MONDO
2mila morti in giugno, mese più sanguinoso da maggio 2007
Iraq, Usa e ribelli siriani si oppongono al califfato dell'Isil, l'esercito avanza verso Tikrit
Situazione sempre tesa nel Paese. Gli scontri continuano e Obama invia un altro contingente di 200 uomini a protezione dell'ambasciata e dell'aeroporto della capitale.

La proclamazione del califfato islamico “non significa nulla”. Gli Stati Uniti sono lapidari sull’annuncio dei jihadisti dell’Isil, che non trovano appoggio anche da parte delle principali fazioni dei ribelli siriani, per le quali la dichiarazione è “nulla e non avvenuta, legalmente e logicamente”. Sul campo intanto si continua a combattere: l’esercito iracheno avanza lentamente nel tentativo di riprendere Tikrit, mentre i dati sulla guerra parlano di 2mila morti nell’ultimo mese, il più sanguinoso in Iraq dal maggio 2007.
Il Paese continua a vivere in uno stato di guerra. Forte del sostegno militare diretto e indiretto di Stati Uniti, Russia e Iran, l'esercito fedele al premier Nuri al Maliki avanza, ma con fatica, verso Tikrit e ora si trova a una decina di chilometri di distanza. La città natale di Saddam Hussein è stata conquistata tre settimane fa dai miliziani qaedisti che si dicono ora padroni di un "califfato islamico" in territorio siro-iracheno. Più a nord, da Mosul, la seconda città del Paese presa dai qaedisti il 10 giugno, giungono notizie di nuovi crimini dei miliziani dello Stato islamico, anche se il patriarca caldeo di Baghdad, monsignor Louis Sako, ha ribadito le sue riserve su quanto viene detto, soprattutto via internet, sulla situazione dei cristiani.
Entro la fine della settimana, secondo il ministero della difesa di Baghdad, entreranno in funzione i primi cinque caccia russi Sukhoi, atterrati nella capitale irachena come prima avanguardia di una dozzina di velivoli acquistati dall'Iraq al posto degli F16 americani, "promessi ma mai inviati da Washington".
Intanto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, "alla luce della situazione della sicurezza a Baghdad", ha deciso di inviare un ulteriore contingente di 200 soldati a protezione dell'ambasciata Usa e dell'aeroporto della capitale, "con lo scopo di proteggere i cittadini statunitensi e le loro proprietà, se necessario, ed equipaggiato per il combattimento".
Il Paese continua a vivere in uno stato di guerra. Forte del sostegno militare diretto e indiretto di Stati Uniti, Russia e Iran, l'esercito fedele al premier Nuri al Maliki avanza, ma con fatica, verso Tikrit e ora si trova a una decina di chilometri di distanza. La città natale di Saddam Hussein è stata conquistata tre settimane fa dai miliziani qaedisti che si dicono ora padroni di un "califfato islamico" in territorio siro-iracheno. Più a nord, da Mosul, la seconda città del Paese presa dai qaedisti il 10 giugno, giungono notizie di nuovi crimini dei miliziani dello Stato islamico, anche se il patriarca caldeo di Baghdad, monsignor Louis Sako, ha ribadito le sue riserve su quanto viene detto, soprattutto via internet, sulla situazione dei cristiani.
Entro la fine della settimana, secondo il ministero della difesa di Baghdad, entreranno in funzione i primi cinque caccia russi Sukhoi, atterrati nella capitale irachena come prima avanguardia di una dozzina di velivoli acquistati dall'Iraq al posto degli F16 americani, "promessi ma mai inviati da Washington".
Intanto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, "alla luce della situazione della sicurezza a Baghdad", ha deciso di inviare un ulteriore contingente di 200 soldati a protezione dell'ambasciata Usa e dell'aeroporto della capitale, "con lo scopo di proteggere i cittadini statunitensi e le loro proprietà, se necessario, ed equipaggiato per il combattimento".