ITALIA
Di Segni: "Una ferita mai ricomposta"
16 ottobre 1943: 72 anni fa il rastrellamento del Ghetto di Roma. Di Segni: "Ferita mai ricomposta"
Gli uomini della Gestapo invasero le strade intorno al Portico d'Ottavia, nel Ghetto di Roma, strappando alla vita 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine. Due giorni dopo furono deportati ai campi di sterminio di Auschwitz da cui solo in 15 fecero ritorno

Le camionette dei nazisti arrivarono all'alba del 16 ottobre del 1943. Nei vicoli intorno al Tempio Maggiore risuonarono le urla di disperazione di donne e anziani e il pianto dei bambini strappati dalle braccia delle madri ancora insonnoliti. Gli uomini della Gestapo, in poche ore, avevano invaso le strade intorno al Portico d'Ottavia, cuore del Ghetto di Roma, trascinando fuori dalle loro case 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine.
Destinazione Auschwitz
Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina, destinazione il campo di concentramento di Auschwitz. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini invece è mai tornato... Da allora sono trascorsi 72 anni ma è un giorno quello che non può e non deve essere dimenticato, come ricordato dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti mentre tre corone venivano depositate davanti alla Sinagoga in occasione della cerimonia di questa mattina in ricordo dei tanti innocenti che dal 16 ottobre non faranno mai più ritorno a casa.
Zingaretti: "Non possiamo dimenticare"
"Non vogliamo e non possiamo dimenticare quanto accadde il 16 ottobre. - spiega Nicola Zingaretti - E' stata una ferita alla Comunità ebraica, ma anche a Roma e all'Italia, perchè furono sradicate vite innocenti che non avevano alcuna colpa se non di essere di religione ebraica. Siamo vicini alla Comunità, ma siamo qui soprattutto per noi perchè non vogliamo dimenticare un'onta che non è stata solo verso la Comunità ma verso tutte le persone civili".
Di Segni: "Una ferita che non è mai stata ricomposta"
"E' indispensabile mantenere la memoria anche se il numero degli anni si allunga, ne sono passati 72 - la riflessione del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccado Di Segni - Ma questa ferita è ancora presente, non è mai stata ricomposta. Con tutto quello che succede nel mondo è importante essere memori e anche vigili. C'è il problema dello scontro dei popoli e di culture differenti, c'è il tema della convivenza, della costruzione dell'Europa, della società pacifica: la lista è ben lunga".
Il ricordo di sopravvissuto: "C'ero quando entrò la Gestapo"
Per gli ebrei romani il 16 ottobre del '43 fu l’ultima tappa di un triste itinerario iniziato nel settembre del 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. "Io c'ero" racconta Alberto Sed che oggi ha 87 anni. Ne aveva appena 14 quando i gerarghi nazisti bussarono alla sua porta. Orfano di padre, si salvò per miracolo insieme alla madre e a tre sorelle, ma la loro fu una fuga breve. Nel marzo del '44 furono catturati in un magazzino a Porta Pia, in seguito ad una spiata, e spediti ad Auschwitz. "Da lì siamo tornati in pochi", racconta l'anziano ebreo che ha visto uccidere la madre e due sorelle (una sbranata dai cani delle SS).
L'orrore e il ricordo
Solo da otto anni l'uomo ha reso pubblici i suoi ricordi più atroci. "Non sono mai riuscito a prendere in braccio un neonato, nemmeno i miei figli, perche' ad Auschwitz i nazisti ci facevano tirare in aria bambini di pochi mesi e si divertivano a ucciderli, come nel tiro a piattello", racconta. "Non sono mai riuscito a entrare in una piscina, perchè ho visto un prete ortodosso massacrato e annegato dai carnefici", aggiunge. "I nazisti - rievoca ancora - uccidevano non solo ebrei, ma anche zingari, partigiani, oppositori e persino tedeschi stessi perchè handicappati o malati mentali. Non sapevano che farsene".
"Sono stato un numero"
Per cinquant'anni ha taciuto sull'orrore vissuto, persino con la moglie e con i figli. Poi si è sbloccato ed è "uscito", come dice lui, da Auschwitz, raccontando la sua storia prima in un libro scritto dal giornalista e ufficiale dei carabinieri Roberto Riccardi intitolato "Sono stato un numero" (edito da Giuntina), poi in centinaia di incontri con scuole, giovani, detenuti, gente comune. Con la sua testimonianza ha dato coscienza a decine di migliaia di persone della barbarie avvenuta. Tanto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo insignirà, insieme ad altri 17 'eroi comuni', dell'onorificenza di "commendatore".
Destinazione Auschwitz
Due giorni dopo, alle 14.05 del 18 ottobre, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina, destinazione il campo di concentramento di Auschwitz. Solo quindici uomini e una donna (Settimia Spizzichino) ritorneranno a casa dalla Polonia. Nessuno dei duecento bambini invece è mai tornato... Da allora sono trascorsi 72 anni ma è un giorno quello che non può e non deve essere dimenticato, come ricordato dal presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti mentre tre corone venivano depositate davanti alla Sinagoga in occasione della cerimonia di questa mattina in ricordo dei tanti innocenti che dal 16 ottobre non faranno mai più ritorno a casa.
Zingaretti: "Non possiamo dimenticare"
"Non vogliamo e non possiamo dimenticare quanto accadde il 16 ottobre. - spiega Nicola Zingaretti - E' stata una ferita alla Comunità ebraica, ma anche a Roma e all'Italia, perchè furono sradicate vite innocenti che non avevano alcuna colpa se non di essere di religione ebraica. Siamo vicini alla Comunità, ma siamo qui soprattutto per noi perchè non vogliamo dimenticare un'onta che non è stata solo verso la Comunità ma verso tutte le persone civili".
Di Segni: "Una ferita che non è mai stata ricomposta"
"E' indispensabile mantenere la memoria anche se il numero degli anni si allunga, ne sono passati 72 - la riflessione del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccado Di Segni - Ma questa ferita è ancora presente, non è mai stata ricomposta. Con tutto quello che succede nel mondo è importante essere memori e anche vigili. C'è il problema dello scontro dei popoli e di culture differenti, c'è il tema della convivenza, della costruzione dell'Europa, della società pacifica: la lista è ben lunga".
Il ricordo di sopravvissuto: "C'ero quando entrò la Gestapo"
Per gli ebrei romani il 16 ottobre del '43 fu l’ultima tappa di un triste itinerario iniziato nel settembre del 1938 con la promulgazione delle leggi razziali. "Io c'ero" racconta Alberto Sed che oggi ha 87 anni. Ne aveva appena 14 quando i gerarghi nazisti bussarono alla sua porta. Orfano di padre, si salvò per miracolo insieme alla madre e a tre sorelle, ma la loro fu una fuga breve. Nel marzo del '44 furono catturati in un magazzino a Porta Pia, in seguito ad una spiata, e spediti ad Auschwitz. "Da lì siamo tornati in pochi", racconta l'anziano ebreo che ha visto uccidere la madre e due sorelle (una sbranata dai cani delle SS).
L'orrore e il ricordo
Solo da otto anni l'uomo ha reso pubblici i suoi ricordi più atroci. "Non sono mai riuscito a prendere in braccio un neonato, nemmeno i miei figli, perche' ad Auschwitz i nazisti ci facevano tirare in aria bambini di pochi mesi e si divertivano a ucciderli, come nel tiro a piattello", racconta. "Non sono mai riuscito a entrare in una piscina, perchè ho visto un prete ortodosso massacrato e annegato dai carnefici", aggiunge. "I nazisti - rievoca ancora - uccidevano non solo ebrei, ma anche zingari, partigiani, oppositori e persino tedeschi stessi perchè handicappati o malati mentali. Non sapevano che farsene".
"Sono stato un numero"
Per cinquant'anni ha taciuto sull'orrore vissuto, persino con la moglie e con i figli. Poi si è sbloccato ed è "uscito", come dice lui, da Auschwitz, raccontando la sua storia prima in un libro scritto dal giornalista e ufficiale dei carabinieri Roberto Riccardi intitolato "Sono stato un numero" (edito da Giuntina), poi in centinaia di incontri con scuole, giovani, detenuti, gente comune. Con la sua testimonianza ha dato coscienza a decine di migliaia di persone della barbarie avvenuta. Tanto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo insignirà, insieme ad altri 17 'eroi comuni', dell'onorificenza di "commendatore".