ITINERARI
Festival del Verde e del Paesaggio
Ville e Giardini di Roma, le nuove funzioni del verde storico
Il verde fra progetti di futuri sostenibili e percorsi di conservazione del patrimonio. E’ questo il filo conduttore della manifestazione (Auditorium di Roma dal 13 al 15 maggio) che dimostra che entrambe le direzioni vanno verso pratiche di tutela, ricerca e rigenerazione. Ne abbiamo parlato con la storica dell'arte Giovanna Alberta Campitelli.

“L’arte del giardino […] non si limita più al solo giardino privato o pubblico della città, ma abbraccia il territorio dell’intera Nazione, con funzioni nuove, essenzialmente sociali e spirituali […]: solo così [...] l’opera umana raggiungerà la perfezione senza contrasti ed in assoluta armonia.” Pietro Porcinai (1942)
Con largo anticipo in Italia, Pietro Porcinai aveva compreso come l’arte dei giardini potesse contenere importanti funzioni sociali. Funzioni sociali e politiche da noi capite tardi, rispetto al resto dell’Europa, dove già alla fine del XIX secolo si realizzavano i primi parchi pubblici della storia moderna. E non è un caso se la storica dell’arte Giovanna Alberta Campitelli parla di Porcinai come di uno dei pochi autori di giardini del ‘900 italiano. Autore e artista nel pieno senso della parola, in quanto innovatore, conoscitore della storia e consapevole della poca lungimiranza che lo circondava. L’Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma (Jaca Book), curato dalla Campitelli, oltre a raccontare le trasformazioni di giardini e ville monumentali della Capitale, ricorda anche quelli demoliti, smembrati, dimenticati, la cui distruzione entra drammaticamente a far parte di questa lacuna tutta italiana.
Contrariamente agli altri Paesi industrializzati, dove la progettazione del verde è nata insieme alla pianificazione urbanistica, in Italia ancora oggi un pensiero progettuale e creativo, fatica a imporsi. Eppure ritardi, mancanza di attenzione e spesso anche di rispetto per l’ambiente stridono fortemente con le spinte dal basso in difesa del verde, nate in questi ultimi anni in diversi contesti. L’appuntamento all’Auditorium di Roma è una delle finestre di riflessione aperte sulle potenzialità della cultura del verde e del paesaggio, che si interseca con la ricerca di nuovi percorsi e con l’arte dei giardini.
Fra i vari incontri, quello del 14 maggio, sarà dedicato alla “Conservazione, gestione e valorizzazione dei giardini storici fra pubblico e privato”. Organizzato dall’Associazione Parchi e Giardini italiani (APGI), ospiterà rappresentanti del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e della Regione Lazio. Per quanto riguarda i giardini privati, saranno presenti rappresentanti dell’Associazione Dimore storiche, FAI, Ville della Lucchesia, e Ville Tuscolane.
Alberta Campitelli (vice presidente dell’APGI) condurrà il colloquio. Le abbiamo rivolto alcune domande per cercare di capire qualcosa di più sul rapporto fra giardini e coscienza ecologica, memoria storica e progettazione, arte e green rigeneration.
Dottoressa Campitelli, ci può anticipare i contenuti del suo intervento sui giardini storici, “fra pubblico e privato”, al Festival del verde e del paesaggio?
Il tema è dei più attuali, il verde è un beneficio per tutti, indipendentemente dal fatto che sia pubblico o privato. Si parlerà anche dei progetti di legge in corso di approvazione per la defiscalizzazione degli oneri per gli interventi di sistemazione a verde di aree private. Sarà un momento di confronto tra pubblico e privato molto importante, perché l’Associazione Parchi e Giardini storici ha fra i suoi scopi quello di trovare forme di collaborazione sempre più efficaci tra il pubblico e il privato.
Sui giardini, lei ha curato un importante libro – Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma – in cui mette in luce alcuni periodi storici poco noti della storia di Roma, come il Medioevo. L'idea di ciò che erano i giardini in quei secoli, spesso condizionati dalla carenza di acqua e dall’emergenza alimentare – emergenze diffuse anche oggi - può suggerire nuovi tipi di strategie nell’attuale riorganizzazione del verde?
Per quanto riguarda questo tipo di strategie, bisogna distinguere fra giardini storici e verde urbano. E’ in questo secondo caso che si può fare molto. Si può indirizzare una riorganizzazione del verde verso una rigenerazione degli spazi delle nostre città in modo oculato. Un aspetto molto attuale è il recupero a verde di aree abbandonate, spesso di origine industriale, proprio nelle città che hanno avuto un passato “industriale”. Su questo tema APGI sta collaborando con il Comune di Terni per un ambizioso progetto di “Green regeneration” con un importante convegno che si terrà tra il 10 e l’11 giugno.
Lei ha diretto interventi di restauro di ville storiche, come Villa Borghese e Villa Torlonia. Ma dopo il restauro restano ancora molte questioni aperte: quali sono i criteri di manutenzione del verde storico a Roma, e cosa manca ancora a una sua piena realizzazione?
Quello della manutenzione è il problema maggiore dei nostri giorni. Negli ultimi decenni abbiamo avuto molti restauri di aree verdi importanti ma non siamo riusciti a far passare il concetto della manutenzione. Senza manutenzione, tutti gli interventi di restauro rischiano di essere resi nulli. Mancano due cose importanti: la sensibilità politica e la formazione del personale. A Roma per esempio, la manutenzione si è sempre più esternalizzata, attraverso il ricorso a ditte esterne. Il lavoratore di una ditta un giorno lavora in un posto e un giorno in un altro. Può anche non tornare più in un giardino in cui è intervenuto. Questo fa perdere il rapporto storico con il luogo, che è un rapporto di continuità, di conoscenza e crescita tra il giardiniere e il giardino in cui lavora. Il giardiniere nel tempo sviluppa una sensibilità nei confronti delle piante, direi anche un rapporto di amore e di identificazione.
Arriviamo al ‘900. Mentre in tutta Europa agli inizi di questo secolo si cominciano a sperimentare idee urbanistiche innovative, in Italia i progetti legati al verde cittadino sembrano uniformarsi. Perfino le scelte delle varietà botaniche sono limitate, come se venisse meno la fantasia. Anche oggi l’immagine del verde pubblico contemporaneo è quella di un giardino “asettico” e senza personalità. Come spiega una simile situazione, in un Paese dall’eredità culturale tanto ricca?
La povertà del giardino contemporaneo italiano è reale. E ne sono stati fatti pochi nel 900. Gli unici notevoli sono quelli realizzati da Pietro Porcinai. Un esempio fra tutti, la Valle dei Rododendri. Lui è stato il primo a progettare dei giardini in aree industriali, come quello presso lo Stabilimento Zegna a Trissino. Porcinai è stato l’unico a fare scelte innovative. E’ vero anche il problema dell’impoverimento delle varietà botaniche. Se dei miglioramenti sono stati fatti, è proprio nei restauri dei giardini storici. Negli ultimi decenni sono state introdotte varietà botaniche perdute. Nei Giardini segreti di Villa Borghese per esempio, sono state reintrodotte la Fritillaria imperialis, di origine orientale e molto in voga nei giardini del ‘600, che col tempo era andata perduta o la Scilla peruviana. Queste reintroduzioni sono un altro piccolo passo verso la biodiversità.
Nell’introduzione all’Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma , lei parla di un recente "affermarsi della coscienza ecologista e di una nuova consapevolezza del valore dei giardini": associare l’idea "ecologia” a quella di “giardino” fa pensare a quel tipo di impegno collettivo che ha portato alla creazione di spazi verdi pubblici come la High Line a New York. Quanto cittadini e associazioni, in Italia, possono realmente incidere sulle scelte amministrative riguardanti il verde pubblico?
Per quanto riguarda l’affermarsi di una coscienza ecologista a Roma, possiamo risalire addirittura alla giunta Argan e Nicolini,tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, quando il Comune di Roma espropriò una quantità di ville incredibile: Villa Torlonia, Villa Mazzanti, Villa Leopardi, Villa Lais, Villa Lazzaroni, proprio a seguito delle pressioni della coscienza ecologica che si andava affermando nei cittadini. All’inizio si considerava solo il loro valore verde, ecologico Il valore storico di questi luoghi è stato acquisito in un momento successivo. Credo che i cittadini possano fare molto per incidere sulle scelte politiche e credo che stiamo assistendo a un momento nuovo. Ora la Regione Lazio sta preparando una proposta di legge sulle ville storiche, e il Senato, come abbiamo detto, sta studiando le misure di agevolazione fiscale per interventi a verde... E a dimostrare un cambiamento generale di sensibilità, c’è anche il moltiplicarsi di festival dedicati alla cultura del verde. Come quello dell’Auditorium, Floracult, La Conserva della Neve, La Landriana, solo per parlare di Roma e dintorni. La crescita della coscienza dei cittadini, assieme all’amore per il verde sta diventando anche una forza politica.
Quale, fra i giardini contemporanei di Roma – pubblici o privati, noti o meno noti – potrebbe essere a suo parere, fra 50 o 100 anni, meritevole di interesse per uno storico?
Questa è una domanda molto difficile perché a Roma, giardini contemporanei non ci sono. Intorno a Roma, invece esistono luoghi molto interessanti. Come la Landriana, i Giardini di San Liberato, gli Orti di Veio. E’ molto importante anche quello che sta accadendo in molti giardini, dove si sperimenta l’abbinamento tra arte figurativa e verde.
Per il grande paesaggista francese, Corajoud, l’esame della storia di uno luogo è una delle tappe irrinunciabili del lavoro progettuale. Corajoud incoraggiava a “intrecciare” ogni progetto alla “memoria di un sito”. Che contributo può dare quindi uno storico a chi uno spazio pubblico lo deve progettare?
Questo è molto vero. Ho avuto un’esperienza in questo senso in cui io, storica, ho collaborato con un architetto, Giorgio Galletti (ex direttore di Boboli). Qualche anno fa abbiamo predisposto un progetto per l’area del Galoppatoio di Villa Borghese legato alla riqualificazione del parcheggio interrato, un’area oggi fra le più brutte di Roma. Ma alla fine del 700 vi era stato un giardino all’inglese (opera di Francesco Bettini), poi andato distrutto. Nel progetto con Galletti, abbiamo ideato alcuni elementi che evocavano la presenza di quel giardino effimero vissuto per più di un decennio alla fine del 700.
Lei ha anche diretto il Macro di Testaccio e di Via Nizza. Lavorare a lungo sui giardini storici le ha in qualche modo fornito una chiave di lettura particolare per gestire il Macro? E in che modo può un museo a sua volta incidere per aiutare a sviluppare fra i cittadini una cultura del verde?
Il museo ha certo un grande ruolo. Soprattutto oggi, viviamo un momento in cui l’arte, soprattutto quella contemporanea, sta uscendo dai musei. E l’esempio della collocazione delle opere d’arte in giardini e parchi mostra un modo inedito per fruire l’arte contemporanea. Un museo deve uscire all’esterno e nella moderna museologia si parla sempre più del rapporto tra museo e territorio. Non è un caso se presto Milano ospiterà (dal 3 al 9 luglio) un convegno internazionale dell’Icom (International Council of Museums), al quale parteciperanno oltre 4000 professionisti dei musei da tutto il mondo, sul tema: “Musei e paesaggi culturali”. Noi ICOM Italia presenteremo un censimento dei musei che hanno un rapporto col paesaggio, che si sono occupati di paesaggio e di territorio, anche ospitando mostre, laboratori... In Italia ve ne sono ben 200.
Con largo anticipo in Italia, Pietro Porcinai aveva compreso come l’arte dei giardini potesse contenere importanti funzioni sociali. Funzioni sociali e politiche da noi capite tardi, rispetto al resto dell’Europa, dove già alla fine del XIX secolo si realizzavano i primi parchi pubblici della storia moderna. E non è un caso se la storica dell’arte Giovanna Alberta Campitelli parla di Porcinai come di uno dei pochi autori di giardini del ‘900 italiano. Autore e artista nel pieno senso della parola, in quanto innovatore, conoscitore della storia e consapevole della poca lungimiranza che lo circondava. L’Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma (Jaca Book), curato dalla Campitelli, oltre a raccontare le trasformazioni di giardini e ville monumentali della Capitale, ricorda anche quelli demoliti, smembrati, dimenticati, la cui distruzione entra drammaticamente a far parte di questa lacuna tutta italiana.
Contrariamente agli altri Paesi industrializzati, dove la progettazione del verde è nata insieme alla pianificazione urbanistica, in Italia ancora oggi un pensiero progettuale e creativo, fatica a imporsi. Eppure ritardi, mancanza di attenzione e spesso anche di rispetto per l’ambiente stridono fortemente con le spinte dal basso in difesa del verde, nate in questi ultimi anni in diversi contesti. L’appuntamento all’Auditorium di Roma è una delle finestre di riflessione aperte sulle potenzialità della cultura del verde e del paesaggio, che si interseca con la ricerca di nuovi percorsi e con l’arte dei giardini.
Fra i vari incontri, quello del 14 maggio, sarà dedicato alla “Conservazione, gestione e valorizzazione dei giardini storici fra pubblico e privato”. Organizzato dall’Associazione Parchi e Giardini italiani (APGI), ospiterà rappresentanti del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo e della Regione Lazio. Per quanto riguarda i giardini privati, saranno presenti rappresentanti dell’Associazione Dimore storiche, FAI, Ville della Lucchesia, e Ville Tuscolane.
Alberta Campitelli (vice presidente dell’APGI) condurrà il colloquio. Le abbiamo rivolto alcune domande per cercare di capire qualcosa di più sul rapporto fra giardini e coscienza ecologica, memoria storica e progettazione, arte e green rigeneration.
Dottoressa Campitelli, ci può anticipare i contenuti del suo intervento sui giardini storici, “fra pubblico e privato”, al Festival del verde e del paesaggio?
Il tema è dei più attuali, il verde è un beneficio per tutti, indipendentemente dal fatto che sia pubblico o privato. Si parlerà anche dei progetti di legge in corso di approvazione per la defiscalizzazione degli oneri per gli interventi di sistemazione a verde di aree private. Sarà un momento di confronto tra pubblico e privato molto importante, perché l’Associazione Parchi e Giardini storici ha fra i suoi scopi quello di trovare forme di collaborazione sempre più efficaci tra il pubblico e il privato.
Sui giardini, lei ha curato un importante libro – Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma – in cui mette in luce alcuni periodi storici poco noti della storia di Roma, come il Medioevo. L'idea di ciò che erano i giardini in quei secoli, spesso condizionati dalla carenza di acqua e dall’emergenza alimentare – emergenze diffuse anche oggi - può suggerire nuovi tipi di strategie nell’attuale riorganizzazione del verde?
Per quanto riguarda questo tipo di strategie, bisogna distinguere fra giardini storici e verde urbano. E’ in questo secondo caso che si può fare molto. Si può indirizzare una riorganizzazione del verde verso una rigenerazione degli spazi delle nostre città in modo oculato. Un aspetto molto attuale è il recupero a verde di aree abbandonate, spesso di origine industriale, proprio nelle città che hanno avuto un passato “industriale”. Su questo tema APGI sta collaborando con il Comune di Terni per un ambizioso progetto di “Green regeneration” con un importante convegno che si terrà tra il 10 e l’11 giugno.
Lei ha diretto interventi di restauro di ville storiche, come Villa Borghese e Villa Torlonia. Ma dopo il restauro restano ancora molte questioni aperte: quali sono i criteri di manutenzione del verde storico a Roma, e cosa manca ancora a una sua piena realizzazione?
Quello della manutenzione è il problema maggiore dei nostri giorni. Negli ultimi decenni abbiamo avuto molti restauri di aree verdi importanti ma non siamo riusciti a far passare il concetto della manutenzione. Senza manutenzione, tutti gli interventi di restauro rischiano di essere resi nulli. Mancano due cose importanti: la sensibilità politica e la formazione del personale. A Roma per esempio, la manutenzione si è sempre più esternalizzata, attraverso il ricorso a ditte esterne. Il lavoratore di una ditta un giorno lavora in un posto e un giorno in un altro. Può anche non tornare più in un giardino in cui è intervenuto. Questo fa perdere il rapporto storico con il luogo, che è un rapporto di continuità, di conoscenza e crescita tra il giardiniere e il giardino in cui lavora. Il giardiniere nel tempo sviluppa una sensibilità nei confronti delle piante, direi anche un rapporto di amore e di identificazione.
Arriviamo al ‘900. Mentre in tutta Europa agli inizi di questo secolo si cominciano a sperimentare idee urbanistiche innovative, in Italia i progetti legati al verde cittadino sembrano uniformarsi. Perfino le scelte delle varietà botaniche sono limitate, come se venisse meno la fantasia. Anche oggi l’immagine del verde pubblico contemporaneo è quella di un giardino “asettico” e senza personalità. Come spiega una simile situazione, in un Paese dall’eredità culturale tanto ricca?
La povertà del giardino contemporaneo italiano è reale. E ne sono stati fatti pochi nel 900. Gli unici notevoli sono quelli realizzati da Pietro Porcinai. Un esempio fra tutti, la Valle dei Rododendri. Lui è stato il primo a progettare dei giardini in aree industriali, come quello presso lo Stabilimento Zegna a Trissino. Porcinai è stato l’unico a fare scelte innovative. E’ vero anche il problema dell’impoverimento delle varietà botaniche. Se dei miglioramenti sono stati fatti, è proprio nei restauri dei giardini storici. Negli ultimi decenni sono state introdotte varietà botaniche perdute. Nei Giardini segreti di Villa Borghese per esempio, sono state reintrodotte la Fritillaria imperialis, di origine orientale e molto in voga nei giardini del ‘600, che col tempo era andata perduta o la Scilla peruviana. Queste reintroduzioni sono un altro piccolo passo verso la biodiversità.
Nell’introduzione all’Atlante storico delle Ville e dei Giardini di Roma , lei parla di un recente "affermarsi della coscienza ecologista e di una nuova consapevolezza del valore dei giardini": associare l’idea "ecologia” a quella di “giardino” fa pensare a quel tipo di impegno collettivo che ha portato alla creazione di spazi verdi pubblici come la High Line a New York. Quanto cittadini e associazioni, in Italia, possono realmente incidere sulle scelte amministrative riguardanti il verde pubblico?
Per quanto riguarda l’affermarsi di una coscienza ecologista a Roma, possiamo risalire addirittura alla giunta Argan e Nicolini,tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, quando il Comune di Roma espropriò una quantità di ville incredibile: Villa Torlonia, Villa Mazzanti, Villa Leopardi, Villa Lais, Villa Lazzaroni, proprio a seguito delle pressioni della coscienza ecologica che si andava affermando nei cittadini. All’inizio si considerava solo il loro valore verde, ecologico Il valore storico di questi luoghi è stato acquisito in un momento successivo. Credo che i cittadini possano fare molto per incidere sulle scelte politiche e credo che stiamo assistendo a un momento nuovo. Ora la Regione Lazio sta preparando una proposta di legge sulle ville storiche, e il Senato, come abbiamo detto, sta studiando le misure di agevolazione fiscale per interventi a verde... E a dimostrare un cambiamento generale di sensibilità, c’è anche il moltiplicarsi di festival dedicati alla cultura del verde. Come quello dell’Auditorium, Floracult, La Conserva della Neve, La Landriana, solo per parlare di Roma e dintorni. La crescita della coscienza dei cittadini, assieme all’amore per il verde sta diventando anche una forza politica.
Quale, fra i giardini contemporanei di Roma – pubblici o privati, noti o meno noti – potrebbe essere a suo parere, fra 50 o 100 anni, meritevole di interesse per uno storico?
Questa è una domanda molto difficile perché a Roma, giardini contemporanei non ci sono. Intorno a Roma, invece esistono luoghi molto interessanti. Come la Landriana, i Giardini di San Liberato, gli Orti di Veio. E’ molto importante anche quello che sta accadendo in molti giardini, dove si sperimenta l’abbinamento tra arte figurativa e verde.
Per il grande paesaggista francese, Corajoud, l’esame della storia di uno luogo è una delle tappe irrinunciabili del lavoro progettuale. Corajoud incoraggiava a “intrecciare” ogni progetto alla “memoria di un sito”. Che contributo può dare quindi uno storico a chi uno spazio pubblico lo deve progettare?
Questo è molto vero. Ho avuto un’esperienza in questo senso in cui io, storica, ho collaborato con un architetto, Giorgio Galletti (ex direttore di Boboli). Qualche anno fa abbiamo predisposto un progetto per l’area del Galoppatoio di Villa Borghese legato alla riqualificazione del parcheggio interrato, un’area oggi fra le più brutte di Roma. Ma alla fine del 700 vi era stato un giardino all’inglese (opera di Francesco Bettini), poi andato distrutto. Nel progetto con Galletti, abbiamo ideato alcuni elementi che evocavano la presenza di quel giardino effimero vissuto per più di un decennio alla fine del 700.
Lei ha anche diretto il Macro di Testaccio e di Via Nizza. Lavorare a lungo sui giardini storici le ha in qualche modo fornito una chiave di lettura particolare per gestire il Macro? E in che modo può un museo a sua volta incidere per aiutare a sviluppare fra i cittadini una cultura del verde?
Il museo ha certo un grande ruolo. Soprattutto oggi, viviamo un momento in cui l’arte, soprattutto quella contemporanea, sta uscendo dai musei. E l’esempio della collocazione delle opere d’arte in giardini e parchi mostra un modo inedito per fruire l’arte contemporanea. Un museo deve uscire all’esterno e nella moderna museologia si parla sempre più del rapporto tra museo e territorio. Non è un caso se presto Milano ospiterà (dal 3 al 9 luglio) un convegno internazionale dell’Icom (International Council of Museums), al quale parteciperanno oltre 4000 professionisti dei musei da tutto il mondo, sul tema: “Musei e paesaggi culturali”. Noi ICOM Italia presenteremo un censimento dei musei che hanno un rapporto col paesaggio, che si sono occupati di paesaggio e di territorio, anche ospitando mostre, laboratori... In Italia ve ne sono ben 200.