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SCIENZA

Una ricerca australiana per mappare i microclimi

I "microrefugia" per salvarci dal cambiamento climatico

Si tratta di piccole aree di clima favorevole all'interno di una regione caratterizzata da un clima generalmente alterato e potenzialmente minaccioso per la vita

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di Stefano Lamorgese
Il riscaldamento globale non è più un'ipotesi: è un fatto.
Sulle cause ci si divide, certo, tra chi ne attribuisce la responsabilità più o meno integralmente all'uomo industrializzato e chi inscrive il fenomeno in una cornice più ampia, anche in termini cronologici. Ma che sia minacciata la biodiversità - la ricchezza primaria della vita sul pianeta - nessuno lo nega.

I "microrefugia"
Nelle aree più minacciate o, addirittura, stravolte dai mutamenti del clima i ricercatori della University of Technology di Sydney (UTS), dell'Australian Museum Research Institute e della University of New South Wales hanno individuato ambienti, anche piccolissimi, ma capaci di costituire vere e proprie oasi di protezione. Sono i "microrefugia", microrifugi.

Si tratta di una categoria che sta guadagnando grande attenzione nel mondo della ricerca sulle strategie di adattamento al cambiamento climatico: sono piccole aree di clima favorevole all'interno di una regione di clima generalmente sfavorevole. E sono così piccole che, alle volte, risultano molto difficili da individuare.

Ma perché cercare di individuare i "microrefugia"?
Il motivo è chiaro, quando a spiegarlo è il ricercatore che ha guidato lo studio: John Gollan. "Poter rimappare con precisione le aree protette è molto utile. E sarà indispensabile quando i cambiamenti del clima diverranno sempre più improvvisi e repentini".

L'obiettivo, insomma, è quello di mettere a punto un nuovo modo di identificare i "microrefugia" capaci di difendere la biodiversità, cercando di calcolare quanti ettari potrebbero (o dovrebbero) essere aggiunti alla rete di conservazione.

Tempi lunghi
Per realizzare una prima mappa climatica sufficientemente particolareggiata del Nuovo Galles del Sud, ammettono i ricercatori, sono stati impiegati tre anni di ricerca sul campo e un anno di elaborazione dei dati. Sono state disseminate 150 mini-stazioni di rilevamento su un'area di 62 mila ettari, e ai taglialegna è stato chiesto di rilevare la temperatura registrata dagli strumenti per 24 ore al giorno, ora per ora.

Sembra insomma obbligatorio concludere che, se si vuole mettere a punto strumenti scientifici capaci di orientare le scelte politiche per la protezione del pianeta, non ci si possa esimere dal rimboccarsi le maniche...