MONDO
La decisione della Corte Suprema
L'omosessualità torna reato in India
Il reato di omosessulità, depenalizzato da una sentenza del 2009, torna ad essere reato. A stabilirlo i giudici della Suprema Corte indiana con una sentenza che va contro il parere del governo che si era detto favorevole alla depenalizzazione. Human Rights Watch: la sentenza "cancella anche il diritto di tutti, protetto a livello internazionale, alla privacy e alla non discriminazione"

La Corte Suprema indiana ha reintrodotto il reato di omosessualità. Lo ha fatto accogliendo il ricorso presentato contro un’altra sentenza, emessa dall’Alta Corte di New Delhi che, nel 2009, aveva depenalizzato l’articolo 377 del codice penale indiano. La decisione va contro il parere espresso dal governo indiano che si era detto favorevole alla legalizzazione dell’omosessualità
La Corte Suprema indiana ha annullato oggi una sentenza di un tribunale di New Delhi che nel 2009 aveva di fatto legalizzato l'omosessualità. La decisione è giunta in seguito a diverse petizioni di associazioni religiose contrarie alla depenalizzazione del reato previsto dal Codice penale indiano che vieta le relazioni tra adulti omosessuali consenzienti in quanto "contro natura" e che era stato introdotto durante l'epoca coloniale britannica.
La sentenza, emessa dai giudici G S Singhvi e S J Mukhopadhaya, era attesa dal marzo del 2012 quando la Corte Suprema si era "riservata" il giudizio. Per circa un mese i giudici hanno ascoltato quotidianamente le ragioni dei gruppi a favore e contro l'abolizione della legge anti gay. L'agenzia Pti fa notare che la decisione è stata presa nell'ultimo giorno di attività del giudice Singhvi, che proprio oggi va in pensione.
Il governo indiano si era dichiarato favorevole a legalizzare l'omosessualità sulla base che il Paese, prima del dominio coloniale inglese, era molto più tollerante verso le relazioni tra individui dello stesso sesso.
Il 2 luglio 2009, con una decisione definita "storica" dalla comunità omossessuale, l'Alta Corte di New Delhi aveva depenalizzato l'articolo 377 del Codice penale indiano stabilendo che il sesso in un luogo privato tra due adulti omosessuali consenzienti non costituiva reato. La legge prevedeva l'ergastolo come massima punizione.
A favore dell'abolizione si erano schierate le associazioni di diritti umani, organizzazioni non governative e i gruppi di Lgbt. Mentre diverse associazioni religione indù, musulmane e cristiane, e anche un famoso guru di nome Baba Ramdev, si erano opposti.
A ricorrere contro l'abolizione della legge, è stato anche un politico del centro-destra del Bharatya Janata Party (Bjp), il partito dell'Opposizione che di recente ha vinto le elezioni amministrative in quattro stati, tra cui a New Delhi, sconfiggendo il partito laico del Congresso.
Intervenendo sulla sentenza della Corte Suprema indiana che oggi ha annullato la legalizzazione dei rapporti omosessuali fra adulti consenzienti sancita quattro anni fa dall'Alta Corte di New Delhi, la ong Human Rights Watch (Hrw) ha sostenuto che il massimo tribunale indiano "ha cancellato anche il diritto di tutti, protetto a livello internazionale, alla privacy e alla non discriminazione".
In un comunicato della sua direttrice per l'Asia meridionale, Meenakshi Ganguly, l'organizzazione che difende i diritti umani basata negli Usa, ha inoltre aggiunto che "la sentenza della Corte Suprema è una deludente battuta d'arresto per la difesa della dignità umana, e per i diritti fondamentali alla privacy e alla non discriminazione".
Ora, si dice infine, "il governo deve fare quello che avrebbe dovuto fare a suo tempo, e cioè procedere all'abrogazione della sezione 377 del Codice penale indiano".
La Corte Suprema indiana ha annullato oggi una sentenza di un tribunale di New Delhi che nel 2009 aveva di fatto legalizzato l'omosessualità. La decisione è giunta in seguito a diverse petizioni di associazioni religiose contrarie alla depenalizzazione del reato previsto dal Codice penale indiano che vieta le relazioni tra adulti omosessuali consenzienti in quanto "contro natura" e che era stato introdotto durante l'epoca coloniale britannica.
La sentenza, emessa dai giudici G S Singhvi e S J Mukhopadhaya, era attesa dal marzo del 2012 quando la Corte Suprema si era "riservata" il giudizio. Per circa un mese i giudici hanno ascoltato quotidianamente le ragioni dei gruppi a favore e contro l'abolizione della legge anti gay. L'agenzia Pti fa notare che la decisione è stata presa nell'ultimo giorno di attività del giudice Singhvi, che proprio oggi va in pensione.
Il governo indiano si era dichiarato favorevole a legalizzare l'omosessualità sulla base che il Paese, prima del dominio coloniale inglese, era molto più tollerante verso le relazioni tra individui dello stesso sesso.
Il 2 luglio 2009, con una decisione definita "storica" dalla comunità omossessuale, l'Alta Corte di New Delhi aveva depenalizzato l'articolo 377 del Codice penale indiano stabilendo che il sesso in un luogo privato tra due adulti omosessuali consenzienti non costituiva reato. La legge prevedeva l'ergastolo come massima punizione.
A favore dell'abolizione si erano schierate le associazioni di diritti umani, organizzazioni non governative e i gruppi di Lgbt. Mentre diverse associazioni religione indù, musulmane e cristiane, e anche un famoso guru di nome Baba Ramdev, si erano opposti.
A ricorrere contro l'abolizione della legge, è stato anche un politico del centro-destra del Bharatya Janata Party (Bjp), il partito dell'Opposizione che di recente ha vinto le elezioni amministrative in quattro stati, tra cui a New Delhi, sconfiggendo il partito laico del Congresso.
Intervenendo sulla sentenza della Corte Suprema indiana che oggi ha annullato la legalizzazione dei rapporti omosessuali fra adulti consenzienti sancita quattro anni fa dall'Alta Corte di New Delhi, la ong Human Rights Watch (Hrw) ha sostenuto che il massimo tribunale indiano "ha cancellato anche il diritto di tutti, protetto a livello internazionale, alla privacy e alla non discriminazione".
In un comunicato della sua direttrice per l'Asia meridionale, Meenakshi Ganguly, l'organizzazione che difende i diritti umani basata negli Usa, ha inoltre aggiunto che "la sentenza della Corte Suprema è una deludente battuta d'arresto per la difesa della dignità umana, e per i diritti fondamentali alla privacy e alla non discriminazione".
Ora, si dice infine, "il governo deve fare quello che avrebbe dovuto fare a suo tempo, e cioè procedere all'abrogazione della sezione 377 del Codice penale indiano".