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MONDO

L'altra faccia dell'emergenza

Ebola: l'antropologa che vince la paura del virus con un rap

L'antropologa di Medici Senza Frontiere Maria Cristina Manca, per due mesi in Guinea a Gueckedou, ha cercato di sensibilizzare la popolazione dei villaggi locali sulla malattia e sui comportamenti da evitare per contenere il contagio

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Maria Cristina Manca, Msf, al lavoro in Guinea
di Silvia Balducci
C'è la malattia, Ebola, contro cui lottano ogni giorno centinaia di medici negli ospedali, e ci sono le conseguenze: paure, abitudini e pregiudizi. È l'altra faccia dell'epidemia che sta piegando l'Africa Occidentale. L'antropologa di Medici Senza Frontiere Maria Cristina Manca, per due mesi in Guinea a Gueckedou, ha cercato di sensibilizzare la popolazione dei villaggi locali sulla malattia. Regole e pratiche corrette per limitare i rischi di contagio sono state persino incise in un rap. Perchè il segreto, spiega, è arrivare alle persone senza allarmismi.

In cosa consiste il suo lavoro?
"Ho cominciato facendo uno studio di contesto, anche grazie all’aiuto di un’equipe composta da persone locali che ci hanno aiutato a superare il  problema linguistico. Abbiamo bussato casa per casa ponendo domande semplici: “Conosci Ebola?”, “Sai di cosa si tratta, come si contagia”. Uno studio che ci ha permesso di capire, ad esempio, che le resistenze maggiori – diversamente da quanto si pensi – vengono dalle città.  I più reticenti sono i giovani alfabetizzati – le medie al massimo, s’intende - quelli che qui chiamano i “giovani intellettuali” . Questi ultimi infatti sono convinti che ebola sia arrivata coi bianchi, con le organizzazioni".
 
Una volta compreso il contesto?
"Abbiamo iniziato a fare sensibilizzazione con l’obiettivo di rendere più digeribili messaggi molto duri, come ad esempio il fatto che il virus se contratto nella maggior parte dei casi è mortale. Abbiamo anche girato un documentario per spiegare il nostro lavoro, per rompere il pregiudizio contro le organizzazioni. E con cantante locale molto conosciuto Antoine Flingo abbiamo scritto un rap su Ebola, che ora le radio locali stanno trasmettendo".

Quali sono le regole che avete cercato di diffondere?
"Abbiamo cercato di diffondere piccole regole di comportamento: evitare di dare la mano al mercato – abbiamo consigliato di sostituire questo uso con gesti alternativi come dei colpetti col gomito - o ancora evitare di abbracciarsi e fare attenzione a dove ci si siede. Abbiamo anche ribadito l’utilità di posizionare nei luoghi pubblici dei contenitori di acqua e cloro che permettono di disinfettarsi le mani".

Quanto incidono nella diffusione del virus gli usi e i costumi locali?
"Certamente giocano un ruolo fondamentale anche se è importante non confondere la cultura con l’accesso alle cure sanitarie. In Guinea così come in molte altre realtà africane,  in assenza di un sistema sanitario efficiente si è diffusa la cultura dell’auto aiuto. Inoltre, siccome i primi sintomi di Ebola sono simili a quelli della malaria, si tende a cercare di assistere i malati in casa provocando contagi a pioggia.  Esiste comunque anche un fattore culturale, basti pensare alle cerimonie funebri e al rapporto con i morti. Ci si prende cura dei defunti con cura, li si lava, li si veste  e tutta la famiglia collabora alla preparazione del corpo".

La sua equipe ha trovato un atteggiamento di apertura da parte della popolazione?
"Non sempre. La gente ha tanta paura e spesso siamo stati attaccati verbalmente. Veniamo accusati di aver portato il virus. A volte però è successo anche il contrario.  Si sono creati in alcuni villaggi dei comitati autogestiti che hanno aperto un filo diretto con noi e ogni sera bussano casa per casa per controllare che tutti stiano bene".
 
Quali saranno nel tempo le conseguenze dell'epidemia?
"
Questo è il nostro grande interrogativo. Non possiamo sapere se. a livello sociale, le azioni per contrastare l’ebola poi provochino conseguenze irreversibili nelle abitudini e nei costumi della gente. Per questo cerchiamo, ogni giorno con il nostro lavoro, di essere il più delicati possibile, cercando anche di evitare psicosi".