MONDO
Diario dall’Iraq #4
Viaggio a Kirkuk
Kirkuk, la città più ricca di petrolio in tutto il paese è sede di un governatorato, ma non fa parte del Kurdistan autonomo. I curdi la considerano il fulcro dell’antica patria divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran, e sognano di restituirle il ruolo di capitale

Per arrivare in prima linea a Kirkuk ci vuole un’auto blindata e una scorta armata. La camionetta dei Peshmerga ci viene a prendere alla periferia della città contesa. Sono soldati armati di tutto punto, con fucili di precisione e visori sugli elmetti.
A pochi chilometri dalla linea del fronte, ci fanno salire sopra un’auto blindata. Poche centinaia di metri ad alta velocità, fino a raggiungere la trincea: disordinata, scavata lungo un fiume. Due postazioni con mitragliatrici difendono il ponte: ci sono un paio di blindati con mitragliatori pesanti e segni di combattimenti recenti: bossoli, crateri di colpi di mortaio. Dall’altra parte, le postazioni dei miliziani dell’Isil nel villaggio di Mullah Abdullah, da cui sciiti, cristiani e turcomanni sono fuggiti. Sotto una tenda, si riposano i comandanti di questa squadra. Al telefono, ricevono notizie dalle altre postazioni, mangiano angurie, caricano e lubrificano i kalashnikov. La temperatura sfiora i 50 gradi. Rajil Hadadi, detto “L’uomo di acciaio”, è un ufficiale dei peshmerga – le forze speciali curde - da anni impegnato nell’antiterrorismo.
Sardak Muhammed, capo della polizia militare di Kirkuk è l’unico autorizzato a parlare: “Siamo quì per difendere l’Iraq e il Kurdistan – dice – abbiamo combattuto e abbiamo avuto dei feriti, ma non abbandoneremo la nostra città”. Questa è oggi Kirkuk: la città più ricca di petrolio in tutto il paese è sede di un governatorato, ma non fa parte del Kurdistan autonomo. I curdi la considerano il fulcro dell’antica patria divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran, e sognano di restituirle il ruolo di capitale. Bagdad non può permettersi di perdere terreni dove – si dice – il petrolio trasuda dal terreno. Allo stesso tempo, con le sue minoranze - assiri, caldei e turcomani accanto a sciiti e sunniti, Kirkuk è un antichissimo laboratorio di convivenza. Per questo i peshmerga ci tengono a mostrare che hanno conquistato Kirkuk, subito, all’inizio della crisi irachena: per il bene dei curdi e di tutto l’Iraq. In queste ore, probabilmente, a Baghdad i politici trattano un accordo che allontani il primo ministro Nouri Al Maliki, restituisca una voce a tutte le componenti della società irachena e – forse – eviti la guerra civile. Per oggi i guerrieri si riposano: l’Iraq appare proprio come questa trincea: in attesa degli avvenimenti, con le armi pronte, molto caldo.
A pochi chilometri dalla linea del fronte, ci fanno salire sopra un’auto blindata. Poche centinaia di metri ad alta velocità, fino a raggiungere la trincea: disordinata, scavata lungo un fiume. Due postazioni con mitragliatrici difendono il ponte: ci sono un paio di blindati con mitragliatori pesanti e segni di combattimenti recenti: bossoli, crateri di colpi di mortaio. Dall’altra parte, le postazioni dei miliziani dell’Isil nel villaggio di Mullah Abdullah, da cui sciiti, cristiani e turcomanni sono fuggiti. Sotto una tenda, si riposano i comandanti di questa squadra. Al telefono, ricevono notizie dalle altre postazioni, mangiano angurie, caricano e lubrificano i kalashnikov. La temperatura sfiora i 50 gradi. Rajil Hadadi, detto “L’uomo di acciaio”, è un ufficiale dei peshmerga – le forze speciali curde - da anni impegnato nell’antiterrorismo.
Sardak Muhammed, capo della polizia militare di Kirkuk è l’unico autorizzato a parlare: “Siamo quì per difendere l’Iraq e il Kurdistan – dice – abbiamo combattuto e abbiamo avuto dei feriti, ma non abbandoneremo la nostra città”. Questa è oggi Kirkuk: la città più ricca di petrolio in tutto il paese è sede di un governatorato, ma non fa parte del Kurdistan autonomo. I curdi la considerano il fulcro dell’antica patria divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran, e sognano di restituirle il ruolo di capitale. Bagdad non può permettersi di perdere terreni dove – si dice – il petrolio trasuda dal terreno. Allo stesso tempo, con le sue minoranze - assiri, caldei e turcomani accanto a sciiti e sunniti, Kirkuk è un antichissimo laboratorio di convivenza. Per questo i peshmerga ci tengono a mostrare che hanno conquistato Kirkuk, subito, all’inizio della crisi irachena: per il bene dei curdi e di tutto l’Iraq. In queste ore, probabilmente, a Baghdad i politici trattano un accordo che allontani il primo ministro Nouri Al Maliki, restituisca una voce a tutte le componenti della società irachena e – forse – eviti la guerra civile. Per oggi i guerrieri si riposano: l’Iraq appare proprio come questa trincea: in attesa degli avvenimenti, con le armi pronte, molto caldo.