ITALIA
La rivoluzione di Marchionne. Intervista a Tom Dealessandri
La notizia della morte di Sergio Marchionne ha fatto il giro de l mondo. Il grande manager di FCA è deceduto oggi a Zurigo all’UniversitatsSpital, l’ospedale universitario di Zurigo, dove era ricoverato dalla fine di giugno. Aveva 66 anni. Lascia due figli, Alessio Giacomo e Jonathan Tyler, e la compagna Manuela.Quale eredità lascia all’industria italiana e al Paese? Ne parliamo, in questa intervista, con Tom Dealessandri, un protagonista di primo piano del mondo sindacale e edella politica torinese. E’ stato, infatti, Segretario della Cisl di Torino e Vicesindaco, con delega al Lavoro, con la giunta Chiamparino

Tom Dealessandri, tu sei stato, per i tuoi incarichi di segretario della Cisl di Torino e Vicesindaco e Assessore al lavoro nella giunta Chiamparino, un interlocutore di Sergio Marchionne. Per i suoi critici era l’esempio del moderno “padrone delle ferriere”. Per te?
Sergio Marchionne è stato uno che si è preso un’azienda quasi fallita e che non è partito con il piede “quel che non va chiudo” ma “come faccio a tenere aperti gli stabilimenti e di conseguenza salvare l’occupazione”. Questo è quello che ha fatto qui, ma anche con Chrysler, dando una prospettiva internazionale che nessuna delle due prima aveva.
Il rapporto con il Sindacato è stato duro, o almeno, con una parte di esso (la Fiom). La Fim e la Cisl, con la Uil, accettarono di firmare il contratto FCA. Anche l’uscita da Confindustria fu uno choc. Insomma un intero sistema di relazioni industriali fu sconvolto. Che cosa è stata la rivoluzione di Sergio Marchionne?
Intanto il problema è che si è arrivati lì dopo che gli accordi aziendali erano stati separati e quindi diventava difficile mantenere gli accordi separati con un contratto nazionale che invece era firmato da tutti. Se Fiom avesse firmato gli accordi aziendali, che tra l’altro non peggioravano le condizioni di lavoro né a Pomigliano né a Melfi né a Mirafiori, questo avrebbe consentito di avere maggiore produzione a Mirafiori, perché la 500L era a lì destinata (dopo è stata portata in Serbia), forse non sarebbe manco uscita dal sistema Confindustria. Ovviamente ha pesato la cultura americana, perché in America i contratti sono fatti prima dalle grandi aziende e poi vengono portati nelle piccole e medie. Per cui ha sconvolto perché, in realtà, non si è andati d’accordo. Non è negativo, se noi guardiamo gli stabilimenti sono migliorati con Marchionne, il livello delle condizioni di lavoro, l’ergonomia, questa è la nuova fabbrica. Il problema è che se si fa finta di discutere sulla stessa fabbrica su cui io discutevo negli anni 70 non è la stessa fabbrica e allora vanno adeguati i modelli di relazione sindacale.
Sergio Marchionne, per la sua statura, ha portato un esempio di manager anomalo. Per esempio il suo rapporto con la politica italiana era di distanza. Eppure alcuni leader hanno espresso ammirazione. C’è qualcosa che Marchionne ha insegnato alla politica?
Nel senso che come sappiamo da cent’anni a questa parte i manager sono sempre stati filogovernativi, per necessità perché se sei una grande azienda non puoi essere in contraddizione con la politica. La cosa che lui ha insegnato è stata quella di rispettare la politica per le sue prerogative, di farsi rispettare per le proprie. Anche prima comunque c’era la regola di non intromettersi negli affari di governo e della politica, il contrario era più una leggenda metropolitana giornalistica.
Parliamo della azienda. FCA è ormai una azienda globale. Il vero colpo da maestro di Marchionne è stato aver preso Chrysler in liquidazione. Da lì nasce FCA. Tanto che i maggiori profitti vengono dal mercato americano (l’area Nafta), mentre l’Europa ha problemi. Il marchio FCA in Italia pure. Insomma non è tutto oro quello che luccica.
Come pensi che si svilupperà il futuro dell ‘azienda? Pensi che il nuovo amministratore delegato sia all’ altezza?
La linea è tracciata, si tratta di caratterizzare di più i nostri marchi, Alfa in primis, la gamma 500 ecc. Così come portiamo Jeep in qua, dobbiamo portare 500 verso gli altri mercati. D’altra parte la Renegade o il piccolo SUV cittadino dovrebbe essere fatto in Italia, per cui bisogna andare avanti su questa strada. Se i marchi vengono caratterizzati per quello che sono – uno sportivo, uno legato al fuoristrada, uno per interurbano ed urbano e così via – è possibile mantenerla. Pur essendo un grande gruppo, è tra i più piccoli dei 7, per cui forse si possono fare degli accordi con gli altri, sia mettendo assieme l’azionariato oppure per tenere un livello di competitività coi grandi si investono su parti in comune.
Per quanto riguarda il nuovo amministratore delegato, essendo stato scelto all’interno del gruppo ed essendo uno di quelli del gruppo che Marchionne ha creato, l’indicazione mi pare chiara: la continuità. Poi, se mi posso permettere, per riuscire a determinare anche qualche scelta bisogna tenere relazioni ed avere fiducia reciproca e poi si negozia, ma la fiducia reciproca è necessaria. Bisogna farlo sentire cittadino di questo Paese anche se inglese.
Alla fine, qual è l’eredità che Marchionne ha lasciato all’Italia?
Davanti ai problemi non arrendersi, studiare come fare per risalire la china, che è un bel insegnamento. Di fronte ad uno stabilimento che non ha una situazione a posto si può dire chiudiamo, invece Marchionne ha fatto di tutto per tenerlo aperto.
Sergio Marchionne è stato uno che si è preso un’azienda quasi fallita e che non è partito con il piede “quel che non va chiudo” ma “come faccio a tenere aperti gli stabilimenti e di conseguenza salvare l’occupazione”. Questo è quello che ha fatto qui, ma anche con Chrysler, dando una prospettiva internazionale che nessuna delle due prima aveva.
Il rapporto con il Sindacato è stato duro, o almeno, con una parte di esso (la Fiom). La Fim e la Cisl, con la Uil, accettarono di firmare il contratto FCA. Anche l’uscita da Confindustria fu uno choc. Insomma un intero sistema di relazioni industriali fu sconvolto. Che cosa è stata la rivoluzione di Sergio Marchionne?
Intanto il problema è che si è arrivati lì dopo che gli accordi aziendali erano stati separati e quindi diventava difficile mantenere gli accordi separati con un contratto nazionale che invece era firmato da tutti. Se Fiom avesse firmato gli accordi aziendali, che tra l’altro non peggioravano le condizioni di lavoro né a Pomigliano né a Melfi né a Mirafiori, questo avrebbe consentito di avere maggiore produzione a Mirafiori, perché la 500L era a lì destinata (dopo è stata portata in Serbia), forse non sarebbe manco uscita dal sistema Confindustria. Ovviamente ha pesato la cultura americana, perché in America i contratti sono fatti prima dalle grandi aziende e poi vengono portati nelle piccole e medie. Per cui ha sconvolto perché, in realtà, non si è andati d’accordo. Non è negativo, se noi guardiamo gli stabilimenti sono migliorati con Marchionne, il livello delle condizioni di lavoro, l’ergonomia, questa è la nuova fabbrica. Il problema è che se si fa finta di discutere sulla stessa fabbrica su cui io discutevo negli anni 70 non è la stessa fabbrica e allora vanno adeguati i modelli di relazione sindacale.
Sergio Marchionne, per la sua statura, ha portato un esempio di manager anomalo. Per esempio il suo rapporto con la politica italiana era di distanza. Eppure alcuni leader hanno espresso ammirazione. C’è qualcosa che Marchionne ha insegnato alla politica?
Nel senso che come sappiamo da cent’anni a questa parte i manager sono sempre stati filogovernativi, per necessità perché se sei una grande azienda non puoi essere in contraddizione con la politica. La cosa che lui ha insegnato è stata quella di rispettare la politica per le sue prerogative, di farsi rispettare per le proprie. Anche prima comunque c’era la regola di non intromettersi negli affari di governo e della politica, il contrario era più una leggenda metropolitana giornalistica.
Parliamo della azienda. FCA è ormai una azienda globale. Il vero colpo da maestro di Marchionne è stato aver preso Chrysler in liquidazione. Da lì nasce FCA. Tanto che i maggiori profitti vengono dal mercato americano (l’area Nafta), mentre l’Europa ha problemi. Il marchio FCA in Italia pure. Insomma non è tutto oro quello che luccica.
Come pensi che si svilupperà il futuro dell ‘azienda? Pensi che il nuovo amministratore delegato sia all’ altezza?
La linea è tracciata, si tratta di caratterizzare di più i nostri marchi, Alfa in primis, la gamma 500 ecc. Così come portiamo Jeep in qua, dobbiamo portare 500 verso gli altri mercati. D’altra parte la Renegade o il piccolo SUV cittadino dovrebbe essere fatto in Italia, per cui bisogna andare avanti su questa strada. Se i marchi vengono caratterizzati per quello che sono – uno sportivo, uno legato al fuoristrada, uno per interurbano ed urbano e così via – è possibile mantenerla. Pur essendo un grande gruppo, è tra i più piccoli dei 7, per cui forse si possono fare degli accordi con gli altri, sia mettendo assieme l’azionariato oppure per tenere un livello di competitività coi grandi si investono su parti in comune.
Per quanto riguarda il nuovo amministratore delegato, essendo stato scelto all’interno del gruppo ed essendo uno di quelli del gruppo che Marchionne ha creato, l’indicazione mi pare chiara: la continuità. Poi, se mi posso permettere, per riuscire a determinare anche qualche scelta bisogna tenere relazioni ed avere fiducia reciproca e poi si negozia, ma la fiducia reciproca è necessaria. Bisogna farlo sentire cittadino di questo Paese anche se inglese.
Alla fine, qual è l’eredità che Marchionne ha lasciato all’Italia?
Davanti ai problemi non arrendersi, studiare come fare per risalire la china, che è un bel insegnamento. Di fronte ad uno stabilimento che non ha una situazione a posto si può dire chiudiamo, invece Marchionne ha fatto di tutto per tenerlo aperto.