SALUTE
Primo Piano
O la morsa o la vita

Quale può essere, realisticamente, il risultato che un’organizzazione terroristica per quanto grande, strutturata, molto ricca, possa immaginare di raggiungere, con mattanze come quelle di Parigi o del Mali?
Agli occhi di qualche esaltato sprovveduto, attirato in quell’inferno chiamato Daesh con la promessa del paradiso, o della vendetta, o dei soldi e donne facili, o della rivalsa sociale e forse tutto questo insieme: nel racconto verso l’interno di questo gruppo di sociopatici probabilmente un risultato immediato, seppur piccolo e personale, ci sarà.
E chi siano questi personaggi emerge chiaro dai racconti degli amici di alcuni dei kamikaze che hanno raggelato le nostre anime nell’orrore: quelli che a noi sembrano giganteschi mostri in effetti erano considerati dei falliti, gente inadatta perfino a far parte delle gang di periferia. Ai margini anche di quel microcosmo che del benessere, dei valori, del modo di vivere cittadino vive solo i riflessi: con qualche colpa, in questo caso sì, delle nostre società.
Ma i capi, chi tira i fili di questi burattini destinati a farsi saltare in aria, come può realisticamente pensare di eliminare fisicamente la quasi totalità degli esseri umani, considerando che quasi tutti i musulmani stessi hanno orrore di quello che loro fanno?
Per quanto disturbati mentalmente, perché per sgozzare una persona inginocchiata inerme davanti a te o sparare in testa ad un ragazzo in una discoteca bisogna essere malati di mente, per poterlo fare, chi manovra questi soggetti sa bene che mai arriverà a imporre al mondo la propria visione ancestrale dell’esistenza, le proprie interpretazioni di un libro, le regole sanguinarie che si è dato.
Potrà farlo, armi in pugno e col lavaggio del cervello in piccoli territori, almeno finché la paura di perdere la vita –terrena o celeste- farà restare quelle popolazioni inermi: ma in un mondo secolarizzato come il nostro, viene a mancare la minaccia più forte, quella della dannazione dell’anima.
Ecco allora il significato della strage, che per quanto efferata non cambia i rapporti di forza numerici, ma incide sul morale, sul senso di sicurezza, mette in discussione libertà date per acquisite, semina il sospetto, la paura. Tutte cose che ci fanno più deboli. Ed allora, o la morsa: di chi ci vuole nascosti ed isolati, chiusi nelle nostre case, armati. O la vita. Che è quella che ci siamo conquistati quando i nostri nonni morivano combattendo altri eserciti, altri totalitarismi, altri psicopatici.
Cosa sceglieremo?
Agli occhi di qualche esaltato sprovveduto, attirato in quell’inferno chiamato Daesh con la promessa del paradiso, o della vendetta, o dei soldi e donne facili, o della rivalsa sociale e forse tutto questo insieme: nel racconto verso l’interno di questo gruppo di sociopatici probabilmente un risultato immediato, seppur piccolo e personale, ci sarà.
E chi siano questi personaggi emerge chiaro dai racconti degli amici di alcuni dei kamikaze che hanno raggelato le nostre anime nell’orrore: quelli che a noi sembrano giganteschi mostri in effetti erano considerati dei falliti, gente inadatta perfino a far parte delle gang di periferia. Ai margini anche di quel microcosmo che del benessere, dei valori, del modo di vivere cittadino vive solo i riflessi: con qualche colpa, in questo caso sì, delle nostre società.
Ma i capi, chi tira i fili di questi burattini destinati a farsi saltare in aria, come può realisticamente pensare di eliminare fisicamente la quasi totalità degli esseri umani, considerando che quasi tutti i musulmani stessi hanno orrore di quello che loro fanno?
Per quanto disturbati mentalmente, perché per sgozzare una persona inginocchiata inerme davanti a te o sparare in testa ad un ragazzo in una discoteca bisogna essere malati di mente, per poterlo fare, chi manovra questi soggetti sa bene che mai arriverà a imporre al mondo la propria visione ancestrale dell’esistenza, le proprie interpretazioni di un libro, le regole sanguinarie che si è dato.
Potrà farlo, armi in pugno e col lavaggio del cervello in piccoli territori, almeno finché la paura di perdere la vita –terrena o celeste- farà restare quelle popolazioni inermi: ma in un mondo secolarizzato come il nostro, viene a mancare la minaccia più forte, quella della dannazione dell’anima.
Ecco allora il significato della strage, che per quanto efferata non cambia i rapporti di forza numerici, ma incide sul morale, sul senso di sicurezza, mette in discussione libertà date per acquisite, semina il sospetto, la paura. Tutte cose che ci fanno più deboli. Ed allora, o la morsa: di chi ci vuole nascosti ed isolati, chiusi nelle nostre case, armati. O la vita. Che è quella che ci siamo conquistati quando i nostri nonni morivano combattendo altri eserciti, altri totalitarismi, altri psicopatici.
Cosa sceglieremo?