MONDO
L'iniziativa è promossa dal partito populista di destra Udc
Svizzera. Ticino al voto: il lavoro prima ai residenti poi agli immigrati
Il Ticino è uno dei cantoni svizzeri dove si è registrato un maggior numero di voti favorevoli al referendum del 9 febbraio 2014 con il quale gli svizzeri hanno approvato l'imposizione di quote massime di lavoratori stranieri nella Confederazione elvetica

Ticino al voto oggi sui frontalieri. Il titolo dell'iniziativa popolare sottoposta a referendum - "Prima i nostri!" - non lascia dubbi sulle intenzioni dei promotori, i quali chiedono che sul mercato del lavoro vengano privilegiati gli svizzeri rispetto agli stranieri. Voluta dal partito populista di destra Udc, e sostenuta dalla Lega ticinese, la misura prende, in pratica, di mira gli oltre 60mila lavoratori italiani che ogni giorno varcano la frontiera per recarsi al lavoro nel cantone svizzero.
Il Ticino è uno dei cantoni dove si è registrato un maggior numero di voti favorevoli al referendum del 9 febbraio 2014 con il quale gli svizzeri hanno approvato l'imposizione di quote massime di lavoratori stranieri nella Confederazione elvetica. Nel cantone di lingua italiana i "sì" sono stati infatti oltre il 68%. Ma quel referendum è finora rimasto lettera morta, perchè l'Unione Europea non intende concedere alla Svizzera nessuna deroga ai principi di libera circolazione, cui Berna ha aderito malgrado non sia paese membro dell'Ue. La prospettiva di difficili negoziati fra Bruxelles e Londra sulla Brexit, non facilita le cose. L'Udc cerca dunque di forzare la mano partendo dal Ticino.
Il testo messo ai voti chiede che "sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall'estero (attuazione del principio di preferenza agli Svizzeri)".
Inoltre si chiede che "nessun cittadino del suo territorio venga licenziato a seguito di una decisione discriminatoria di sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto di sostituzione) oppure debba accettare sensibili riduzioni di salario a causa dell'afflusso indiscriminato della manodopera estera (dumping salariale)", mentre "nelle relazioni con i Paesi limitrofi" le autorità dovrebbero modulare "il mercato del lavoro in base alle necessità di chi vive sul territorio del Cantone". Un secondo quesito, più tecnico, ma dal chiaro sapore politico, chiede di istituire un ispettorato cantonale del lavoro per contrastare il "dumping salariale".
Il Gran Consiglio, ovvero il parlamento del Cantone, si oppone alle due iniziative e ha presentato altrettante controproposte che vengono anche loro messe ai voti domenica. Il testo presentato dai parlamentari locali prevede di porre come obiettivo la promozione dell'occupazione "nel rispetto del principio di preferenza ai residenti ed ognuno possa scegliere liberamente la sua professione", una formulazione più vaga che lascia maggior spazio di movimento all'esecutivo, anche in attesa di vedere se e come verrà risolta la questione dell'applicazione del referendum del 2014 a livello federale.
Anche in caso di vittoria del 'Sì' al quesito "Prima i nostri!", la sua effettiva applicazione pratica non sarà immediata. E fin d'ora il Gran Consiglio avverte che "la sua reale possibilità di realizzazione è assai limitata", anche a causa dei limiti imposti dalle leggi a livello nazionale, oltre che dagli accordi e il diritto internazionali.
Il Ticino è uno dei cantoni dove si è registrato un maggior numero di voti favorevoli al referendum del 9 febbraio 2014 con il quale gli svizzeri hanno approvato l'imposizione di quote massime di lavoratori stranieri nella Confederazione elvetica. Nel cantone di lingua italiana i "sì" sono stati infatti oltre il 68%. Ma quel referendum è finora rimasto lettera morta, perchè l'Unione Europea non intende concedere alla Svizzera nessuna deroga ai principi di libera circolazione, cui Berna ha aderito malgrado non sia paese membro dell'Ue. La prospettiva di difficili negoziati fra Bruxelles e Londra sulla Brexit, non facilita le cose. L'Udc cerca dunque di forzare la mano partendo dal Ticino.
Il testo messo ai voti chiede che "sul mercato del lavoro venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio per rapporto a chi proviene dall'estero (attuazione del principio di preferenza agli Svizzeri)".
Inoltre si chiede che "nessun cittadino del suo territorio venga licenziato a seguito di una decisione discriminatoria di sostituzione della manodopera indigena con quella straniera (effetto di sostituzione) oppure debba accettare sensibili riduzioni di salario a causa dell'afflusso indiscriminato della manodopera estera (dumping salariale)", mentre "nelle relazioni con i Paesi limitrofi" le autorità dovrebbero modulare "il mercato del lavoro in base alle necessità di chi vive sul territorio del Cantone". Un secondo quesito, più tecnico, ma dal chiaro sapore politico, chiede di istituire un ispettorato cantonale del lavoro per contrastare il "dumping salariale".
Il Gran Consiglio, ovvero il parlamento del Cantone, si oppone alle due iniziative e ha presentato altrettante controproposte che vengono anche loro messe ai voti domenica. Il testo presentato dai parlamentari locali prevede di porre come obiettivo la promozione dell'occupazione "nel rispetto del principio di preferenza ai residenti ed ognuno possa scegliere liberamente la sua professione", una formulazione più vaga che lascia maggior spazio di movimento all'esecutivo, anche in attesa di vedere se e come verrà risolta la questione dell'applicazione del referendum del 2014 a livello federale.
Anche in caso di vittoria del 'Sì' al quesito "Prima i nostri!", la sua effettiva applicazione pratica non sarà immediata. E fin d'ora il Gran Consiglio avverte che "la sua reale possibilità di realizzazione è assai limitata", anche a causa dei limiti imposti dalle leggi a livello nazionale, oltre che dagli accordi e il diritto internazionali.