma Rousseff questo lo sa perfettamente. E la macchina della sicurezza si è messa in moto già dal tempo per “pacificare” gli animi ora che milioni di turisti stanno sbarcando nel Paese.
"Una cappa di piombo sul paese"
Secondo Riccardo Nuri, portavoce di Amnesty International Italia, c’è il rischio che questo Mondiale diventi un boomerang per il governo di sinistra che guida il Brasile e si trasformi in una “Coppa di Piombo”: “Sul Paese è calata una cappa di piombo di misure di polizia per fronteggiare una protesta senza precedenti che va avanti dal 2013. Le persone dalle periferie delle città scendono in strada. Chi manifesta coglie l’occasione del mondiale per avanzare le proprie rivendicazioni. Guardiamo le favelas. Sono state prese di mira da questa politica di militarizzazione del governo Rousseff. Non si tratta di una “pulizia sociale” come si sente gridare da più parti del movimento di protesta, ma è vero che la “polizia pacificatoria” sembra essersi macchiata di diversi crimini.
Militari nelle favelas
Chi vive nelle favelas ora si trova da un lato i narcotrafficanti, dall’altro i militari…
“Il 5 aprile Marè, - racconta Nuri - un complesso di 16 comunità povere dove vivono 130mila persone a due passi dal Maracanà, è stata occupata da 2700 militari. Resteranno a Marè sino al 31 luglio, due settimane dopo la fine dei Mondiali per poi essere sostituite da unità della Polizia pacificatrice”. Gli abitanti di Marè sono estremamente poveri, non hanno servizi e sono costretti a convivere con le bande criminali che controllano le favelas. Gli agenti pacificatori sono chiamati, secondo le autorità, ad allontanare i trafficanti di droga, ma gli abitanti sono preoccupati: i precedenti interventi militari nelle favelas hanno dato risultati nefasti.
Timori per la presenza dell'esercito
Nel giugno 2007 nel complesso di Alemão vi furono 19 morti e un’inchiesta rivelò che in alcuni casi furono vittime di esecuzioni sommarie ed extragiudiziali; nel giugno 2008, nel complesso Morro de Providencia, i soldati consegnarono tre ragazzi a una banda criminale, che li fece fuori. Pochi mesi fa alcuni agenti sono stati incriminati per la tortura e la morte di un residente di Rocinha, la più grande favela di Rio. “Le forze armate –spiega il portavoce di Amnesty - non sono addestrate per attività di questo tipo e hanno poca esperienza nel dialogo e l’interazione con la società civile e le comunità. Il timore è che alla violenza delle bande criminali si sostituisca quella dell’esercito”.
"Esistono tanti Brasile"
Il mondo si è accorto che il Brasile non è più lo stesso. “Dopo l’uscita del Paese dalla dittatura c’è stata un’amnistia generale – spiega Nuri - si è scelto di chiudere gli occhi, di non fare i conti col passato. Ad esempio in molti sospettano che tra i militari ci siano anche ex componenti di quella dittatura… Dalla Confederation Cup in poi ci si è accorti che esistono tanti Brasile: quello dell’ingiustizia sociale, della mancanza di un’adeguata istruzione, dell’impunità. “Se davvero - conclude Nuri - si vuole riportare la pace in quei luoghi servirebbero meno armi e più programmi di educazione. Una risposta basata sulla repressione non basta”.
"Una cappa di piombo sul paese"
Secondo Riccardo Nuri, portavoce di Amnesty International Italia, c’è il rischio che questo Mondiale diventi un boomerang per il governo di sinistra che guida il Brasile e si trasformi in una “Coppa di Piombo”: “Sul Paese è calata una cappa di piombo di misure di polizia per fronteggiare una protesta senza precedenti che va avanti dal 2013. Le persone dalle periferie delle città scendono in strada. Chi manifesta coglie l’occasione del mondiale per avanzare le proprie rivendicazioni. Guardiamo le favelas. Sono state prese di mira da questa politica di militarizzazione del governo Rousseff. Non si tratta di una “pulizia sociale” come si sente gridare da più parti del movimento di protesta, ma è vero che la “polizia pacificatoria” sembra essersi macchiata di diversi crimini.
Militari nelle favelas
Chi vive nelle favelas ora si trova da un lato i narcotrafficanti, dall’altro i militari…
“Il 5 aprile Marè, - racconta Nuri - un complesso di 16 comunità povere dove vivono 130mila persone a due passi dal Maracanà, è stata occupata da 2700 militari. Resteranno a Marè sino al 31 luglio, due settimane dopo la fine dei Mondiali per poi essere sostituite da unità della Polizia pacificatrice”. Gli abitanti di Marè sono estremamente poveri, non hanno servizi e sono costretti a convivere con le bande criminali che controllano le favelas. Gli agenti pacificatori sono chiamati, secondo le autorità, ad allontanare i trafficanti di droga, ma gli abitanti sono preoccupati: i precedenti interventi militari nelle favelas hanno dato risultati nefasti.
Timori per la presenza dell'esercito
Nel giugno 2007 nel complesso di Alemão vi furono 19 morti e un’inchiesta rivelò che in alcuni casi furono vittime di esecuzioni sommarie ed extragiudiziali; nel giugno 2008, nel complesso Morro de Providencia, i soldati consegnarono tre ragazzi a una banda criminale, che li fece fuori. Pochi mesi fa alcuni agenti sono stati incriminati per la tortura e la morte di un residente di Rocinha, la più grande favela di Rio. “Le forze armate –spiega il portavoce di Amnesty - non sono addestrate per attività di questo tipo e hanno poca esperienza nel dialogo e l’interazione con la società civile e le comunità. Il timore è che alla violenza delle bande criminali si sostituisca quella dell’esercito”.
"Esistono tanti Brasile"
Il mondo si è accorto che il Brasile non è più lo stesso. “Dopo l’uscita del Paese dalla dittatura c’è stata un’amnistia generale – spiega Nuri - si è scelto di chiudere gli occhi, di non fare i conti col passato. Ad esempio in molti sospettano che tra i militari ci siano anche ex componenti di quella dittatura… Dalla Confederation Cup in poi ci si è accorti che esistono tanti Brasile: quello dell’ingiustizia sociale, della mancanza di un’adeguata istruzione, dell’impunità. “Se davvero - conclude Nuri - si vuole riportare la pace in quei luoghi servirebbero meno armi e più programmi di educazione. Una risposta basata sulla repressione non basta”.