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SPETTACOLO

Teatro

Albertazzi, oggi il 'saluto agli amici' a Pescaia di Grosseto. L'attore morto ieri a 92 anni

"Se n'e' andato con un sorriso, come se volesse salutare il suo pubblico"

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Quello di oggi pomeriggio a Pescaia di Grosseto "non sarà un funerale ma un saluto agli amici, perché il maestro desiderava così", afferma la famiglia di Giorgio Albertazzi. Il grande attore teatrale è morto ieri notte all'età di 92 anni.  Lorenzo Fonda, il medico di Giorgio Albertazzi, ma anche scenografo e pittore con il quale l'attore ha spesso collaborato, racconta così gli ultimi momenti. "Prima parlava tra sé e sé, come se stesse provando un copione. Poi ha sorriso e se ne è andato, senza dolore, come se avesse finito una recita, ringraziando il suo pubblico".

Jekyll e Hyde sullo schermo come nella vita
Se il teatro si accorse dell'autentico genio istrionico di Giorgio Albertazzi già nel 1949 grazie a quel formidabile cacciatore di talenti che fu Luchino Visconti, il cinema gli offrì una prima chance appena due anni dopo, nel 1951 con il "Lorenzaccio" di Raffaello Pacini, tardo epigono del cinema in costume che Cinecittà aveva esaltato per tutti gli anni '30 e in cui il fiesolano Giorgio vestiva ad appena 29 anni i panni di Lorenzo dei Medici. Una sorta di iniziazione che lo vedeva in compagnia di grandi del teatro come Arnoldo Foà, Folco Lulli, Alessandro Fersen e le giovani dive Anna Maria Ferreo e Franca Marzi.

Nonostante una quarantina di interpretazioni per il grande schermo, Giorgio Albertazzi è sempre stato un "irregolare" per la famiglia del cinema, troppo grande, troppo protagonista, troppo isolato per essere veramente accettato. Se il teatro è casa sua, sarà la tv a renderlo un divo e a farne un'icona popolare: bruno col ciuffo ribelle e l'aria luciferina o biondo ossigenato e dai gesti raffinati, debutta in "Delitto e castigo" con una memorabile diretta di teatro filmato il 12 marzo 1954 alle 21.30 sul canale nazionale con la regia di Franco Enriquez.

Ma saranno i grandi sceneggiati degli anni '60 a costruirne il mito. Dopo "L'idiota" da Dostoevskij lo guida Vittorio Cottafavi nei meandri della "Vita di Dante" e poi tra gli amori di "Don Giovanni". Poi Albertazzi rischia in prima persona nel 1969, regista e protagonista del suo "Jekyll" dal romanzo di Robert Luis Stevenson. La sua trasformazione a vista dal quieto dottor Jekyll al mostruoso e affascinante Mr.Hyde fa storia e smuove i moti segreti dell'inconscio nella placida platea televisiva. Il successo sarà replicato nel '74 dalla raffinata incarnazione nel detective "Philo Vance" per la regia di Marco Leto.

Al cinema invece Albertazzi diventa un divo quasi per caso nel 1961: lo sceglie Alain Resnais (su suggerimento di Alain Robbe Grillet) per il ruolo del protagonista nel suo primo successo critico, "L'anno scorso a Marienbad" ispirato alla fantasia onirica di Adolfo Bioy Casares e alla sua "Invenzione di Morel". Tra la misteriosa Delphine Seyrig e il tetro marito Sacha Pitoeff, lo "straniero" di Albertazzi diventa a sua volta un'icona e il gioco dei fiammiferi che esegue con maestria ispirandosi al gioco giapponese dei "nim" diventa un femomeno di culto nei salotti di tutta Europa. Il film vince tra molte polemiche il Leone d'oro a Venezia, viene candidato all'Oscar e apre la via alla visionarietà pura del "nouveau roman".

Così Albertazzi si prende all'estero le soddisfazioni che non aveva avuto in patria: gira in Germania, in Gran Bretagna ("Eva" di Losey), ancora in Francia ("Caroline Cherie") sfruttando la perfetta dizione e una tecnica teatrale che sa misurare in funzione della macchina da presa. Nel 1970 si cimenta anche come regista in "Gradiva" con Laura Antonelli, ma resta pur sempre un outsider e forse proprio per questo ottiene le migliori soddisfazioni della seconda parte della sua carriera grazie a un altro outsider come Pasquale Squitieri che lo vuole in "Li chiamarono briganti" e poi nel magistrale "L'avvocato Di Gregorio" del 2003.

Negli anni ha intervallato il magistero costante del teatro con incursioni su piccolo e grande schermo, togliendosi perfino la soddisfazione del "talent show" con "Ballando con le stelle". Ma non c'è dubbio che, nonostante una formidabile duttilità, gli strumenti della scena si addicevano meglio al suo istrionismo recitativo di vecchia scuola. Così, nell'immaginario cinematografico, il suo nome resta legato a due interpretazioni esemplarmente antitetiche: lo straniamento imploso di "Marienbad" e il furore demoniaco di Jekyll e Hyde. In entrambi i casi Albertazzi seppe usare il corpo, la voce, la mimica e la modernissima bellezza al meglio. Non passava mai inosservato sullo schermo, assorbiva la luce e lo spazio calamitando su di sé l'obiettivo. Lui, figlio di operai, sapeva essere aristocratico e popolano, brutale ed elegante, folle e calcolatore. Due poli opposti destinati a suscitare sempre in chi lo vedeva, quell'esplosione passionale che era il segreto del suo essere mattatore in scena.