SCIENZA
Una ricerca australiana ha studiato le reazioni cerebrali alle "faccine"
Gli emoticons ci hanno cambiato il cervello
Sembra dimostrato che l'uso dilagante degli emoticons abbia provocato un cambiamento nel funzionamento del cervello umano

Gli emoticons, le faccine apparse negli anni Ottanta del secolo scorso che hanno invaso le nostre comunicazioni in rete, ci stanno cambiando la testa.
Lo dimostrerebbe una ricerca australiana diretta dal Dottor Owen Churches, della scuola di psicologia della Flinders University di Adelaide.
Si tratta, cetamente, di una nuova forma di linguaggio - anche se, verrebbe da dire, i geroglifici esistono da molto prima. Ma non è la storia che interessa al Dottor Churches; è invece l'effetto che questo tipo di codice di comunicazione ha prodotto e produce nel funzionamento del nostro cervello.
Le "faccine" - in tutta la loro gamma rappresentativa - corrispondono a un preciso punto di vista psicologico percettivo. Perché - spiega la ricerca - alle emozioni espresse dai complessi e articolati movimenti del volto facciamo tutti molta più attenzione che a qualsiasi altro tipo di comunicazione interpersonale.
La ricerca australiana ha voluto confrontare le reazioni del cervello umano che osserva un volto vero e proprio con quelle di chi percepisce - "legge" - gli emoticons. Cercando anche di valutarne le variazioni quando segni e figure apparivano disposte in ordine diverso da quello consueto. Cioè: rovesciando le foto o invertendo l'ordine di scrittura dei simboli.
L'esperimento
Il team del Dottor Churches ha proposto a venti persone alcune fotografie di volti umani veri, poi una serie di emoticons scritti con le consuete parentesi, virgole e due punti e infine una serie di caratteri alfanumerici casuali.
Durante la lettura, è stata misurata l'attività cerebrale delle persone sottoposte al test percettivo.
Di fronte alle immagini fotografiche - in qualsiasi posizione o verso fossero mostrate - le misurazioni dell'attività cerebrale non hanno mostrato variazioni significative: il cervello umano riconosce l'emozione tradita da un'espressione facciale anche se il volto è mostrato a testa in giù.
Con gli emoticons è andata diversamente. Infatti, rovesciando la sequenza tipicamente utilizzata per rappresentare una faccia sorridente ":-)" e scrivendola in ordine inverso - così "(-:" - le aree del cervello solitamente attivate dal riconoscimento immediato di un'espressione facciale non hanno rivelato attività specifica., ma la percezione delle persone sottoposte al test sono rimaste ferme alla sequenza di "parentesi", "trattino" e "due punti".
Ma che cosa si è dimostrato?
Che le faccine degli emoticons introdotte alla Carnegie Mellon University dal Professor Scott Fahlman nel 1982 non corrispondono a una rappresentazione delle emozioni facciali innate, quelle ci fanno intravedere, già nel neonato, l'imitazione di ciò che percepisce intorno a sé. Sarebbero invece rappresentazioni di stati d'animo scritte in un codice tutto "culturale", niente affatto "naturale". Una modificazione del funzionamento del cervello, insomma. Roba da epigenetica...?
Lo dimostrerebbe una ricerca australiana diretta dal Dottor Owen Churches, della scuola di psicologia della Flinders University di Adelaide.
Si tratta, cetamente, di una nuova forma di linguaggio - anche se, verrebbe da dire, i geroglifici esistono da molto prima. Ma non è la storia che interessa al Dottor Churches; è invece l'effetto che questo tipo di codice di comunicazione ha prodotto e produce nel funzionamento del nostro cervello.
Le "faccine" - in tutta la loro gamma rappresentativa - corrispondono a un preciso punto di vista psicologico percettivo. Perché - spiega la ricerca - alle emozioni espresse dai complessi e articolati movimenti del volto facciamo tutti molta più attenzione che a qualsiasi altro tipo di comunicazione interpersonale.
La ricerca australiana ha voluto confrontare le reazioni del cervello umano che osserva un volto vero e proprio con quelle di chi percepisce - "legge" - gli emoticons. Cercando anche di valutarne le variazioni quando segni e figure apparivano disposte in ordine diverso da quello consueto. Cioè: rovesciando le foto o invertendo l'ordine di scrittura dei simboli.
L'esperimento
Il team del Dottor Churches ha proposto a venti persone alcune fotografie di volti umani veri, poi una serie di emoticons scritti con le consuete parentesi, virgole e due punti e infine una serie di caratteri alfanumerici casuali.
Durante la lettura, è stata misurata l'attività cerebrale delle persone sottoposte al test percettivo.
Di fronte alle immagini fotografiche - in qualsiasi posizione o verso fossero mostrate - le misurazioni dell'attività cerebrale non hanno mostrato variazioni significative: il cervello umano riconosce l'emozione tradita da un'espressione facciale anche se il volto è mostrato a testa in giù.
Con gli emoticons è andata diversamente. Infatti, rovesciando la sequenza tipicamente utilizzata per rappresentare una faccia sorridente ":-)" e scrivendola in ordine inverso - così "(-:" - le aree del cervello solitamente attivate dal riconoscimento immediato di un'espressione facciale non hanno rivelato attività specifica., ma la percezione delle persone sottoposte al test sono rimaste ferme alla sequenza di "parentesi", "trattino" e "due punti".
Ma che cosa si è dimostrato?
Che le faccine degli emoticons introdotte alla Carnegie Mellon University dal Professor Scott Fahlman nel 1982 non corrispondono a una rappresentazione delle emozioni facciali innate, quelle ci fanno intravedere, già nel neonato, l'imitazione di ciò che percepisce intorno a sé. Sarebbero invece rappresentazioni di stati d'animo scritte in un codice tutto "culturale", niente affatto "naturale". Una modificazione del funzionamento del cervello, insomma. Roba da epigenetica...?