MONDO
Intervista a Mons. Jean Paul Vesco
“È una Chiesa che si interessa sempre di più delle persone”
Oggi, in Vaticano, ultima giornata del Sinodo. Nel pomeriggio inizieranno le votazioni sulla relazione finale. Non si escludono sorprese. Per un primo bilancio abbiamo intervistato, durante una pausa dei lavori, Monsignor Jean-Paul Vesco, domenicano francese e Vescovo di Orano in Algeria.

Qual è il tuo bilancio del Sinodo?
Che cosa posso dire del Sinodo, prima di tutto è stata una bella esperienza umana, una maniera importante di vedere il cuore della Chiesa, anche la sua organizzazione, di vedere le persone, per cui è una cosa molto positiva. Poi ci sono stati dei momenti difficili e dei momenti più felici. Il momento felice è quando si ha l’impressione di capirsi, di parlarsi, anche quando ci sono delle differenze, mentre il momento difficile è quando ci si sente troppo diversi da questo o da quello.
Com’è stata l’ “atmosfera” del Sinodo?
Per me l’atmosfera del sinodo è stata buona dall’inizio alla fine: c’è stato un dialogo franco senza confronti molti forti. C’è stata comunque una vera fraternità, nonostante vi fossero alcune divergenze dottrinali ma anche “ideologiche”.
Pensi che la Chiesa abbia superato definitivamente il pregiudizio sull’omosessualità?
A proposito dell’omosessualità la bozza della relazione finale che ci è stata presentata evoca, press’a poco negli stessi termini della relazione finale dell’anno scorso, il rispetto, l’accompagnamento che dobbiamo avere per le famiglie in cui vi sono delle persone dalla sensibilità omosessuale, e il rispetto per queste persone. Ma questo basterà? Penso che sia importante avere questa parola di rispetto, che non tutte le religioni, e credo che sia positiva un’apertura in questo senso.
Dalla tua esperienza di “confine” (l’Algeria terra d’Islam) cosa hai donato al Sinodo e cosa porterai alla ”tua” Algeria?
Apporto la comprensione dell’altro differente, questa differenza è una ricchezza non solo a livello interreligioso anche per quanto riguarda l’accoglienza sacramentale del divorziato risposato, e anche questo aspetto deriva dal non aver paura dell’altro. Che cosa riferirò del sinodo in Algeria non lo so ancora esattamente, ma sicuramente veicolerò un’immagine decisamente positiva e l’arricchimento che mi è derivato.
Pensi che dal Sinodo nascerà una nuova teologia pastorale sulla famiglia?
Penso che dopo questo sinodo sia importante che le persone ripensino la nostra teologia della famiglia perché ci sono dei punti sui quali credo che si possa progredire dottrinalmente e che oggi ci sia un vero lavoro di teologia pastorale da svolgere.
Alla fine, che immagine di Chiesa esce dal Sinodo?
È quella di una Chiesa che si interessa sempre di più delle persone e che è fatta sempre di più di persone e mi auguro che il rapporto tra la Chiesa e il mondo continui sempre a cambiare e diventi un rapporto sempre più di vicinanza.
Che cosa posso dire del Sinodo, prima di tutto è stata una bella esperienza umana, una maniera importante di vedere il cuore della Chiesa, anche la sua organizzazione, di vedere le persone, per cui è una cosa molto positiva. Poi ci sono stati dei momenti difficili e dei momenti più felici. Il momento felice è quando si ha l’impressione di capirsi, di parlarsi, anche quando ci sono delle differenze, mentre il momento difficile è quando ci si sente troppo diversi da questo o da quello.
Com’è stata l’ “atmosfera” del Sinodo?
Per me l’atmosfera del sinodo è stata buona dall’inizio alla fine: c’è stato un dialogo franco senza confronti molti forti. C’è stata comunque una vera fraternità, nonostante vi fossero alcune divergenze dottrinali ma anche “ideologiche”.
Pensi che la Chiesa abbia superato definitivamente il pregiudizio sull’omosessualità?
A proposito dell’omosessualità la bozza della relazione finale che ci è stata presentata evoca, press’a poco negli stessi termini della relazione finale dell’anno scorso, il rispetto, l’accompagnamento che dobbiamo avere per le famiglie in cui vi sono delle persone dalla sensibilità omosessuale, e il rispetto per queste persone. Ma questo basterà? Penso che sia importante avere questa parola di rispetto, che non tutte le religioni, e credo che sia positiva un’apertura in questo senso.
Dalla tua esperienza di “confine” (l’Algeria terra d’Islam) cosa hai donato al Sinodo e cosa porterai alla ”tua” Algeria?
Apporto la comprensione dell’altro differente, questa differenza è una ricchezza non solo a livello interreligioso anche per quanto riguarda l’accoglienza sacramentale del divorziato risposato, e anche questo aspetto deriva dal non aver paura dell’altro. Che cosa riferirò del sinodo in Algeria non lo so ancora esattamente, ma sicuramente veicolerò un’immagine decisamente positiva e l’arricchimento che mi è derivato.
Pensi che dal Sinodo nascerà una nuova teologia pastorale sulla famiglia?
Penso che dopo questo sinodo sia importante che le persone ripensino la nostra teologia della famiglia perché ci sono dei punti sui quali credo che si possa progredire dottrinalmente e che oggi ci sia un vero lavoro di teologia pastorale da svolgere.
Alla fine, che immagine di Chiesa esce dal Sinodo?
È quella di una Chiesa che si interessa sempre di più delle persone e che è fatta sempre di più di persone e mi auguro che il rapporto tra la Chiesa e il mondo continui sempre a cambiare e diventi un rapporto sempre più di vicinanza.