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Coronavirus

L'intervista

Galli: parlai di rischi aperture ma l'Italia migliora molto grazie ai vaccini

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Massimo Galli (Ansa)
"Il mio è un compiaciuto stupore, perché in Italia i numeri dell'epidemia sono in netto miglioramento, al di là delle più rosee aspettative. Con le riaperture c'era un 10% di probabilità che le cose seguissero questa via, ma alla fine è andata bene e ne sono davvero felice". Così Massimo Galli, direttore delle Malattie infettive dell'Ospedale Sacco di Milano, al 'Corriere della Sera', sull'evoluzione della pandemia di Covid-19 in Italia.Il professore della Statale non era d'accordo con le riaperture di fine aprile. Parlò di "rischio calcolato male".

"È vero, ma io sono un medico, mi baso sui dati, non sulle opinioni. Quando il 26 aprile si sono aperte molte danze, la situazione - sottolinea - non faceva presagire che le cose sarebbero andate così bene. I numeri non erano per niente rassicuranti, i contagi e i decessi erano ancora elevati, non era inverosimile pensare che ci sarebbe potuta essere una ulteriore crescita dei contagi. Non avevamo ancora raggiunto la soglia promessa dei 500mila vaccini al giorno e persisteva l'incognita delle dosi: non avevamo la certezza che davvero ci sarebbero state consegnate quelle promesse".

Però poi "la campagna vaccinale - afferma Galli - ha comportato una svolta, che non sarà temporanea. I vaccini stanno facendo da scudo per morti e ricoveri, hanno spostato gli equilibri più velocemente di quanto mi aspettassi e lo zoccolo dei vaccinati sta crescendo ulteriormente. Inoltre l'immunizzazione ha funzionato meglio nel nostro Paese rispetto altrove, in proporzione ai vaccini fatti. Merito anche degli anziani e dei fragili che hanno fatto in modo di esporsi il meno possibile al virus. E mi permetta, merito anche dei costanti inviti alla prudenza, senza assumere posizioni facilone".

"Io catastrofista? Respingo questa definizione. Direi che per motivi molto politici e poco nobili questa etichetta - chiarisce l'infettivologo - è stata appiccicata addosso a me e ad altri miei colleghi dai giornali di destra. Ma tra l'essere ottimisti per piacere, in assenza di dati (li chiamo riduzionisti), e raccontare come stanno davvero i numeri passando per catastrofisti c'è differenza. In una certa fase i dati non ci spingevano all'ottimismo e c'era la necessità di mantenere ben chiaro che non si poteva abbassare la guardia, soprattutto dopo il precedente dello scorso anno, quando eravamo in pochi a dire che il virus sarebbe tornato a farci visita, come puntualmente è successo".