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MONDO

Addio 2020

A che punto è la notte? Il 2020 della Jihad

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di Zouhir Louassini
Emmanuel Macron era probabilmente consapevole di quanto sarebbe stato difficile sconfiggere l'ideologia jihadista quando, il 9 novembre 2017, annunciò l'annientamento di Daesh. Il presidente era volato negli Emirati Arabi Uniti per inaugurare il "Louvre-Abu Dhabi": l'occasione migliore per affermare che "nei mesi successivi" avrebbe vinto la battaglia contro Daesh. Onestamente, però, Macron ammise anche che la minaccia jihadista non sarebbe comunque scomparsa.

In effetti Daesh, sconfitto militarmente in Siria, fu abbattuto. Con la perdita di Raqqa, l'organizzazione terroristica si vide privata non solo della sua "capitale" simbolica, ma anche della sua piattaforma logistica e amministrativa. È un fatto: come entità territoriale oggi Daesh non esiste più.

Ciò non significa che stiamo assistendo alla fine del jihadismo. L'utopia di uno stato islamico ha radici profonde nelle menti e negli animi di tanti fanatici che non vedono altra via di salvezza per l'Umma, la comunità universale dei credenti musulmani. Per realizzare quel sogno credono che sia necessario ricorrere all'unico strumento di persuasione di cui dispongono: la violenza. E anche se il principale bersaglio jihadista sono stati sempre i musulmani stessi, l'Occidente (e l'Europa in particolare), rimangono obiettivi essenziali per portare avanti la loro “guerra santa”.

Per questo, possiamo considerare gli attentati terroristici compiuti in Europa nel 2020 come lo specchio di una svolta cruciale di cui bisogna tener conto.
Dopo un periodo di relativa calma, il vecchio continente ha conosciuto una nuova serie di attentati terroristici. A cominciare da Dresda, in Germania; poi a Nizza, in Francia; e infine nella capitale austriaca, Vienna. Gran parte di questi attentati è stata perpetrata da una nuova generazione di terroristi, che hanno mostrato un significativo cambiamento rispetto a quanto visto in passato.

La sconfitta militare di Daesh ha infatti comportato una rivoluzione strategica, sia nell'organizzazione che nelle tecniche di aggressione.
Prima i terroristi erano formati nelle zone di conflitto; solo dopo l'addestramento ideologico e tecnico erano inviati nel mondo a compiere le loro azioni. Ora - lo si legge in un rapporto di Europol - sono "incoraggiati ad agire senza attendere il supporto a distanza", con la consueta ricompensa di essere promossi come "martiri" dall'organizzazione. Non è un caso che le partenze e i ritorni dal Medio Oriente siano ormai praticamente nulli.

Per quanto riguarda il profilo dei terroristi, si tratta per lo più di giovani di età compresa tra i 20 e i 28 anni. Quasi tutti cittadini europei, di quei paesi che hanno attaccato. I loro obiettivi sono principalmente i luoghi pubblici e la polizia. Armi da taglio e da fuoco sono preferite alle bombe o all'attacco suicida, azioni più difficili da mettere in atto.

Secondo molti osservatori assistiamo a un paradosso: gli autori degli attacchi sono una nuova generazione di jihadisti, poco più che adolescenti che, proprio per la loro giovane età, non sono mai stati nei territori di Daesh. Ciò nonostante, sono impregnati dell'ideologia jihadista e vantano qualche legame con il califfato islamico.

Il pericolo è concreto e reale: lo dimostrano gli attacchi terroristici degli ultimi mesi
Il 4 ottobre un giovane islamista ha accoltellato due turisti uccidendone uno a Dresda, in Germania. Arrestato un siriano di 20 anni, noto alla giustizia per la sua radicalizzazione.
Il 16 ottobre 2020, un attacco terroristico islamista è stato commesso nei pressi di un liceo a Conflans-Sainte-Honorine, vicino Parigi. Samuel Paty, un professore di storia e geografia, è stato assassinato a coltellate da Abdoullakh Anzorov, un giovane russo di 18 anni di origine cecena, per rappresaglia dopo una lezione sulla libertà di espressione in cui erano state mostrate, come esempio, le famose vignette su Maometto pubblicate su Charlie Hebdo.
A Nizza, in Francia, il 29 ottobre 2020 un ventunenne tunisino, armato di coltello, ha ucciso tre persone nella basilica di Notre-Dame-de-l'Assomption. Il terrorista è stato ferito dalla polizia municipale e portato all'ospedale.
A Vienna, il 2 novembre, un altro giovanissimo austriaco di origini macedoni, sparando con un fucile d'assalto, ha compiuto un atto terroristico togliendo la vita a cinque persone ferendone gravemente altre venti.

Sono esempi che dimostrano, tra le altre cose, l'impossibilità di inquadrare e identificare i modelli della loro attività criminale. Per la Polizia e per i servizi prevenire questi attacchi è diventato ancora più difficile di prima, quando gli autori avevano contatto diretto con altri terroristi in Siria, Iraq, Afghanistan o Libia: collegamenti che permettevano forme di tracciamento e controllo certamente più efficaci.

Gli ultimi attacchi terroristici in Europa ci fanno capire anche che i potenziali aggressori agiscono individualmente poiché è diventato difficile eseguire operazioni ampie e coordinate. La loro ideologia li incoraggia semplicemente a compiere attentati con mezzi semplici: a loro basta un coltello da cucina.

È, questo, un drammatico cambiamento di strategia del terrorismo jihadista in Europa. Se alla fine del XX secolo aggressioni e attentati erano messi in atto da estremisti stranieri che riuscivano a raggiungere il continente con il preciso obiettivo di compiere attacchi terroristici, negli ultimi anni, invece, il fanatismo jihadista si sta trasformando in un fenomeno "locale".

La ragione è data dai successi ottenuti dalle autorità europee e dai servizi di intelligence nello "smantellamento" delle organizzazioni terroristiche e delle loro sotto-reti. Questa strategia ha costretto i terroristi a cambiare tattica pur di continuare a diffondere il terrore sociale in Europa. Il messaggio, nemmeno tanto indiretto, era già chiaro a Macron tre anni fa: il terrorismo esiste ancora.