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MONDO

Trattamento sperimentale per Duncan, il "paziente zero"

Ebola, America tra paura per l'epidemia e spettro discriminazione razziale

Attorno a un ospedale di Dallas l’America intreccia paure e contraddizioni. Il rischio di un’epidemia, il destino di un uomo, il fantasma della discriminazione razziale

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di Giuseppe Solinas
Da due giorni, Thomas Eric Duncan sta ricevendo un trattamento sperimentale: l’uomo che per primo ha portato il virus Ebola dalla Liberia negli Stati Uniti ora viene curato con un potente antivirale: si chiama Brincidofovir, è prodotto da una azienda farmaceutica del North Carolina, la Chimerix, e finora è stato testato solo su mille persone. La stessa medicina viene provata in queste ore sul secondo cittadino americano ammalato di Ebola, Ashoka Mupko, il cameraman della NBC contagiato mentre girava un reportage in africa. Mupko ha anche ricevuto una trasfusione di sangue da parte di un missionario guarito dalla malattia.

Duncan sta meglio, e tutta l’America segue con il fiato sospeso l’ospedale presbiteriano di Dallas in cui è ricoverato. È isolato in terapia intensiva, e nessuno dei familiari ha potuto incontrarlo finora. Ci vuole un peso massimo della politica come Jesse Jackson per dare loro voce. Jackson organizza una conferenza stampa e accompagna di fronte alle telecamere la madre di Duncan – Garteh Korkoyah – e il nipote Josephus News. Le parole del reverendo, leader della comunità afroamericana, sono severe:  “Non ha ricevuto le cure mediche che meritava – dice Jackson - adesso viene curato bene, ma non è stato così sin dall’inizio; e ora è troppo tardi”. 

Riemerge la questione della discriminazione razziale
Anche di fronte a una emergenza nazionale come il rischio epidemico di una malattia incurabile riemerge la questione della discriminazione razziale. Interviene anche Eric Williams, candidato indipendente nella prossima elezione per Camera dei Deputati, il 4 novembre: “Almeno 60 bambini non sono andati a scuola, a causa dell’ebola – spiega - abbiamo musulmani che vengono stigmatizzati: avete l’ebola? – gli chiedono. Ci sono datori di lavoro che dicono: è meglio che stai a casa e non vieni a lavorare. È inaccettabile”.

La storia di Duncan, il "paziente zero"
I familiari ricordano che Duncan è stato visitato una prima volta il 25 settembre. E’ già ammalato, ma viene rimandato a casa con un semplice antibiotico, i medici non riconoscono i sintomi dell’Ebola. Torna al pronto soccorso il 28 ottobre, è molto grave, ma ci vogliono giorni perché gli venga prescritto il protocollo sperimentale per curare l’Ebola. 
 
“Non vedo l’ora di poterlo abbracciare” – dice la madre, una anziana signora liberana che cammina a fatica. Il nipote Josephus è più preoccupato per gli altri familiari: 5 in quarantena – oltre a 48 persone sotto osservazione. “Pregano tutti i giorni perché la malattia non arrivi, e per ora stanno bene – dice ai microfoni di Rainews - questa è la settimana critica e sono ancora in salute, quindi speriamo bene”.

Nella periferia Nord di Dallas, in un poverissimo condominio di case, è terminato il lavoro delle squadre anticontaminazone, gli Hazmat, che hanno ripulito completamente l’appartamento dove Duncan e la sua famiglia hanno vissuto per giorni mentre lui si ammalava. Tutti gli oggetti – potenzialmente contagiosi – sono stati portati via e distrutti. “La casa è stata completamente decontaminata – spiega Brad Smith, il responsabile della ditta, Cleaning Guys -  abbiamo rimosso tutto dall’appartamento, non c’è più nient’altro che muri, pavimento".
 
La paura dei vicini
Quando gli uomini in tuta gialla se ne vanno, rimane la paura tra i vicini di casa, in gran parte immigrati asiatici e africani che non parlano l’inglese. “I miei figli frequentavano i bambini che vivevano in quella casa – dice una donna messicana che torna a casa con la busta della spesa - Ora mio figlio non vuole più andare a scuola perché ha paura”. Accanto a lei, un’altra signora indica le telecamere e dice: “è un virus molto pericoloso. Vedo che stanno pulendo tutto, vedo la polizia, i giornalisti”.

Nelle chiese del quartiere si prega per le persone a rischio, si raccolgono aiuti e donazioni. La quarantena finisce il 18 ottobre, ma le statistiche mostrano che la malattia potrebbe presentarsi soprattutto nei prossimi giorni. Se nessuno svilupperà i sintomi, vorrà dire che il contagio per ora è stato circoscritto e l’epidemia scongiurata.