ECONOMIA
La polemica
M5S: Di Maio ancora all'attacco dei sindacati per gli stipendi
Il candidato premier pentastellato chiede lo stop 'agli stipendi da 300mila euro l'anno ai sindacalisti' e considera un gran polverone le reazioni delle organizzazioni sindacali

Il candidato del Movimento 5 Stelle per Palazzo Chigi, Luigi Di Maio, è tornato ad attaccare i sindacati, dopo le reazioni delle organizzazioni sindacali ed anche del Ministro del Lavoro Giuliano Poletti alle sue parole al Festival del Lavoro di Torino. Di Maio, ribadendo la posizione grillina sul tema, a Torino aveva asserito: "I sindacati si autoriformino o ci pensiamo noi".
Sul blog di Grillo, il candidato premier pentastellato chiede lo stop 'agli stipendi da 300mila euro l'anno ai sindacalisti' e considera un gran polverone le reazioni delle organizzazioni sindacali in quanto si chiede soltanto: "Più rappresentanza per i lavoratori e meno privilegi per i sindacati, maggiore tutela dei giovani precari e stop agli stipendi da capogiro dei sindacalisti che sfiorano i 300mila euro all'anno. Ieri per aver avanzato queste richieste si è alzato un polverone. Per aver proposto che le organizzazioni sindacali si adeguino ai rapidi cambiamenti del mercato del lavoro qualcuno ha gridato all'autoritarismo. E fa pensare, non poco, che in soccorso di quel grido sia salito un ministro come Poletti, padre del Jobs Act e dell'abolizione dell'articolo 18, misure che la stessa Cgil ha più volte criticato e condannato".
Di Maio continua: "Guardiamo alla realtà dei fatti: negli anni i sindacati si sono mostrati più vicini alla politica che agli interessi dei lavoratori, tanto da ereditarne i peggiori vizi e privilegi. La nostra non vuole essere una generalizzazione, ma di stipendi d'oro ne abbiamo visti fin troppi. E' ora di cambiare rotta, specie se si considerano le nuove forme di contratto, le partite Iva, i lavoratori precari e le difficoltà di milioni di giovani che non si sentono più rappresentati".
Secondo il neo candidato premier pentastellato, i lavoratori che vivono in condizioni di povertà continuano a crescere progressivamente: "L'ossatura del tessuto commerciale del Paese oggi è per il 95% composta da piccole e medie imprese; la maggioranza dei lavoratori ha un rapporto diretto con il titolare dell'impresa e molto meno col sindacato che rappresenta e difende le grandi categorie. Quel che ho detto ieri in occasione del festival del Lavoro di Torino è la pura e semplice verità: se il lavoro cambia, solo un sindacato chiuso in se stesso, fisiognomicamente più vicino a una casta ideologizzata e ancorata al passato può non capire che deve cambiare. La libertà sindacale è un principio sancito dalla nostra Costituzione e per questo va tutelato, d'altro canto prenderlo a pretesto per ritagliarsi posizioni di privilegio, od erogarsi stipendi da capogiro mentre un pensionato medio in Italia prende meno di 1.000 euro al mese (il 12% circa non arriva a 500 euro), è francamente deplorevole".

Sul blog di Grillo, il candidato premier pentastellato chiede lo stop 'agli stipendi da 300mila euro l'anno ai sindacalisti' e considera un gran polverone le reazioni delle organizzazioni sindacali in quanto si chiede soltanto: "Più rappresentanza per i lavoratori e meno privilegi per i sindacati, maggiore tutela dei giovani precari e stop agli stipendi da capogiro dei sindacalisti che sfiorano i 300mila euro all'anno. Ieri per aver avanzato queste richieste si è alzato un polverone. Per aver proposto che le organizzazioni sindacali si adeguino ai rapidi cambiamenti del mercato del lavoro qualcuno ha gridato all'autoritarismo. E fa pensare, non poco, che in soccorso di quel grido sia salito un ministro come Poletti, padre del Jobs Act e dell'abolizione dell'articolo 18, misure che la stessa Cgil ha più volte criticato e condannato".
Di Maio continua: "Guardiamo alla realtà dei fatti: negli anni i sindacati si sono mostrati più vicini alla politica che agli interessi dei lavoratori, tanto da ereditarne i peggiori vizi e privilegi. La nostra non vuole essere una generalizzazione, ma di stipendi d'oro ne abbiamo visti fin troppi. E' ora di cambiare rotta, specie se si considerano le nuove forme di contratto, le partite Iva, i lavoratori precari e le difficoltà di milioni di giovani che non si sentono più rappresentati".
Secondo il neo candidato premier pentastellato, i lavoratori che vivono in condizioni di povertà continuano a crescere progressivamente: "L'ossatura del tessuto commerciale del Paese oggi è per il 95% composta da piccole e medie imprese; la maggioranza dei lavoratori ha un rapporto diretto con il titolare dell'impresa e molto meno col sindacato che rappresenta e difende le grandi categorie. Quel che ho detto ieri in occasione del festival del Lavoro di Torino è la pura e semplice verità: se il lavoro cambia, solo un sindacato chiuso in se stesso, fisiognomicamente più vicino a una casta ideologizzata e ancorata al passato può non capire che deve cambiare. La libertà sindacale è un principio sancito dalla nostra Costituzione e per questo va tutelato, d'altro canto prenderlo a pretesto per ritagliarsi posizioni di privilegio, od erogarsi stipendi da capogiro mentre un pensionato medio in Italia prende meno di 1.000 euro al mese (il 12% circa non arriva a 500 euro), è francamente deplorevole".
